19

605 23 0
                                    

La mattina dopo, malgrado fossi rincasata troppo tardi, mi alzai di buon'ora: non avevo dormito molto, la notte era stata infestata da sogni confusi, da visi che si erano sovrapposti con sorrisi satanici, avevo avuto troppo caldo, sotto alle coperte e troppo freddo sopra. Mi avvolsi nella vestaglia di seta grigia, a piedi nudi nella mia casa deserta, mentre, fuori, il mondo cercava di recuperare la propria dignità.

Misi dentro ad una scatola di cartone gli effetti personali di Giacomo: qualche cd, due libri, un dvd tutto graffiato ormai inutilizzabile e lo spazzolino da denti. Un profumo. Due maglioni appena ritirati dalla lavanderia.
Prima di uscire per il lavoro, avrei lasciato tutto alla portinaia.

Mentre facevo colazione, rimasi a fissare la scatola chiusa con lo scotch da imballaggio, col suo nome scritto sopra a penna nera.

"GIACOMO".

Ecco un'altra storia che se ne andava.

Era tutto rinchiuso lì, dentro a quattro pareti di cartone senza valore.

Chissà dov'era, chissà se pensava che avermi perso fosse per lui un problema o se stava ancora dormendo nel suo letto, in un appartamento deserto, arredato in maniera assurda, ricolmo di cianfrusaglie, cose inutili, barocche, e, paradossalmente, senza lavatrice.

Se mi malediva.

Se mi compativa perché pensava che nessuno, mai, avrebbe preso il suo posto.

Se si rimproverava qualcosa.

Se mi pensava.

Se pensava all'ultima volta in cui avevamo fatto l'amore, amandoci con una forza che mi aveva fatto male, che mi aveva fatto capire che quella storia era un labirinto senza uscita, dentro al quale saremmo morti tutti e due.

E, tutto intorno, c'era solo silenzio, c'era un mare di cose non dette, di ricordi passati, cancellati dal freddo e dal risentimento, dal fatto che io non ero la donna per lui e lui non era l'uomo per me: tutto divorava la nostra storia e rimaneva solo il nulla, non valeva neanche la pena lottare, crederci, tenere qualcosa.

Non volevo conservare niente del nostro passato: non era stata una bella storia e non avevo particolari ricordi positivi legati a lui.

Perfino il sesso non mi aveva mai lasciato sensazioni indimenticabili: tutto consumato in fretta, senza nessuna vera emozione che mi facesse tremare, o rabbrividire, che mi facesse pensare che ne valeva la pena, che poteva funzionare.

Non avrei pianto, non avrei perso il sonno, la verità era che non mi sarebbe mancato, nemmeno un po'. Rimasi lì, ferma e dubbiosa davanti a quella scatola di cartone, chiedendomi perché ci avessi messo tanto a buttarlo fuori di casa.

Ne avrei trovati altri cento, come lui.

E dire che doveva conoscermi.

A dir la verità, non sapevo proprio come mai fossi finita proprio insieme a Giacomo, ma, forse, era stata anche colpa mia. Non potevo attribuire solo a lui il fallimento della nostra inutile storia: io ero davvero troppo forte, incapace di darmi davvero a qualcuno, ero quella fredda che non si sapeva regalare, ero l'automa macchina da soldi, mentre lui era così concentrato su di sé, così sicuro del proprio talento, così certo che ce l'avrebbe fatta, ma alla fine collezionava solo insuccessi.

Doveva essere niente più dell'ennesimo, classico, prototipo di uomo con cui solitamente avevo una relazione.

Tutti carini, alcuni anche molto belli, in apparenza dannati, ma in realtà inquadrati in stereotipi.

Il bancario che gestiva capitali da capogiro, fissato con gli oroscopi, che non usciva di casa se leggeva qualcosa che non gli piaceva.

Il barista, ossessionato dalle prestazioni, che, prima di infilarsi nel letto, faceva le flessioni in salotto.

TrentacinqueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora