2. Le tasche piene di sassi - Parte 9

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Autunno 1997

«Che hai? Perché non mangi?» mi chiede preoccupata. Continuo a giocare col cibo senza rispondere. «Non dirmi che sei ancora triste per Freddie. Tesoro, quante volte te l'avrò detto! I criceti in cattività non vivono più di tre anni, il nostro è sopravvissuto a ben cinque cenoni di Natale della nonna.»

«Non sono triste per Freddie, mamma.» rispondo con voce afflitta.

Si siede accanto a me: «E allora che c'è? Lo sai che con me puoi parlare di tutto.» mi dice dolcemente accarezzandomi il viso.

«Non riesco a essere come gli altri.» le confido con le lacrime agli occhi «Ci provo, lo giuro... Ma proprio non ci riesco...»
«Frena, frena, frena.» mi interrompe prima che scoppi a piangere «Spiegati meglio, amore. Gli altri chi?»
«I miei compagni di classe.»
«E perché vorresti essere come loro? Cos'hanno che tu non hai?»
«Dicono che sono strana... 'Che non parlo mai... E non gli piace stare con me.» ammetto con un filo di voce.

«Chi dice che sei strana?» domanda alzandosi di scatto in preda alla rabbia «Coraggio. Nomi e cognomi che chiamo le loro mamme e gliene dico quattro.»
Le corro incontro allarmata «No mamma, dai. Non farlo.»

«Ho capito. È stata quella sottospecie di controfigura dell'omino Michelin che ti ritrovi come compagno di banco. Quando lo trova il tempo per parlare quello, se ha sempre la bocca impegnata a masticare?»

«Mamma!» l'ammonisco severa.
«Celia, ricordati sempre che l'ipocrisia e il perbenismo non hanno mai aiutato nessuno.» assumo un'espressione interrogativa «Quello che intendo è che se le altre mamme vogliono essere gentili nel definirlo semplicemente paffutello, io consiglierò alla sua di nascondergli merendine e panini con la mortadella.»
«No. Non chiamare, ti prego.» la guardo con due occhioni sconsolati sperando che desista.
Inspira profondamente: «Ok. Va bene. Ora mi calmo.» dice sedendosi sul divanetto di vimini e invitandomi a fare lo stesso. Tira un altro respiro, poi mi chiede: «Tu cosa ne pensi di quello che ti dicono?»

«Non lo so...» rispondo intrecciando le dita di una mano in quelle dell'altra, «Io parlo tanto con chi mi va... L'altro giorno, Marisa non ne poteva più di sentirmi raccontare della nostra gita al mare. Ha detto che le ho descritto talmente tutto in ogni minimo dettaglio che le è sembrato di essere venuta pure lei.» mi sorride divertita, «Mamma, pensi anche tu che io sia strana?» le chiedo contorcendo nervosamente le mani.
«Ehi, ehi... calmati.» prende le mie mani tra le sue, «Non lo penso affatto. Credo piuttosto che non siamo tutti uguali. C'è chi parla tanto e chi invece pensa di più. Ognuno è fatto a modo suo, non c'è niente di strano.»
«Allora perché mi dicono che assomiglio a una mummia?» la voce mi si spezza in gola.

«Chi dice che assomigli a una mummia?» chiede balzando di nuovo in piedi per l'agitazione. Solleva la cornetta del telefono: «Scommetto che è stato Saro Finocchietti. Forse un giorno con tutti quei soldi suo padre riuscirà persino a comprargli una laurea, ma per un cervello sveglio e funzionante c'è poco che potrà fare. Ora mi sente» affondo sconfortata il viso tra le mani, «Ok. Hai ragione. Adesso mi calmo di nuovo.» dice posando il telefono. 

Si rimette a sedere non prima di aver emesso una serie interminabile di sospiri. Fa una pausa e poi mi dice: «Vedi Celia... A questo mondo i chiacchieroni sono molti di più e a volte chi parla tanto pensa poco e va a finire che commette degli errori, come credere di essere normali e in diritto di giudicare strano o deridere chi non è come loro.»

