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Andai a casa, mi cambiai e ripensai alla giornata che avevo passato: finalmente ero socia.

Finalmente ce l'avevo fatta.

Solo che quel momento di gloria era stato rovinato da un retrogusto amaro: prima i pettegolezzi che mi aveva riferito Gianluca, poi quella rivista, gettata come uno schiaffo sulla mia scrivania.

Avevo chiesto a Veronica chi fosse entrato nel mio studio, ma, con un'espressione così naturale che nemmeno per un minuto pensai potesse mentirmi, mi aveva detto che, dalle nove in poi, nessuno aveva solcato l'ingresso della mia stanza.

Mi dava fastidio, anzi, no.

Mi faceva arrabbiare.

E un po' mi deprimeva pensare a tutta la rabbia ed il rancore che animavano quei gesti.

Aprii l'acqua della doccia e tentai di calmare i miei bollenti spiriti.

Ma perché, poi, me la prendevo così tanto?

Ero socia e, di lì, a poco, avrei rivisto Leonardo, l'avrei risentito cantare: la mia vita, in fondo, era perfetta.

Mi vestii con una leggera camicetta di cotone e una gonna beige. Misi la mia cravatta rossa e le scarpe dello stesso colore.

Osservai attentamente la mia immagine riflessa nello specchio.

Ero socia. Finalmente.

Dopo tutti quegli anni di lavoro, finalmente una soddisfazione concreta.

A dir la verità, di soddisfazioni, ne avevo avute tante, in quegli anni, ma erano state esultanze personali, mai riconosciute alla luce del sole. Erano piccoli premi che mi elargivo intimamente, godendone da sola.

Un contratto.

Un nuovo cliente.

Un elogio.

Ma, poi, era arrivato lui ed aveva cambiato tutto.

Lui dal quale stavo correndo col cuore in gola. Premendo il pedale dell'acceleratore, incurante dei divieti, degli stop, perché erano esattamente dodici ore, trentatré minuti e venti secondi che non lo vedevo.

Lui che mi aveva spinto a lottare. A difendere il nostro amore, a crederci, a crederci con una tale forza ed intensità che aveva sorpreso me prima di tutti, perché non avevo mai lottato così tanto.

Creduto così tanto.

E, sì, amato così tanto.

Lui che poteva, con una sola parola, cambiare la mia giornata. Che teneva il mio fragile cuore in mano, che poteva uccidermi, poteva darmi vita, poteva tutto, su di me.

Era padrone del mio destino, lo sapevo.

E pregavo, con tutto il mio cuore, che restasse sempre accanto a me.

Parcheggiai fuori dal locale e scesi dalla macchina, augurandomi di passare inosservata il più possibile. Poi pensai che il colore delle mie scarpe era sufficiente per attirare l'attenzione, scossi la testa tra me e me e provai a chiamarlo.

Rispose al primo squillo:

-Laura! Dove sei?

-Sono qua fuori – dissi abbassando lo sguardo e la voce.

-Ti mando fuori Gimmi – ed, effettivamente, nel giro di qualche minuto, il solito enorme Gimmi, che, nel frattempo, avevo scoperto essere una delle guardie del corpo di Leonardo, si affacciò da una delle porte di sicurezza e mi fece un brusco cenno di entrare.

Corsi verso la porta e mi intrufolai come una ladra.

A qualche metro, lo sapevo, lo avrei trovato.

TrentacinqueTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon