Capitolo 2

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Da un certo punto di vista prendere la metro di mattina era anche peggio che prenderla la sera.

Innanzitutto c'era molta più gente; spesso Carter si ritrovava appiccicata a diversi corpi di estranei, e la sua ferrea selettività per le persone a cui autorizzava un contatto fisico la portava a convivere con un disgusto viscerale per tutta la durata del viaggio. Inoltre, se la sera aveva almeno la consolazione che il tragitto in metro fosse l'unica cosa che la separava da una notte di meritato riposo, di mattina non era così; una volta scesa sulla banchina di St. Johns Wood, infatti, la aspettava ancora una lunga giornata lavorativa.

La ragazza emise un sospiro di sconforto al solo pensiero, mentre tentava di mantenere quanta più distanza possibile dai due signori un po' attempati che chiacchieravano ad alta voce proprio accanto a lei.

La metro prese a rallentare, e Carter lesse di sfuggita il nome della stazione di Kilburn sui cartelli della banchina prima di riportare la propria attenzione dallo schermo del cellulare. Selezionò la playlist che più di ogni altra era in grado di isolarla dal mondo ed avviò la riproduzione casuale; quando nelle sue orecchie si diffusero le prime note di The Holy Drinker di Steven Wilson lei sorrise appena, chiudendo gli occhi, finalmente un po' più in pace con ciò che la circondava.

Il volume delle cuffie era talmente alto che quasi non si accorse che la metro era ripartita dopo essersi fermata a Kilburn; il brano era già iniziato da un paio di minuti, e Carter era completamente assorbita nel seguire il complesso intreccio delle varie linee melodiche irregolari e dissonanti.

Nel momento in cui la musica si interruppe di colpo la ragazza ripiombò drasticamente nella realtà, e riaprì gli occhi smarrita per capire cosa fosse successo. Quello che vide le fece sprofondare lo stomaco e seccare la gola.

Il suo sconosciuto era accanto a lei, con lo stesso sorriso furbo di poche sere prima, e teneva in mano il microfono delle cuffie di Carter – plausibilmente era stato lui stesso a mettere di proposito la musica in pausa.

Quella mano. La mano sinistra che era ormai incisa irreversibilmente nella memoria di lei si trovava ad appena un paio di centimetri dalla sua guancia.

«Una ragazza che ascolta Steven Wilson non dovrebbe avere paura di un dipendente di Tesco. La sua musica è parecchio più inquietante di me»

Carter deglutì a vuoto, ancora sbalordita. Non solo lui era sulla metro insieme a lei ad un orario improbabile, non solo era di una bellezza sfolgorante che le faceva quasi male al cuore, ma sembrava anche conoscere bene uno dei suoi artisti preferiti.

Ed era di nuovo lì impalata come una stupida davanti a lui, senza essere in grado di dire una parola.

Lui tuttavia non sembrò turbato dal suo silenzio teso; difatti ridacchiò, lasciando andare il cavetto delle cuffie e passandosi la mano tra i lunghi capelli castani.

«Forse se mi presento sembrerò meno spaventoso» scherzò poi, un lampo giocoso nei luminosi occhi verdi. «Mi chiamo Harry, e ti assicuro che non ho intenzione di mangiarti o qualcosa di simile. Questo ti può tranquillizzare?»

Harry. Non aveva mai neppure considerato questo nome, ma ora che gliel'aveva detto era come se non potesse che essere così. Era a dir poco perfetto per lui, ed il modo in cui l'aveva pronunciato aveva fatto tremare qualcosa all'altezza dello stomaco di Carter.

Quest'ultima si obbligò a recuperare un barlume di lucidità, e dopo essersi schiarita la gola riuscì a rispondere.

«I suoi lavori non sono inquietanti, sono solo tristi» puntualizzò, per poi rendersi conto del fatto che non aveva neppure risposto alla sua presentazione ma aveva semplicemente polemizzato. Avrebbe voluto picchiarsi da sola.

Details || H. S.Where stories live. Discover now