~Il mito della caverna~

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Ricordo benissimo una recente lezione di Robert, durante le ultime ore di scuola, in una giornata come le altre, il professore ci raccontò questo mito leggendario, che mi colpì moltissimo.
Il mito della caverna di Platone.
La leggenda parla di questo gruppo di uomini, incatenati in una caverna, costretti a guardare solo un punto fisso davanti a loro.
In questa caverna c'erano delle fiamme dietro di loro, che proiettavano sulla parete delle ombre. Quando essi parlavano, le voci sembravano uscire proprio da li, che loro credevano reali.
Non si rendevano conto della situazione, cosa c'era fuori, perché erano costretti fin dalla nascita a credere che quella caverna, era il mondo. Esisteva solo quel posto. Finché un uomo, riusci a fuggire. Quando vide con i suoi occhi il mondo reale, cosi vasto e meraviglioso, con altre migliaia di forme di vita, capì in quale orrore era stato sottoposto. Cosi decise di aiutare i suoi compagni a fuggire, ma quando si prestò per liberarli, loro lo crederono pazzo, e lo uccisero.
In quel momento, io mi sentii quell'uomo. Adesso stava a me decidere come comportarmi. Dovevo far aprire gli occhi agli altri abitanti o sarebbe stato meglio lasciar perdere, per non arrecare loro sofferenza?
Mi avrebbero creduto? Ma sopratutto... Avrebbero voluto sapere la verità, quando era così assurda e orribile?

"Cosi hai ben quattro anni più di me? Fuori di qui non mi avresti mai notato."
Mi disse Adam improvvisamente, distogliendomi dai miei pensieri cupi.
Eravamo ancora abbracciati, la sua mano cadeva lenta tra i miei fianchi, lasciandomi dei piacevoli brividi su tutto il corpo.
"Non essere stupido, ti avrei notato comunque."
"Grazie al mio incredibile fascino?"
"Probabile." Conclusi ridendo.

Mentre ci avviavamo per tornare a casa, molti ricordi mi tornavano in mente: il viso splendido di mia madre, molto simile a me, con i suoi occhi scuri e i suoi bellissimi capelli biondi, e il suo carattere coraggioso e determinato. Ero orgogliosa di assomigliarle in questi aspetti.
La mia decisione di venire qui, per studiare meglio questo posto, l'ho presa dopo la morte sofferente di mio padre, causata da un tumore al cervello. Dopo aver visto la sua sofferenza, la sua disperazione, il dolore della malattia che pian piano lo stava disintegrando, ho assecondato le decisioni della mia famiglia di creare questo posto. Il "cervello" di tutto è mio nonno, un famoso ricercatore , ed anche medico, che dopo la morte di suo figlio decise  di ricreare, ispirato dall'eutanasia, una tecnica di morte assistita che si usava prima, per dare una seconda chance di vita degnitosa alle vittime. La differenza é che i pazienti, invece di morire, continuano la loro esistenza, finché era possibile, senza soffrire, dimentichi delle loro condizioni reali. Fino a poco fa', tutto questo era una proiezione fantascientifica, un utopia impossibile da realizzare, ma Ronald Moore, mio nonno appunto, ci è riuscí,  rese tutto questo possibile. Adesso la nostra famiglia è la più famosa e ricca d'America. Io sono solo una giovane ragazza, che studia per diventare medico e questo esperimento, se così lo vogliamo chiamare, lo stavo facendo per la mia famiglia.
Quando usciro' da qui, dovrò terminare le mie ricerche precedentemente lasciate in sospeso, e diventare finalmente anche io una "salvatrice", cosi venivano etichettati  i medici dove avvieniva la procedura.
Ricordo anche, Selene, la mia migliore amica nella vita vera, che avevo completamente dimenticato. Ricordo bene mio Nonno, quest'uomo potente che incuteva timore e rispetto. Ricordo tutto.
"Sei pensierosa" notò Adam, mentre camminavamo.
Senza rendermene conto eravamo arrivati a casa mia.
"Mi passerà..." sospirai aricciandomi i capelli nervosamente.
"Devo vedere Vanessa" realizzai. Lo dissi ad salta voce, involontariamente.
"Ti accompagno" mi prese per mano Adam.
"No, devo parlarci, devo vedere come sta, ma devo andarci da sola." risposi in tono sicuro e deciso.
"Va bene, se ne sei sicura." rispose Adam comprensivo.
"Ci vediamo stasera?" gli domandai avvicinandomi un po' per salutarlo.
"Quando vuoi sono qui. So che sei ancora scossa, mi dispiace tanto."
Sorrisi tristemente.
"Non è certo colpa tua, " aggiunse.
Lui ricambiò il sorriso e mi spostò delicatamente i capelli dietro l'orecchio.
"Evy, Evy... Potrei anche innamorarmi di te."
Dichiarò. Il mio cuore fece un balzo nel petto, e sentii una strana sensazione nello stomaco, come se ci fosse uno sciame di farfalle dentro di me.
Non mi diede modo di rispondere, mi baciò dolcemente, e se andò.
Ci misi un po' prima di ritornare alla realtà.

