La parete a vetro

26 4 2
                                    


Davanti ai miei occhi c'è un ragazzo con un fucile puntato su di me. «Cosa pensi di fare con quello?» chiedo.

«Non muoverti!» urla.

Il braccio che tiene la tazza inizia a infastidirmi, e sono appena alcuni secondi che si trova in quella posizione. Se non mi permetterà di spostarmi entro breve, non credo che sarò in grado di mantenermi stabile. Fortuna che sono riuscita a mandare giù più della metà del caffè. La mia mente è decisamente più lucida e funzionale di qualche minuto fa.

«Quel coso, l'avevi colpito anche tu?» domanda.

«Quel coso?» chiedo mimando con la testa il luogo dove si trova.

Annuisce. «Quello dietro di te, a terra.»

«Gli hai sparato tu. Il colpo diretto a me ha colpito lui», rispondo. «Si può sapere perché volevi spararmi?»

«Perché da lontano è piuttosto difficile capire se davanti agli occhi hai un essere umano o uno zombi.»

Faccio scivolare un po' le braccia e socchiudo gli occhi. «Zombi?» domando.

«Zombi», ripete. «Non so se ti sei accorta del casino che è successo.»

«Uhm, no.»

Sto ricominciando a sudare. Non so se è un buono o un brutto segno.

Lui scuote la testa e la sua bocca crea una smorfia.

«Senti, non è che potresti smettere di puntarmi il fucile? Mi dà fastidio tenere il braccio su.»

Mi guarda e sembra indeciso. «Come ti chiami?» domanda.

«Melanie», rispondo. «Ma tutti mi chiamano Mel. Anche da sola, mi chiamo Mel. Tu?»

«Cole.»

Ha una bella voce, Cole. E un bel viso. Nel complesso, è tutto bello. Non di quelli appariscenti. Appartiene alla categoria dei belli senza saperlo. Capelli e carnagione scura, occhi chiari, altezza elevata, corporatura media. Sono quasi dispiaciuta di non aver ripassato il mascara e messo il fard.

«Cole», lo chiamo.

«Cosa?»

«Puoi abbassare il fucile? Per favore.»

Con un movimento lento, fa scivolare l'arma sul fianco e mi guarda. Io alzo le sopracciglia, poi, con gesti dolci e infiniti, porto le braccia lungo i fianchi. Una volta fatto, sempre con la stessa flemma, conduco la plastica contro la bocca e bevo quello che rimane del caffè. È come se tutte le mie terminazioni nervose riprendessero a funzionare.

«Cosa c'è lì dentro?»

«Caffè», rispondo. «Quello», dico girandomi verso la macchina. Lo strano essere che Cole ha ucciso mi fissa con occhi sgradevoli. È tutto sgradevole, quel tipo. Ha la pelle marroncina, rovinata, e le guance appena scavate. «Ho sentito un rumore, quando sono uscita dalla sala pranzo, ma volevo il caffè. Ho perso la moka da qualche parte, ieri, e non avevo voglia di mettermi a cercarla, così ho deciso di affrontare il pericolo e sono venuta qui. Ci ho trovato lui che sbatacchiava contro il vetro. Ma questo l'hai visto.»

«Ti stai bevendo un caffè», dice piatto.

«No, adesso è finito.»

«Ti stavi bevendo un caffè.»

Non so che tipo di problema abbia ma non voglio offenderlo, per cui rispondo. «Sì.»

«Fuori c'è una cazzo di apocalisse zombi, ne avevi uno a due passi che cercava di mangiarti, e ti fai un caffè.»

Apro la bocca per dire qualcosa ma non esce niente. Articolo diverse lettere, perlopiù vocali, sebbene ci sia qualche consonante, senza che escano suoni. Mi massaggio la mano con cui tengo la tazza e finalmente riesco a dire qualcosa. «Che c'è fuori?»

«Cosa?» chiede. Sembra allucinato.

«Hai detto che c'è un'apocalisse zombi.»

«Sì, è quello che ho detto.»

Mi ritraggo e mando gli occhi verso sinistra. «Cosa?» chiedo a mia volta. Dunque, era l'inevitabile B. E io che mi stavo convincendo di quanto fosse più plausibile l'opzione A.

Cole sembra comprendere. «Da quanto non esci?»

«Sono entrata ieri mattina verso le otto e mezzo.»

«E non sei più uscita?»

«No.»

«Non ti sei accorta che non funziona niente? A parte l'elettricità e l'acqua, intendo. Non c'è linea telefonica, la wi-fi non va e non ci sono esseri viventi, qui dentro?»

Con il pollice gli faccio vedere che un essere vivente c'è. C'era, prima che gli sparasse. Ma ho la sensazione che non sia l'esempio giusto.

«C'è qualcun altro oltre te? Ho fatto un giro e non ho visto nessuno, di vivo. Dall'altra parte c'erano alcuni come lui ma erano già morti.»

«Quelli come lui?»

«Oh porca miseria», dice spazientito. «Ok, la prima finestra, dov'è?»

«Qui non ce ne sono, c'è solo un'uscita di emergenza e una parete a vetro.»

«La parete a vetro, dov'è?»

«Da quella parte», rispondo con il dito che indica la direzione da lui richiesta.

«Ok, andiamo», dice. Mette il fucile a tracolla e mi fa segno di seguirlo.

Imbocchiamo il corridoio sulla destra, le porte sono tutte chiuse, quasi fossero state controllate da qualcuno, il pavimento è immacolato, come se non ci passasse un'anima da una vita. Arriviamo in fondo, svoltiamo a sinistra e siamo davanti a un'intera parete di vetro. L'ho evitata tutta la notte perché la zona della città che mostra è mal illuminata e mi metteva uno strano senso di angoscia. Questo perché non avevo idea di cosa ci avrei trovato adesso.

Quello che vedo, è uno strano ammasso di esseri che si rincorrono e si ammucchiano tra di loro in uno scenario da fine del mondo. Pensate al film più recente che avete visto, film distopico, si intende. Film distopico con i mostri. Fate una fotografia mentale del paesaggio cittadino dopo la prima invasione. È esattamente ciò che sto guardando. Macchine in mezzo alla strada, sportelli aperti, finestrini rotti. Fogli di giornale che si muovono ondeggianti al soffio del vento, sirene che ululano, strane grida inumane che le superano di tono. Il sole è oscurato da un fumo grigio, opaco.

È la fine del mondo. Davvero.

Appoggio una mano sul vetro e la faccio seguire dalla fronte. «Cosa è successo?»

«Non lo so. Ieri mattina sono uscito per andare all'università ed era così. Nelle prime ore del giorno i telegiornali hanno parlato di un virus mutato, poi si è fermato tutto. Non so se sono morti anche i giornalisti o se si sono messi al sicuro.»

«È così in tutto il mondo?»

«Non ne ho idea.»

Mi giro verso di lui. «Perché sei qui?

«Sono venuto a cercare mia sorella, lavora qui.» La sua voce è bassa, cupa, gli occhi diventano tristi.

«Non l'hai trovata?»

«No.»

«Non l'hai trovata in nessun modo?» Viva o morta.

Il suo sguardo si accende. «In nessun modo», replica.

Caffè ZWhere stories live. Discover now