25. Sonno e Catene

34 8 2
                                    

Nel tardo e caldo pomeriggio, l'uomo lupo giaceva in catene in una grande stanza color mattone, pazzo di rabbia e con il pelo ritto, ma inoffensivo così costretto, come un cane da addomesticare.

Il suo petto si alzava e si abbassava rapidamente, come un mantice, e dalle fauci aperte rotolavano goccioline di saliva.

Mark era seduto non molto lontano dalla creatura, a cavallo di un economico sgabello d'acciaio, e la guardava affascinato da sotto le palpebre semichiuse

«Il Mostro di Boston» mormorò, il tono basso e rauco modulato, che mostrava una nota quasi d'affetto «Quanti ne ha uccisi, tutto da solo? Eh, Mostro di Boston?».

L'uomo lupo tirò verso l'umano, tese al massimo le catene dai grossi anelli che lo costringevano su tutti e quattro gli arti e sul collo robusto, ruggendo tutto il suo disprezzo attraverso un vibrare graffiante della gola, gli occhi brillanti d'argento illuminati di una furia cieca. Tirava così tanto le catene che la pelle aveva iniziato a sanguinare, ma sarebbe guarito in fretta da quelle ferite.

Mark si alzò lentamente e gli andò incontro, le grosse mani in tasca. L'uomo lupo reclinò le orecchie all'indietro e smise di ringhiare, si adagiò lentamente sulle quattro zampe e guardò l'umano con un pizzico di timore, una luce tremolante dietro le iridi di metallo fuso, il muso fremente a metà fra l'apertamente ostile e il ritroso.

Mark tese il palmo destro verso la testa della creatura e l'accarezzò lentamente fra le orecchie, con una sorta di affettuosa dolcezza intrisa però di potere

«Hai combinato molti guai» gli disse piano, contraendo le dita e poi rilassandole «Non sai cosa ho dovuto fare per rimediare a una parte dei danni e portarti qui, eh Mostro di Boston?».

L'uomo lupo si divincolò, svincolò via dal tocco dell'uomo e fece per morderlo, ma quest'ultimo fu più svelto ad allontanarsi, per sottrarsi da quel morso che poteva fare parecchio male.

La creatura pelosa scoprì i denti affilati e fu percorsa da un brivido che gli rizzò la pelliccia dalla testa alla punta della coda. Non gli piaceva troppo quell'umano, neppure da mangiare, ma c'era qualcosa in lui che lo rendeva spaventevole, pericoloso, e non era la taglia, ma qualcos'altro nella sua fisionomia e nella sua voce roca.

Lo guardò, argento perso in quelle iridi di boschi glaciali, tremò, ma non lo odiò. Lo sopportò come si sopporta un fratello di branco molto molesto, ma come avrebbe voluto dargli un paio di morsi per fargli vedere chi comandava!

Mark si allontanò

«Stammi bene, Mostro di Boston, me lo devi dopo quello che ho fatto per salvarti» raccomandò, accompagnando le parole con un gesto della mano, poi si incamminò per il corridoio tranquillo e raggiunse, dopo aver salito le scale, una camera da letto.

Tutto era di legno là dentro, ma curiosamente ciò non appesantiva il locale: pannelli rossicci chiari tappezzavano le pareti e componevano la testata del letto e il piccolo armadio semplice chiuso a chiave, dando un'impressione di calore, ma senza soffocare.

Sul materasso candido, con le braccia distese lungo il corpo, dormiva un giovane americano dai capelli neri scompigliati, il respiro regolare, ma lievemente affannato, veloce. Sotto le palpebre i suoi occhi si muovevano: sognava. Non aveva la camicia e sul torso nudo si intravedevano cicatrici bianche in rilievo, una sul fianco e l'altra fra il collo e la spalla, sul muscolo trapezio.

Mark pese una sedia e se la trascinò vicino al letto, poi ci si sedette a cavallo appoggiando il petto alla spalliera.

Allungò una mano sulla fronte di Harry e notò con rabbia che scottava. La temperatura doveva esserglisi alzata di almeno due gradi, ma era meno pallido e non tremava più come quando era stato raccolto.

Scontramondi - 1. La pietra delle fontiWhere stories live. Discover now