La caffetteria

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«Ne vuoi un po'?» domando.

«No», risponde deciso.

Prendo una tazza e verso tutto il contenuto al suo interno, ci metto tre cucchiaini di zucchero e un po' di latte freddo non scremato. È pesante, a dirla tutta, ma non mi lamento. Senza aspettare un secondo in più, ne bevo un lungo sorso. Caldo, saporito, intenso. Rilasso le palpebre per godere appieno della sensazione di gioia che mi trasmette. Energia, serenità, forza, calma. Razionalità. Diminuzione del prurito.

Chiudo e apro gli occhi, poi mi guardo il braccio. Il rossore appare già meno violento.

«Funziona», dico.

Cole, incredulo, arriccia la fronte. «Non è possibile.»

«Eppure funziona», ripeto. «Le vene sono sempre in evidenza?»

«No, per niente. La tua pelle sembra più sana e tu... meno strana.»

«Sembro strana?» chiedo.

«Un po' tocca.»

«Non è che tu appaia come questo gran genio.»

Sbuffa e sorride. «Funziona sul serio», dice.

«Un po'», replico io. «Potremmo provare a vedere che succede.»

«Cosa?» chiede.

«Cosa, cosa?» domando io.

Stringe i denti. «Cosa vuoi che funzioni?»

«Il caffè. Possiamo cercare di capire quello che succede quando la gente lo beve. La gente come loro», dico indicando con la testa l'esterno, anche se non ci sono finestre che ce lo mostrano.

«Vuoi dare il caffè agli zombi? Vuoi guarire gli zombi con la caffeina? Ti rendi conto di cosa stai dicendo?»

Cole è snervante, decisamente snervante. Se fossi uno zombi – uno zombi vero – potrei mangiarlo, per quanto mi snerva. «Non parlo di guarire. Parlo di provare. Se a me fa questo effetto, potrebbe farlo anche agli altri, potrebbe...» Vorrei finire la frase ma un grugnito umanoide ci sorprende tanto quanto la figura che si affaccia dalla porta.

«Porco cazzo!» grida Cole.

«Non sparare!» grido io.

La figura è – come avrete capito – uno zombi e sposta lo sguardo da Cole a me come se dentro di lui fosse rimasto qualcosa di funzionante al di là dello stomaco e del desiderio impellente di mangiare.

«Sei fuori di testa?» urla ancora Cole, il fucile puntato contro l'inumano, gli occhi verso di me. «Hai deciso di salvare la tua razza?»

«Non è la mia razza!» sbuffo, la tazza tra le mani. «Sto solo cercando di salvare noi.» Ok, lo ammetto, per un millesimo di secondo ho avuto la tentazione di dire "salvare il genere umano" ma mi sono accorta di quanto fosse ridicola e pomposa la dichiarazione e ho preferito parlare di noi.

«Io mi salvo se gli sparo», reagisce.

Lo zombi continua a guardarci, vagamente confuso. A parte l'essere bruttino, sembra innocuo, ma è chiaro che non lo è.

«Fammi provare, Cole. Al massimo mangia me e tu hai tutto il tempo di sparare a entrambi.»

«Cosa?» chiede, gli occhi stretti.

«Smetti di dire cosa.»

«E tu smetti di dire stronzate!»

«Stai usando troppe parolacce.»

«Mel!» grida, la voce arrabbiata.

«Che c'è?»

I suoi occhi sono puntati sui miei. «Se ti avvicini, ti morde.»

«Mi hanno già morso, non ricordi? È probabile che farò comunque la sua fine, ma visto che con me funziona, visto che posso ancora pensare e muovermi come un essere vivente, voglio provare a vedere se è lo stesso anche per gli altri.»

«Mel», mi chiama, la voce un sussurro implorante.

«Cole, devi essere pronto. Se mi morde, devi sparare a lui e... a me.»

«Non lo sai.»

«No, non lo so, ma due morsi... non sono sicura che la caffeina possa gestirli.»

«Ci penseremo quando ti morderà.»

«Se mi morderà.»

«Ti morderà.»

«Non credo che possa sentire il mio odore. Penso che possa vedermi, o intravedermi, ma è te che vuole. Il mio odore deve essere già simile al suo», dico mesta. Annuso l'aria intorno a me, poi dirigo il viso verso il busto. «Per caso puzzo?»

Cole fa uscire l'aria in un soffio accompagnato da un "bah" scontroso. «No, non puzzi.»

«Allora sono inodore, mentre tu profumi di vita.»

«Mel!» grida, spazientito.

«Ok, ok, vado. Se si mette male, spara. E vai a cercare tua sorella.» Metto un piede davanti all'altro, supero il tavolo e mi avvicino allo zombi.

«Come pensi di fare?»

«Ah, eh. Non lo so», ammetto.

«Bene, ottimo.»

«Immagino che lo scoprirò appena gli sarò arrivata vicina», dico. «Cioè adesso», continuo. Lo zombi mi degna di pochissima attenzione, troppo preso a considerare la carne vivente a pochi passi da lui. Qualche input umano deve essergli rimasto perché non lo attacca, forse spaventato dal fucile.

«Ehi, ciao», lo saluto, la tazza a pochi centimetri dal suo viso. Cole continua a rimanere più interessante di me, per cui faccio una cosa che non avrei mai fatto prima di oggi: gli blocco la testa e riempio la sua bocca di caffè, poi, prima che lui possa reagire, gliela chiudo. È forte, ma lo sono anch'io, e tenergli il capo fermo con una mano mentre con l'altra cerco di farlo bere, è semplice. Non esageratamente, ma lo è. Si dimena, sputa, mi stringe le braccia con delle mani orrende, ma potrebbe andare peggio. Quando ho svuotato la tazza, lo lascio e lo guardo. A quel punto, Cole grida, lo zombi grida, io grido e non si capisce più niente, nemmeno chi è che sta cercando di uccidere chi. Lo capiamo quando gli occhi del non-morto riprendono luminosità. La patina che li copriva è scomparsa, le pupille sono vigili, quasi umane. La sua pelle si fa più vera, meno scura, meno rovinata, la posizione del corpo eretta, l'espressione del volto stupita.

«Non può essere vero», commenta Cole. «Non può esserlo.»

Io lo guardo e sorrido, contenta di avergli dimostrato che la mia teoria era sensata. Lui scuote la testa e ricambia la mia occhiata, senza farlo con il sorriso, poi entrambi ci giriamo verso l'ex zombi e lo osserviamo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta in un grido di paura non ancora pronunciato. La pelle non è del tutto tornata rosa e le piccole ferite che ha sulle braccia si stanno richiudendo.

Prova a parlare, impiega un bel po' di tempo nel tentativo. «Stanno arrivando», dice una volta capito come fare. La voce terrorizzata, le narici in cerca di ossigeno.

«Chi?»

«Loro», farfuglia, «quelli come me, stanno arrivando.»

Immagino un'orda di gente claudicante, con i denti in bella vista e gli occhi dilatati che tenta di entrare nella sala pranzo a braccia tese. Non è uno scenario piacevole, per niente, ma le alternative a nostra disposizione sono pari a... 1. L'unico modo che abbiamo per provare – badate bene, non riuscire – a venirne fuori, è l'assurda idea che mi è venuta in mente. Prendo un respiro profondo e mi giro verso Cole. «Dobbiamo metterci al lavoro.»

Stringe gli occhi. «Hai intenzione di trasformare questo posto in una maledetta caffetteria per zombi?» domanda scioccato.

Lo guardo e annuisco. «È esattamente ciò che ho intenzione di fare.»

Caffè ZWhere stories live. Discover now