Cap.XXVII

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Tamburellavo la gamba sul pavimento della scuola su e giù, mentre mi guardavo intorno: erano le 11.35 e l'orario di ricreazione si era appena concluso, ma ancora qualcuno gironzolava alle macchinette e in giardino, magari mentre si fumava una sigaretta, ascoltava musica e beveva caffè. Altri, invece, correvano sulle scale con libri enormi in mano, segno di un'interrogazione o verifica imminente. Sospirai, sentendo la nostalgia invadermi, e continuando a fissare la porta della presidenza, che dopo un'ora dalla mia presentazione non si era ancora aperta.
Quella mattina, infatti, ero sgattaiolata per andare a scuola e fare domanda per gli esami finali, poiché stavo studiando da privatista per motivi familiari. Il preside, insieme alla mia professoressa di greco e latino, mi aveva fatto alcune domande sul programma che stavano svolgendo, poi mi aveva chiesto come mai ci tenessi così tanto a passare alla classe successiva. Avevo esposto tutti i miei sogni, mentre loro sorridevano.
《Rossini, gli esami saranno a metà giugno, farà solo degli orali, mi raccomando》sentenziò il preside, dandomi un foglio con tutte le materie ed il rispettivo programma. Sorrisi e ringraziai, per poi salutare.
《Oh Dio sei proprio tu》sentii mormorare mentre aprivo il cancello della scuola, pronta a tornare a casa nel modo più discreto possibile. Marco stava lì, in piedi, una sigaretta tra le dita ed un libro in una mano, le sue labbra screpolate, che fissavo per ore senza mai stancarmi, erano schiuse, gli occhi felici ridotti a due fessure. Portava una felpa grigia della Kenzo, con sopra una tigre, i pantaloni bianchi strappati e le scarpe della Burlon distrutte. Il suo outfit era completato da un giubbotto in jeans. Si avvicinò, stando attento a non bruciarmi con la cicca, abbracciandomi, cosa che in tre anni aveva fatto raramente e solo per chiedermi favori, per poi staccarsi e fissarmi. 《Ti trovo più...triste》disse, aspirando dalla sigaretta. 《Ma anche più matura, una donna》continuò. Annuii stanca e preoccupata: si era fatto davvero tardi, il pullman avrebbe impiegato quaranta e passa minuti per arrivare in quella zona e i ragazzi sicuramente erano già svegli. Mi immaginavo Sfera seduto fuori di casa, una canna tra le labbra, lo sguardo incazzato, mentre mi faceva l'interrogatorio a suon di ceffoni.
《Marco scusa ma devo proprio andare, mi ha fatto piacere, saluta gli altri》mormorai frettolosa. Lui sorrise triste, mandandomi un bacio volante.
****
Chiusi pianissimo la porta di ingresso, drizzando le orecchie per capire se ci fosse qualcuno a casa, ma nulla. Andai in camera, sedendomi sul letto e fissando il soffitto, persa.
Ti trovo più...triste. Ma anche più matura, una donna. Una donna.
Io, che fino a qualche mese prima guardavo i cartoni Disney il sabato sera, io che passavo ore a leggere libri e a sognare il principe azzurro, io che ascoltavo le playlist romantiche sognando l'amore, ero diventata donna, in tre mesi. In tre mesi avevo imparato ad usare una pistola, reprimere emozioni, calarmi un passamontagna, minacciare le persone. Sentii due rivoli di lacrime bagnarmi le guance e scendere verso il collo, come dei baci. Singhiozzi uscirono dalla mia gola disperatamente, mentre le mie mani coprivano il mio viso. Immagini della mia vita passata scorrevano come un film in bianco e nero, senza volume: la mia prima sigaretta, finita con colpi di tosse, la mia prima festa con alcolici, finita con una sbronza colossale, la prima volta che non ero entrata a scuola, il mio primo pigiama party, il mio primo bacio, il mio primo viaggio da sola, la prima notte senza mamma che mi raccontava aneddoti, la prima versione di latino, quella di greco, la prima insufficienza in quelle due materie, il mio primo amore.
Respirai profondamente, mentre sentii la porta di ingresso aprirsi. L'orologio segnava le 13. Mi lavai il viso e sorridendo praticamente, preparai il pranzo.

Bang Bang/TeduaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora