riguardo te

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C'hai bisogno di una data e di un'ora? Certo, e non è poi così difficile.
Ora, nella mia concretezza dove tutto parla di te.

Ho questi sogni assurdi in cui ti perdo e vorrai capirmi --- mi sveglio con una palpitazione incredibile. E poi non dormo neppure per il cazzo ma, ripeto, mi capirai se ci provi un minimo: quell'ansia, quel timore, un po' di tremolio alle dita e penso che non è possibile che qualcosa della mia vita non ti riguardi, che non sia riguardo te.

E mi piacerebbe dire che tutto ciò che scrivo ti riguarda, che non è Darcy il centro - ma no. Mi dispiace. Non è che sia Darcy il fulcro, il perno insomma, è che non c'è un fottuto centro di un bel niente. Non scrivo, non immagino.  Brutta roba, mia nonna si è portata via una parte della mia esistenza, la quale non la riguardava nemmeno. Eppure è come se io non vedessi al di là di un palmo dal mio naso, come se io non sognassi, non amassi. E io amo. Stavolta per davvero.

Non posso averti a metà, Holden. Non posso proprio pensarci a dividerti. Che ne so, mi prendo un braccio, un piede, un polmone e non avere il tuo cuore. Con Darcy era tutto così semplice: era la mia musa, tutto quello che lo riguardava era miseramente meraviglioso, idilliaco, melodico, artistico. Tu sei un bel po' sotto a quel livello di ispirazione: cosa dovrei scrivere? Del modo sbadato in cui rutti o di come non porti gli occhiali mentre sei con me. Dei capelli sempre strani - forse fra poco non li avrai manco più - o degli occhi che non sono di nessun colore pieno di bellezza, ma più simile alla cacca di cane.

Non prenderla a male, tesoro, ma niente di quello che ti circonda può essere considerato aleggiante nella armonia, niente di quello che scriverei potrebbe considerarsi minimamente paragonabile a quanto scrivevo prima. Ma ti amo, di un amore che è vero. Altro che Darcy. Poveretto, ma le muse sono passeggere, ti incantano, ti ammanettano, fino a che qualcuno non lo farà in maniera più audace e fran sei passato. Anche se temo che dalla mia scrittura egli non sparirà mai.

Ma tu, tu non mi fai provare niente di poetico, di sofferente, di incredibilmente e in modo stupefacente nauseante. E cosa c'è? Perché mi sveglio pensando che non possa esserci pensiero che non ti riguardi nemmeno lontanamente? Perché se bevo penso che sei il pilastro della mia anima traballante? Perché odio ammettere che o tutto o niente? Perché sprizzo felicità? In tanti anni di scrittura non ho mai provato tanto godimento come negli ultimi mesi e penso: cazzo sono felice. E niente, la esistenza umana è come un pendolo che oscilla fra un treno perso e una lezione di biologia massacrante, tuttavia passa per alcuni attimi di chiacchiere in macchina o di risate nel letto, o di dormite, perché no?

Funziona tutto come se quel gabbiano che volava per compiacere il piccolo pettirosso, ora volasse per la gioia di andare veloce, per il brivido della scelta e dell'autocompiacimento. Non sei un pettirosso delicato, piuttosto un pappagallo buffo; sebbene questa non appaia come una lettera d'amore non si spiegano i sorrisi che la tua goffaggine mi procura o il tormento che la tua assenza apporta.

Ogni benedetto fattore estraneo si ferma quando affondi in me, quando i nostri occhi si incontrano, quando spunta un sorriso sulle tue labbra corrucciate, quando conto i minuti o quando volo perché con te non ho bisogno di esistere per altri che non siano me stessa. So volermi, so amarmi, so criticarmi con note più gentili. Non c'è notte in cui non vada a dormire senza la sensazione delle tue braccia che mi avvolgono e tutto ciò è così esilarante e per niente avvinghiante, so cosa penserebbero le mie lettrici.

