Capitolo Tredicesimo

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Lupo era sdraiato su un letto dalle lenzuola azzurre, la testa appoggiata su un soffice cuscino dello stesso colore; gli avevano adagiato le braccia sopra alle coperte. I suoi occhi erano chiusi e la testa leggermente inclinata da un lato. Poco più in giù, una maschera per l'ossigeno non permetteva si vedessero naso e bocca. Essa era collegata con un tubo che era congiunto a sua volta con una macchina unita alla parete. La mascherina si appannava ogni volta che il ragazzo espirava ed Enrico, per quanto fosse mortificato a vederlo in quello stato, tirò un sospiro di sollievo: respirava, era vivo. Si avvicinò al letto e gli prese una mano, mentre gli si inumidivano gli occhi. Giorgia invece rimase immobile, mentre mille pensieri le si accavallavano nella mente senza che nessuno venisse veramente preso in esame. Dei passi affrettati li fecero sobbalzare e quando si voltarono per vedere chi fosse si ritrovarono faccia a faccia con un uomo in camice bianco e i capelli color nocciola. Portava grossi occhiali a goccia con delle lenti finissime attraverso le quali grandi occhi verdi scrutavano tutt'intorno.
- Buongiorno, sono il dottor Iago Russel, conoscete questo ragazzo?
La giovane fissò Enrico come per dirgli di parlare.
- Sì, è un nostro caro amico. - proferì quello piano.
Il medico gli rivolse un sorriso forzato: - Abbiamo provato a contattare i genitori, ma il numero fisso segnato appare inestente.
- Hanno tolto la linea fissa da mesi ormai... - commentò acido.
- Purtroppo l'ospedale dispone di un solo catalogo delle pagine bianche, aggiornato secondo l'inizio di quest'anno. - rispose pacatamente l'uomo.
- Mi pare di avere il numero di sua madre... Se vuole posso provare a contattarla.
- Te ne sarei davvero grato.
Enrico annuì: - Che ha Lupo? - chiese così piano che perfino lui fece fatica a sentirsi.
Tuttavia il dottore non si scompose, anzi sospirò in tono grave.
- Purtroppo non sappiamo ancora con certezza, dobbiamo continuare gli esami se vogliamo restringere il campo di ipotesi. Pertanto preferiremmo tenerlo sotto osservazione, è troppo pericoloso mandarlo a casa in questo stato.
- Pericoloso...?
- Proprio così, almeno finché non scopriamo di che cosa si tratta.
I due ragazzi si scambiarono uno sguardo allarmato. Sembrava quasi di vivere un incubo, uno stupido incubo ricolmo di disgrazie. Ma non lo era, era ancora peggio: la realtà alle volte faceva più male degli incubi.
- Se mi dai i contatti dei genitori ci penso io ad avvisarli.
- Certo, grazie...
Il dottore gli mise un braccio intorno alle spalle e lo guidò fuori dalla stanza con un'espressione di comprensione stampata in volto. Giorgia mosse un passo verso Lupo, ma poi si arrestò titubante e alzò lo sguardo verso il soffitto, mentre un lacrima le scorreva lungo una guancia. Non avrebbe mai ammesso di essere estremamente sensibile, però in quel momento... Quando riabbassò lo sguardo si scontrò con due occhi trasparenti. Sorrise.
- Ciao... - mormorò, mentre nuove lacrime le affioravano agli occhi, assolutamente contro la sua volontà.
- Piangi. - constatò il ragazzo senza fare una piega.
La giovane si avvicinò al letto.
- Piango. - gli diede ragione. - Come stai?
La sua voce era ormai completamente rotta dal pianto. Lupo allungò una mano verso di lei e le accarezzò la testa.
- Bene. - sussurrò poi.
Il viso di Giorgia era ormai bagnato di lacrime, che scendevano incontrollate verso il mento per andare a depositarsi sul primo ostacolo che incontravano. La ragazza si chinò sulla spalla di Lupo e si lasciò andare ai singhiozzi. Si sentiva di un imbecille elevato all'infinito, ma non era più in grado di fermarsi.
- Scusami. - mormorò quando ebbe di nuovo le forze per riprendere coscienza di sé - Ti ho inzuppato tutto il pigiama...
- Perché piangevi? - chiese lui, ignorando il tessuto bagnato appiccicato alla pelle.
- Perché credo di aver sbagliato tutto. Non so nemmeno se mio fratello avrà intenzione di perdonarmi un giorno... E poi tu; quando sei svenuto in piscina per me è stato uno shock. Ho sbagliato a trattarti a quel modo ieri sera, non te lo meritavi.
Lupo tacque per qualche minuto e lei rimase lì, vicino al letto, non si mosse di una virgola.
- Non mi hai trattato male...eri solo certa che la mia idea fosse errata in confronto alla tua e quindi l'hai protetta come potevi...
- Signorina!
Un'infermiera entrò nella stanza con fare scocciato: - Il ragazzo deve riposare, lei non potrebbe stare in questa stanza.
- Mi scusi, me ne vado subito.
L'altra la guardò con circospezione, poi se ne andò a passo spedito.
- Davvero te ne vai? - le chiese Lupo, sorridendo di sbieco.
- L'infermiera ha ragione, hai bisogno di riposare. Domani ti sottoporranno ad altri esami per scoprire se il tuo è stato solo un mancamento o c'è dell'altro.
Il ragazzo annuì cupo e girò la testa dalla parte opposta.
- Mi dispiace, Lupo.
Quello scosse il capo mentre sentiva i passi della ragazza muoversi verso l'uscio.
- Giorgia. - la fermò.
Lei si voltò e lo guardò con aria interrogativa.
- Enrico ti ha già perdonato.
La giovane annuì e sorrise, imboccando il corridoio e lasciandolo solo.
Inizialmente aveva dato per scontato che sarebbe andata in bagno e ci sarebbe rimasta finché il rossore non fosse scomparso dai suoi occhi, ma poi l'aveva considerato un gesto superfluo in confronto alla situazione che stava vivendo. Vagò per il piano finché non trovò Enrico ed il dottore. Li scorse grazie ad uno spiraglio di una porta, lasciata socchiusa presumibilmente dal medico stesso, intenti a parlare fittamente. Appoggiò piano la mano alla porta, spingendola, e quella inizialmente cigolò, poi proseguì la sua corsa fino a schiantarsi con la maniglia contro alla parete. I due si voltarono nello stesso istante. Enrico allungò al dottore un foglietto su cui aveva scarabocchiato dei numeri, poi si alzò dalla sedia e si avvicinò alla sorella, stoppandosi di fronte a lei. Quella prese fiato per dire qualcosa, ma lui fu più veloce.
- Non dire niente. - proferì sommessamente.
Poi, quando meno se lo aspettava, lui l'abbracciò, stringendola a sé. Sulle prime Giorgia non reagì, lasciò che la sua testa si appoggiasse alla spalla del fratello, poi sorrise ed avvolse le sue braccia attorno al corpo di Enrico. Nessuno dei due osò fiatare per un tempo che alla ragazza sembrò interminabile. Quasi non riusciva a credere a quello che stava succedendo; Lupo aveva ragione.
- Mi sei mancato, Enrico. - mormorò.

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