Trovai Vanessa fuori al porticato di casa sua, seduta su uno sdraio, i suoi lunghi capelli erano raccolti in un coda alta ed elegante, sempre bellissima, ma aveva lo sguardo perso nel vuoto.
Era ovviamente turbata, e si vedeva da lontano che qualcosa non andasse.
Mi avvicinai timidamente e mi accomodai vicino a lei.
"Mi dispiace per oggi." Riuscii a dire.
Lei scosse la testa e sospirò.
Ma non mi rispose e continuò a fissare il vuoto.
"Van, dimmi qualcosa, per favore."
Si girò di scatto verso di me,e i suoi occhi chiari erano una pagina aperta per me: era arrabbiata. Molto arrabbiata.
"Cosa dovrei dirti? Ho assistito a una cosa orrenda, e per di più, ho sentito cose da te e...il professore? A questo punto non so neanche se è davvero un semplice professore, dice cose assurde." strillo'.
"Van, abbassa la voce, per favore, ti spieghero' tutto ma abbassa il tono, non deve sentirci nessuno."
"Cosa devi spiegarmi? Che siamo in fin di vita e questa è una simulazione della vita reale? Risparmia il fiato, me l'ha spiegato Dean, prima di fare quel gesto orrendo."
Rimasi di sasso. Mi ero persa un pezzo? Che era successo tra lei e Dean? Come faceva lui a saperlo?
"Aspetta un attimo...Dean ti ha detto questo?"
"Si. Era depresso, non mi parlava da giorni e quando gli ho chiesto cosa avesse mi ha raccontato questa follia, mi ha detto che si era come, "svegliato". rispose mimando  le virgolette con le dita.
"Mi ha raccontato che lui soffre di una strana malattia e che gli rimangono pochi mesi di vita...assurdo! Io ovviamente l'ho preso per pazzo, e poi è successo quello che hai visto." Mi spiegò gesticolando nervosamente.
Dean si era ricordato tutto, come me, ma come aveva fatto? Io senza aiuto non ci sarei mai riuscita. Questa non ci voleva, ma spiegava in parte il suo gesto, che poche ore fa non riuscii a comprendere.
"Credevo fosse pazzo." Riprese Van, in tono calmo e sommesso.
"Ma poi ho visto... Ho visto quello che è successo, e vi ho sentito dire che effettivamente qua non si può morire, è vero Evy? È vero quello che mi ha detto? Non è lui il pazzo, sono io che non ricordo?"
Chiusi gli occhi e mi morsi le labbra, la guardai negli occhi, erano lucidi e il suo corpo tremava come una foglia,  ovviamente non per il freddo inesistente.
"È più complicato di cosi ma si, quello che ti ha detto è vero, mi dispiace Van, mi dispiace tantissimo."
A quel punto scoppiò in lacrime, cosi l'abbracciai.
"Lui ha provato a suicidarsi per farmi capire che aveva ragione, è colpa mia sono una stupida..." Mi informò con la voce rotta dal pianto.
Cosa le avrei detto ora che sapeva la verità? Dovevo dirgli che sapevo tutto? Che era stata la mia famiglia a creare questo posto, e che io non ero malata, come invece sicuramente lo era lei?
Per la seconda volta mi sentii come quell'uomo descritto da Platone....
Cosi per il momento mi limitai ad abbracciarla forte e rassicurarla.
Poi avrei deciso cosa fare.

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