«Cosa posso fare, allora?» le chiedo in difficoltà, «Io ci provo a trovare sempre qualcosa da dire... Anche se non ho voglia di dire niente... Pur di dire sempre qualcosa come fanno... »
«No, Celia.» mi rassicura dolcemente. «Non devi forzarti a fare qualcosa che non ti va, soprattutto se lo fai soltanto per piacere a qualcuno, perché... Non saresti comunque tu a piacergli.» scoraggiata abbasso gli occhi sul pavimento. 

«Sai cosa penso?» continua con voce ferma, «Penso che tu sia la persona più fortunata che io conosca!» la guardo come se avesse appena detto una cavolata, «Dico sul serio. Tu hai la fortuna di riconoscerli subito gli sciocchi... Con te si autodenunciano!», accenno un sorriso anche se non capisco ancora dove voglia arrivare, «È così. Quando qualcuno si accorge del tuo carattere riservato e non resiste all'impulso di fare delle battutine sceme, sai cosa sta dicendo in realtà?» 

Nego scuotendo la testa. «È facilissimo, sta dicendo: "Hey, ma non mi riconosci? Sono un grandissimo sciocco".» comincio a ridere, «Credimi! Solo uno sciocco si divertirebbe nel prendere in giro e mettere a disagio qualcun altro. Tutto questo, poi, pur di racimolare qualche stupida risatina. Ma in fondo ognuno prova soddisfazione a modo suo. Te l'ho già detto non siamo tutti uguali.» esplodo finalmente in una risata liberatoria, «Tu ridi, ma è la verità. A te serve poco per riconoscerli e scansarli. Pensa invece a chi è costretto a frequentarli per mesi, se non addirittura anni, prima di rendersene conto. È una terribile ingiustizia la loro!» 

Ormai sono piegata in due dalle risate.

«Pensi che posso usare qualche volta la storia dell'omino Michelin e del cervello funzionante?» le chiedo dopo essermi ripresa.
Mia madre ride nervosamente: «No, amore. Dimentica quello che ho detto prima, va bene? Si tratta solo dello sfogo di una mamma che stravede per la sua bambina.» mi risponde passandomi una mano tra i capelli. 

Non riesco a nascondere una punta di dispiacere.

«Oh, e va bene. Sei autorizzata. Tanto, prima o poi, un incontro indesiderato con quelle mamme non me lo toglierà nessuno» dice facendo una smorfia che mi fa di nuovo scoppiare a ridere. «Ascoltami bene, però. Se qualche volta ti va di rispondere per le rime, mi sta bene. Ma stai attenta a non cadere nella trappola delle loro provocazioni. Non farti trascinare al loro stesso livello... Non ne vale la pena. Siamo intesi?» annuisco con un gesto del capo, «Ho ancora una cosa da dirti, la più importante, che dovrà valere da qui all'eternità.» dice inginocchiandosi davanti a me, in modo da poterci guardare in faccia.

«Promettimi che non concederai mai più a nessuno il potere di convincerti che sei sbagliata. Che non penserai mai più di dover cambiare per piacere agli altri. Hai il privilegio di essere unica, non rinunciarci mai. Non rinunciare mai a te stessa per nessuna ragione al mondo. Incontrerai chi saprà accettarti così come sei e chi ti vorrà proprio perché sei come sei.» 

Sotto il peso di quelle parole abbasso lo sguardo ma lei non demorde e sollevandomi delicatamente il mento con la punta delle dita resta in attesa di una mia risposta. La guardo dritto negli occhi per un istante e con la consapevolezza di non poter più tornare indietro, perché niente mi farebbe sentire peggio che darle una delusione, rispondo: «Te lo prometto, mamma.»

Sotto la pelleWhere stories live. Discover now