Ma tu sei quel gatto grasso che ogni persona vorrebbe abbracciare. Sei lì, a portata di mano, per niente dell'idea di doverti muovere e magari addormentato. Così a portata di mano da darti per scontato. Come un treno, come un autobus. Come se temessi che le tue porte potessero chiudersi e io restare col culo appostato su una panchina fredda e sudicia, con le mie vecchie vans incrociate ed una felpa rosa. Non vorrei mai che non ci fossero più possibilità di entrare e sedermi su un sedile sudicio altrettanto rispetto alla panchina, o magari di più, ma un tuo sedile. Bearmi del silenzio del percorso, del fastidio per la presenza di altri accomodati esattamente come me e della cattiva impressione che i tuoi finestrini mi faranno. Poi comincerei ad appoggiarmi, a sistemare le cuffie, un buon libro e mi sentirei completamente a mio agio, perfettamente in sincronia col tuo percorso. E a ciascuna stazione qualcuno scenderebbe e io appoggerei i piedi sul tavolino perché l'inciviltà mi è concessa nel nostro intimo e ammirerei il paesaggio che cambia e da Roma Termini finiremmo a Bologna centro e poi misteriosamente a Napoli. Persone scenderebbero e salirebbero ma io starò lì, curiosa, silenziosa, speranzosa, con il mio libro ormai terminato e non è che non mi interessi del suo completamento, solo che la realtà per la prima volta è semplicemente più entusiasmante di qualsivoglia parola stampata - sempre meravigliosa e ricca di allegorie che amo, intendiamoci, - o di una canzone, o del telefono che tanto mi distrae perché si sarà scaricato e io non me ne curerò per nessun motivo poiché staró cogliendo i dettagli che ti riguardano. E oltre ciò che tutti i restanti potrebbero percepire, dai finestrini sporchi o graffiati, ai sedili scomodi al patetico controllore con la pancia enorme, quali potrebbero somigliare alla tua incapacità di serietà alla apparente superficialità, e noterei il rumore del viaggio, o conosciuto come la tua voce, lo spazio disponibile, o il tuo enorme cuore, e qualche cagnolino che abusivamente è salito su trenitalia, la tua lealtà e quella sincerità così rare.

E guarderei oltre tutto, oltre te e le tue apparenze, perché ci sarebbero migliaia di dettagli più belli, più profondi.

Jane Austen è da contorno --- non che io non la sottolinei, o che Emily Bronte non mi rapisca. Ma niente è così avvincente come la tua fugacità, Holden. Ed è comico come io ti abbia paragonato all'unico personaggio più sottovalutato della letteratura, quello considerato per ragazzini, quello che racconta solamente palle e combina soltanto guai. Vivi nell'esatto opposto, eppure inganni con cotanta facilità. Non esisti in arroganza o superiorità, non leggi o scrivi versi per la tua Lizzie, né hai l'anima uguale alla mia come Heathcliff con Catherine, né sei così fugace come Leon nei confronti della sua Emma, e neppure illusorio come Daisy, la cui voce è piena di soldi, nei riguardi del povero Gatsby. Non hai una parte complementare, non si direbbe tu possa amare con così profondo altruismo né che tu riesca a donarti in tutte le tue più piccole dimensioni, ma lo fai. Inganni, come Holden. Inconsciamente, rispetto alla sua consapevolezza (tuttavia mi piace pensare che egli non fosse poi consapevole della sua crescita) e muti, muti, muti, che è difficile starti dietro.

E in questo viaggio, in cui sogno quando m'addormento, e non mi sveglio in preda all'angoscia di non trovarti o non guardo ogni tuoi particolare, non so nemmeno scrivere. Con Darcy era così semplice, le parole fuoriuscivano. Ma con Darcy ero così infelice. L'arte accompagna i miseri, gli sbandati, i sognatori, gli assurdi, le puttane. Rientro ancora in parecchie di queste categorie, ma sono così felice, così completa che per un momento ho pensato di ritenermi soddisfatta. Ma quando l'altro giorno mi hai guardata e hai detto Credo d'amarti ho capito: non è che perché sono felice non so scrivere, è perché pensavo di dover dare un nuovo idillio alle mie parole, ma non ve n'è bisogno: nessun gabbiano che vola per rallegrare il pettirosso, nessun Orgoglio e Pregiudizio sottolineato con il rammarico e nessun cuore infranto, solo una misera speranza che la vita sia un granché.

E io ho cominciato a leggere perché pensavo che essa non lo fosse (Alessandro Baricco), per non pensare alla matematica o, meglio, non pensare (Ian McEwan); ora leggo con la speranza che non lascerò questo mondo, ma vi entrerò con un ingresso diverso (Virginia Woolf) e che la mia scrittura non sarà mai soddisfacente come la precedente perché la vivo come un completamento e non un bisogno di evasione.

Perché non sei una musa, non sei eterno. Il mio amore non è distruggente, romantico. È concreto, è sviscerante, è pieno di dolore e gioia, mi rovista nello stomaco, sento le parole in gola e non c'è treno in ritardo o brutta interrogazione che possa rovinarlo.

Ora c'è il tramonto e non mi chiudo in nessuna gabbia: volo perché tu me lo hai insegnato e di notte tutte le cose che ti riguardano non mi serve sognarle, posso ammirarle volando per me.

Ora il mio tempo è finito, ma non esisti solo qui.

Ora questo è scritto e tutto è cambiato perché parlerò con te riguardo noi.

Da un piccolo testo sconsiderato e rapido

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⏰ Huling update: May 03, 2019 ⏰

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