Primo epilogo

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Era una brutta e triste mattinata, il cielo pareva nube, le gocce scendevano veloci, schiantandosi contro l'asfalto gremito di macchine che sfrecciavano a tutta velocità.

Il ragazzo si sedette sul balcone della finestra stringendosi nella giacca nera indossata apposta per l'occasione.

Il freddo pungente quasi entrava nelle ossa, come se migliaia di aghi si fossero conficcati dentro la pelle.

E faceva male, ma meno del dolore che provava emotivamente.
Guardò la strada inondata d'acqua, desiderando che le lacrime non arrivassero all'improvviso, senza che lui le avesse cercate realmente.

Perché sì, non aveva mai versato una lacrima in tutta la sua vita, era inutile versarle ora quando non era esattamente il tempo di piangere.

Aveva sempre pensato che il dolore fosse una cosa da deboli, una cosa che non gli apparteneva minimamente, un sentimento da cui stare alla larga il più possibile.

Come poteva anche solo immaginare che da un giorno all'altro, una catastrofe si sarebbe riversata su di lui? Come poteva pensare che in uno schiocco di dita, la sua vita sarebbe cambiata radicalmente?

Si passò una mano sul viso, rosso di rabbia.
Non ci voleva proprio, perché il fato decide di punire sempre le persone più buone?
Perché almeno per una volta, non sta buono da una parte a farsi gli affari propri?

Mise la mano nella tasca dei pantaloni facendo fuoriuscire una collana in argento a cui era attaccato un ciondolo a forma di sole, proprio come aveva preannunciato il meteo, doveva esserci un cocente sole.

E invece, a fare compagnia al suo brutto umore, c'era il temporale.
Come se volesse farlo sentire meno solo, ma non era servito a granché.

La solitudine c'era, si sentiva, ed era una brutta bestia, ti logorava dall'interno, e nessuno può darti consigli, non servirebbe a nulla.

Nessuno può entrare nella solitudine di un altro.

Strinse il ciondolo nella sua mano, i raggi penetrarono nelle sue carni, facendo uscire quel poco di sangue, ma il dolore fisico non era presente.

Ad un tratto la porta venne aperta lentamente e un ragazzo sulla ventina, riccioluto, fece la sua comparsa in quella stanza fin troppo buia.

Si avvicinò al ragazzo moro, posando una mano sulla sua spalla, complice della sua perdita.

- Zayn, è ora.-
Sussurrò, non avendo il coraggio di guardarlo in viso.
Non sarebbe stato uno spettacolo bello da vedere.

Zayn annuì, guardando un'ultima volta il cielo, prima di rimettere piede nella stanza, andando verso la porta.

Si guardò in giro, il letto fatto, la scrivania sempre in disordine, i panni piegati elegantemente sulla sedia, quella stanza troppo stretta per accogliere lui, solo lui.

- Andiamo, Har.-
La voce roca, non faceva fuoriuscire nessuna emozione.
Quella stanza che un tempo aveva ospitato entrambi i ragazzi, le loro risa, le loro avventure, la loro infanzia divenuta adolescenza.

Aveva ospitato loro, il ragazzo viziato e quel ragazzo tanto adorabile campione di football con mille sogni nel cassetto.

Harry lo raggiunse uscendo prima di lui, dandogli ancora pochi minuti da solo.
Zayn sorrise amaro, prima di levare la chiave dalla giacca e chiudere la porta dopo esser uscito.

Nessuno avrebbe più potuto accedervi, doveva rimanere tale e quale.
Scesero in silenzio religioso al piano di sotto, zuppo di persone, parenti, conoscenti e anche infami che si ritrovavano a piangere per qualcuno di cui ignoravano l'esistenza.

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