La moka

8 3 0
                                    

«Abbassa il fucile.»

«Non posso.»

«Peso trenta chili meno di te, cosa pensi che possa fare?»

«Uccidermi? Mangiarmi?»

«Ok, senti. Tieni il fucile. Tienilo, lo capisco, ma non uccidermi fino a quando non sarai sicuro che sono una minaccia.»

«Tu sei una minaccia.»

«Non mi sento una minaccia. Sto bene. Ho solo bisogno di un caffè.»

Chiude gli occhi e sul suo viso si forma un'espressione ironicamente disperata.

«Per favore. Portami a prenderne uno. Tienimi il fucile puntato addosso ma portami a prendere un caffè.»

Inclina la testa e annuisce. «Dove dobbiamo andare?»

Indico il piano di sopra, Cole muove il fucile per farmi cenno di andare e ci incamminiamo.

«Hai controllato tutto?» chiedo.

«No», risponde a pochi passi da me, «ma fino a quando le porte sono chiuse, direi di lasciarle così. Non so come funzionano, se sono dormienti o meno. Se lo fossero, mi piacerebbe non essere la causa scatenante della loro euforia.»

«Sono euforici?» chiedo prendendo a salire le scale. Preferisco evitare gli ascensori, non ho idea di cosa ci sia dentro.

«Sono... agitati. Corrono, blaterano, sbavano.»

Siamo giunti davanti a una porta chiusa e non sono sicura che entrare senza controllare sia la scelta giusta. Soprattutto per Cole. Ho l'impressione che gli zombi non mi percepiscano come... cibo.

«L'ho chiusa stanotte, quando sono uscita da qui per tornare in ufficio. Entro o preferisci fare tu?» chiedo voltandomi verso di lui. Sta sudando e mi guarda preoccupato.

«Ok, mi hanno già morsa quindi non ho niente da perdere. Entro io e tu mi segui, ok?»

Ho già la mano sulla maniglia quando lui mi chiama.

«Mel, forse è...»

Non lo lascio finire. Potrebbe voler fare l'eroe, ma non ce n'è bisogno. Non mi deve salvare, sono io che devo salvare lui. Non lo ascolto, apro e accendo la luce. La sala è proprio come l'avevo lasciata stanotte e non c'è nessuno. Entro e lo invito a fare lo stesso.

«Devo trovare la moka», dico.

«Dove l'hai messa? »

«Se lo sapessi, non dovrei trovarla», rispondo. Non è un gran genio, Cole. Carino, ma sveglio no.

Apro e chiudo i mobili, guardo sotto il tavolo e dietro una credenza, poi intravedo qualcosa sotto il lavandino. «Ah, ah! Trovata», declamo tornando su, sorridente. È una caffettiera classica, da tre, in alluminio, e la tengo tra le mani come se fosse la tanto agognata coppa in una gara.

«Quante sale pranzo avete?»

«Molte, l'azienda è enorme», spiego mentre la sciacquo sotto l'acqua. «Tua sorella in che settore lavora?»

Impiega un po' a rispondere. «Logistica, primo piano, settore D.»

«Era tutto vuoto?»

«Erano tutti morti. Zombi, ma morti.»

Giro la testa e lo guardo. Ha il fucile tra le mani e sta a metà stanza, il corpo appoggiato alla parete, pronto a sparare in qualunque direzione.

«Lei non c'era.»

«No», reagisce senza guardarmi.

Il prurito alla mano torna, all'improvviso, e mi ricorda che la mia salvezza potrebbe dipendere dall'oggetto che tengo tra le mani, per cui mi metto al lavoro.

Ho origini italiane. I miei nonni erano siciliani e in casa mia il caffè è sempre stato un rito. Il caffè vero, chiaramente, non quelli finti, alti e acquosi. So benissimo come gestire una moka, sono un fenomeno a preparare il caffè. Ho iniziato che non avevo nemmeno otto anni, però mi hanno permesso di berlo solo a dodici. Non volevano che venissi su esagitata. Hanno ottenuto l'effetto contrario. Riempio la caldaia e ci metto sopra il filtro, ci verso la polvere di caffè facendone una montagnola e chiudo la caffettiera, poi la metto sui fornelli.

«Sono messa male?» domando. La voce un tremolio curioso, gli occhi appena offuscati dalle lacrime. Cole si volta verso di me, mi guarda. Chiude un occhio e arriccia la bocca, poi sbuffa.

«Hai qualche vena in evidenza.»

«Ti sembro peggiorata rispetto a prima?»

«No», dice sincero. «Tu come ti senti?»

«Mi prude il braccio, mi prude da ieri mattina.»

«Quello è peggiorato un po'?»

«Lo fa quando trascorro diverso tempo senza caffeina, credo», rispondo. «Quando mi sono svegliata, un paio di ore fa, era talmente irritato che mi faceva male, ma non ero abbastanza lucida da interrogarmi sul perché. La mia parte zombi deve essere poco interessata a tutto ciò.» Un aroma leggero ma già riconoscibile mi avvolge le narici.

Cole abbassa gli occhi, pensieroso. «Pensi davvero che sia una cura?»

«Non una cura, penso solo che faccia qualcosa. Rallenta, riattiva, non lo so.»

La caffettiera borbotta e mi chiama insieme al profumo, ormai diffuso in tutta la stanza. 

Caffè ZWhere stories live. Discover now