Capitolo Quarantaduesimo

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- Ragazzi, apprezzo davvero il vostro spirito di iniziativa e percepisco quanto bene vogliate a Lupo, ma mi state chiedendo una responsabilità troppo importante per me.
Massimo abbassò gli occhi: avrebbe dovuto immaginarselo, eppure solo ora si rendeva conto di quanto gli facesse male una risposta negativa.
- La prego, dottore. – intervenne Enrico – Lupo sa bene quanto gli rimane da vivere. Non faccio tutto questo per fargli un regalo prima che venga a mancare, cioè non solo: ma in quanto suo migliore amico so che Lupo vuole vivere e lo vuole più di ogni altra cosa. Però non gli è concesso. – fece una pausa e rivolse lo sguardo alla finestra – Quello che le voglio dire, dottore, è che non merita di passare gli ultimi giorni della sua vita in un letto di ospedale; non lo faremo sentire ancora vivo in questo modo. Forse il mio ragionamento è stupido, ma è come se gli dicessimo Ehi, tutto questo è una preparazione alla tua morte, in questo modo ci abitueremo al fatto che non ci sarai più, spero che lei mi segua. Lupo merita di rivedere un'ultima volta la sua maggior ragione di vita, la sua squadra, i suoi compagni. Merita di vedere un'ultima volta il pubblico esultare, completamente in balia della gara e dell'esito che essa avrà. Merita tutto questo. Non di spegnersi lentamente, immobile, in silenzio, in uno stupido letto.
Gli tremava la voce, ma i suoi piedi erano piantati a terra con decisione, come a dimostrare la sua voglia di arrivare vittorioso in fondo alla questione.
Il dottore si mise a passeggiare lentamente per la stanza, lo sguardo fisso a terra e le mani incrociate dietro alla schiena. Indugiò qualche attimo, poi scosse la testa. – Mi dispiace ragazzi. Voglio bene a Lupo come se fosse mio figlio ed è appunto per questo che rinnego la vostra proposta: a parte la responsabilità che avrei, di cui vi ho già accennato prima, se dovesse sentirsi male non sono quasi sicuro che ce la farebbe. I suoi polmoni sono deboli così come il suo cuore, non deve affaticarsi per nessun motivo. E se anche quel giorno non si affaticasse, perché verrebbe portato su una carrozzina a rotelle, le emozioni che proverebbe aggraverebbero ulteriormente il suo stato di salute. – scosse nuovamente il capo – E io non posso permetterlo.
- Sei un vigliacco, papà: hai paura. – irruppe nella stanza la voce di Annah, che era rimasta in silenzio fino a quel momento.
- Certo che ho paura. – le rispose con calma, ma la figlia scosse la testa con decisione.
- Ma non hai maggiormente paura per Lupo; hai paura perché se a Lupo succedesse qualcosa, Cassandra se la prenderebbe con te. Hai paura che lei ti dia la colpa, che ti lasci se Lupo dovesse sentirsi male in piscina.
Massimo alzò gli occhi verso il medico: l'uomo aveva abbassato lo sguardo a terra, rosso in viso.
- Bingo. – commentò la piccola.

***

- Ho una bella notizia. – la donna tirò la bocca in un sorriso appena accennato, guardando il figlio con affetto.
- Mi fa piacere che almeno una ce ne sia in questo periodo. - le rispose lui, tamburellando con le dita sul sondino.
- Tuo padre è andato di sua spontanea volontà in una clinica con l'intenzione di disintossicarsi. - fece una pausa in cui Lupo non poté fare a meno di sollevare un lembo della bocca, annuendo lieto - Mi ha chiesto scusa per tutto quello che ha fatto, ha detto di salutarti e che spera lo facciano uscire al più presto così che possa venirti a trovare.
- Questo è papà.
Cassandra annuì convinta. – Non sai quanto è stato bello sentire finalmente la sua voce parlare come non faceva da tempo, dire cose buone e con un senso logico
La donna si voltò verso la porta dove stavano bussando insistentemente al vetro, interrompendosi, e si avvicinò per aprire a un infermiere trafelato. Lupo si immaginò già l'annuncio di nuovi prelievi, controlli e quant'altro per il sottoscritto, ma quando la madre lo salutò frettolosamente con la mano e sparì con l'uomo capì che cera dell'altro. Si mise in ascolto, ma comprese che i due non erano più nei dintorni dai passi affrettati che si allontanavano, affievolendosi sempre di più. Captò però, seppure non distinte, due voci che gli parvero famigliari. Sembravano incerte, insicure e con una punta di esasperazione.
- Vorrei salutarlo, ma non potrei. - disse la prima. Cera un altro sentimento in quell'affermazione: nostalgia.
- Intrufolati velocemente, giusto per un saluto, io ti aspetto qui.
- Avrei bisogno perlomeno di una mascherina, non è sicuro insomma
- Lì ce nè una.
Poi nessuno dei due parlò più, ci furono solo fruscii, passi e sospiri ansiosi. La porta della sua stanza si aprì inaspettatamente e ne entrò un ragazzo avvolto in una giacca blu lunga fino al ginocchio e chiusa in vita da due bottoni. Il viso era per metà nascosto dalla mascherina, ma gli occhi scuri, vispi, che lo fissavano al di sopra di essa li avrebbe riconosciuti tra mille. Lupo fece leva sulle braccia per mettersi a sedere, ma l'amico scosse la testa.
- Ti prego, sta giù, va benissimo anche così.
- Ce la faccio. – ribatté l'altro, testardo.
Enrico sbuffò, poi gli sistemò i cuscini dietro alla schiena una volta che l'ebbe aiutato a sedersi. Lupo alzò gli occhi trasparenti verso il ragazzo. – Sei venuto alla fine.
L'altro distolse lo sguardo e fissò la mensola della stanza, cercando di trovarci più particolari possibili. – Perdonami. – si odiò, ma una lacrima solitaria aveva già cominciato a solcargli una guancia.
Si voltò verso l'amico e non poté fare a meno di provare ancora più dolore per il sondino e per tutto ciò che gli avevano attaccato perché rimanesse in vita il più a lungo possibile. Si sedette lentamente sul letto, accanto alle gambe di Lupo, poi allungò le braccia nella sua direzione e gliele strinse al collo, lasciandosi completamente andare solo quando avvertì le mani dell'altro sulla sua schiena.
Lupo era lì, era ancora vivo, ma gli mancava terribilmente.
- Ascolta, non andartene più, mi hai capito? – gli disse inaspettatamente ad un certo punto – Non lasciarmi più solo, anche io ho bisogno di te.
Stava piangendo, Enrico ci avrebbe messo la mano sul fuoco. Loro che si erano da sempre considerati due forze della natura inarrestabili, avevano perso la loro corsa contro il destino. Erano crollati entrambi, sapendo però di aver appena vinto la corsa contro il tempo: si erano ritrovati; erano di nuovo insieme.
Si divisero ed Enrico scoppiò a ridere. – Scusa, sono un disastro, ho fatto commuovere anche te.
Abbassò lo sguardo e si asciugò il viso come potè con la manica della giacca.
Lupo gli sorrise. – Cosa ci fate qui tu e Max?

Voglio avere un SensoWhere stories live. Discover now