chapter one: burnt rose

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"La vita non è aspettare che passi la tempesta,
ma imparare a ballare
sotto la pioggia."
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E quante sono state le volte in cui ho provato a ballare sotto la pioggia, sotto un cielo scuro senza ne sicurezza ne bei ricordi, solo nero, niente stelle a fare compagnia alla luna, nulla.

Ho provato a sorridere perché i momenti migliori sono quelli dove si è spontanei.
Ma la tempesta ci sarà sempre, dentro e fuori di me e la volontà di provarci è sempre stata proprio sotto i miei piedi.

Imparerò mai a lasciarmi andare completamente e a ballare sotto la pioggia?

Sistemo la bicicletta al mio solito posto e abbasso il cappuccio della felpa grigia dalla mia testa.
Oggi è particolarmente umido, ciò rende il clima di Seattle ancora più freddo e cupo di quanto già non lo sia in questo periodo dell'anno. Si alza la nebbia e non si vede più niente. E c'è anche il rischio di fare un bell'incidente.

Il cortile della scuola è invaso da studenti infreddoliti, cappotti pesanti e nuvolette che escono dalla bocca di ognuno di loro.

L'inverno mi piace. Mi piace il pensiero di me su una poltrona calda, tenuta al caldo da una pesante coperta, un buon tè caldo tra le mani e la neve che cade all'esterno.
La sensazione di serenità, la famiglia riunita attorno ad un camino che guarda un film, è sempre stato uno dei miei sogni più ricorrenti.

Noto mia sorella maggiore Amelia.
È seduta sulle gambe di Christopher, il suo dolce ragazzo da ormai quasi un anno.
Le loro mani sono intrecciate e parlano tranquillamente con Nicole e Denise, le due migliori amiche di Amelia.

Quest'ultima parla con loro, inconsapevole degli occhi amorevoli di Christopher, posati su di lei.
Ed è magnifico, il modo in cui la guarda.
Il suo sorriso è dovuto dalla sua presenza, dal suo carattere amabile, affettuoso e maledettamente perfetto.

Ed ho sempre pensato che fosse bellissima la sensazione che si ha sapendo che la persona accanto a te, sorride per merito tuo.

Mordo il labbro inferiore con violenza, costringendomi a togliere gli occhi da quella scena, sembro una fottuta stalker. Dopo qualche secondo di titubanza, mi avvio verso l'entrata della grande scuola.

Prima che possa effettivamente entrare, due ragazze mi bloccano il passaggio.
A primo impatto potrei benissimo scambiarle per delle ragazzine di prima media: i capelli di entrambe sono legati in due lunghe trecce, con la differenza che una è bionda e l'altra è mora.
I miei occhi cadono, istintivamente, ad analizzare la pelle di entrambe.

Ho questa specie di ossessione sul guardare sempre la pelle degli altri, perché so che la mia non potrà mai essere colorata come la loro e sarà sempre pallida come quella di un cadavere.

Sono affetta da una malattia molto particolare che ho ereditato dalla mia nonna paterna, insieme ai tratti caratteristici dello stato in cui sono nata. Il Canada.

Si chiama Albinismo, è un'anomalia genetica caratterizzata dalla completa o parziale carenza di pigmentazione melaninica nella pelle, nell'iride, nei peli e nei capelli. Ed io ovviamente sono riuscita ad ereditare uno degli stadi più gravi e rari dell'albinismo, quello totale.

Non posso stare alla luce del sole per più di cinque minuti senza rischiare di bruciarmi in modo duraturo oppure di provocati dei tumori; ciò vuol dire niente pelle olivastra!

I miei occhi sono chiari, grigi e i capelli sono completamente decolorati, bianchi come la neve. Fin da quando sono nata capì che la mia malattia sarebbe per sempre stata la mia condanna.

«Ciao! Noi siamo Abigail e Peyton» Mi sorride la mora.
Alzo le sopracciglia attendendo che dicano qualcosa che, possibilmente, non mi annoi a morte.

The sun and the moon.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora