Capitolo 5

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4 giugno 2018.

Ore 5 del mattino, mi sveglio saltando giù dal letto, corro a prepararmi. Scelgo un paio di jeans, li indosso, non mi convincono. Devo essere impeccabile questo giorno, indosso un paio di occhiali da Sole che mi piacciono tanto, anche se tutto sommato, addosso a me non erano poi così belli però: "sti cavoli", pensai, "l'importante è andarci e incontrarlo, è tutto quello che voglio."
Metto nel mio zainetto qualche panino che probabilmente non avrei mangiato mai, perché quando sto con qualcuno, ho vergogna a mangiare qualcosa, ho il sentimento costante di fare schifo mentre metto in bocca qualche boccone, non sono poi così brava a masticare davanti agli altri, ogni volta che ci provavo da piccola a mangiare lentamente, finivo per strozzarmi e mia mamma doveva correre ogni volta da me per aiutarmi.
Mi guardo allo specchio, ho il viso pieno di impurità, scelgo di mettere su un po' di fondotinta, non mi truccavo mai, ma oggi devo, non posso mica spaventarlo il primo giorno che ci vediamo.
Sto per uscire di casa e per andare al punto di raccolta dove sono i pullman per Roma con mia zia.
Ops..quasi dimenticavo il carica batterie portatile, rientro in casa, lo prendo al volo e corro.
Non voglio mica perdere il pullman, questo non è mica un giorno da niente,  un giorno da tutto, anzi.
Salgo sul pullman, fanno l'appello.
Quando arriva il mio nome urlo
"Ci sonoo"
e mi risiedo,
il cuore inizia ad accellerare
i suoi battiti, qualcosa stava per stravolgermi la vita per sempre, ma volevo far finta di nulla fino all' arrivo.
Sosta in autogrill.
"Vuoi mangiare qualcosa?" mi chiedono.
"Col cavolo che mangio qualcosa, sapete quanto tempo ho messo stamattina per lavarmi i denti e farli diventare così bianchi e puliti e la mia faccia così carina?" penso dentro di me.
Finalmente il pullman riparte, mando un messaggio a lui dicendo che sarei arrivata tra meno di mezz'ora.
Mi risponde "sono uscito di casa di nascosto perché i miei genitori volevano stessi tutto il giorno a studiare, sto venendo da te."
Dopo dieci minuti, improvvisamente, mi scrive un altro messaggio:
"Sono a metà strada, le gambe tremano come foglie perché come sai, ho questa frenetica ansia che mi fa bloccare tutto ogni volta, scusami, appena arrivi, ti mando la posizione e mi raggiungi."
Dentro di me, migliaia di pensieri, mi sconvolgono la testa.
"Perché devo andare io da lui se mi perdo persino a casa mia?"
"Lui è il ragazzo, perché ha  questa maledetta ansia di incontrare me? Forse siamo entrambi delle frane a gestire i sentimenti e le emozioni."
Poi decido di zittire le voci nella mia testa, che non mi hanno mai portato da nessuna parte.
"Okay, aspettami" rispondo.

9.00 Arrivo finalmente a Roma.
Scendo dal pullman e scappo via da tutti i miei compaesani, in teoria sarei dovuta stare con loro durante la gita, ma non avevo proprio interesse a seguire quella scia di gente, avevo di meglio a cui pensare nella mia testa e a mia zia avevo detto che la mia amica, conosciuta al mare quando era in vacanza, abita lì vicino alla stazione e sarei andata a trovarla per passare il giorno con lei.
Ricevo la sua posizione e mi avventuro con il telefonino in mano e un senso dell'orientamento pietoso a cercarlo per Roma, dopo un ora di giri a vuoto, decido di chiamarlo perché trovarlo sembra un'impresa davvero troppo ardua per me, abituata ai paesini minuscoli della mia regione.
Mi risponde subito
"dove sei?
io ti sto aspettando
da tempo."
"non lo so, tu?",
"vicino alla fermata Cavour"
risponde.
Bene, io girando per sessanta minuti, ero rimasta alla Stazione Tiburtina e lui era già a cinque fermate di metro da me, si era dimenticato di dirmi che tra me e lui, c'era una metro da prendere.
Mi dirigo verso la stazione delle metro, bisogna fare i biglietti ma io non sono capace, non mi era mai capitato di dover fare questi diavolo di biglietti.
Vedo delle macchinette e alcune persone che inseriscono denaro, in un nano secondo ho capito che bisognava andare lì.
Faccio i biglietti in fretta, li timbro sotto gli occhi sospetti dei militari che sorvegliano la stazione e attendo qualche minuto la metro.
Eccola, finalmente è arrivata, ci sono diciassette fermate scritte sul cartellino, diciassette fermate e la mia per fortuna, aveva un nome chiaro: "Cavour" proprio questa.
Arrivo alla fermata, la porta si apre dal lato opposto, ammetto di non aver capito molto di come funzionino le metro e queste cose così tecnologiche che in Abruzzo non esistono mica.
Decido di richiamarlo "dove sei?" gli dico, lui ribatte "sempre alla fermata Cavour".
Apro google maps e geolocalizzo la sua posizione.
Dista meno di 2 minuti a piedi da me.
L'ansia inizia a scorrermi nelle vene, dentro di me tornano tutti quei demoni che si erano spenti da un po'.
Mi avvicino lentamente a lui, senza dirgli quanto sono vicina.
Volevo sorprenderlo, ma non troppo, insomma, le sorprese sono belle soltanto se sono piacevoli, se aspetta di trovarsi una ragazza più carina di me sicuramente ci rimarrà male, se invece aspetta di incontrare una persona che sia uguale a me no.
Le mie foto le ha viste, quindi non dovrebbe rimanerci troppo male.
Lo vedo, "mamama quanto è alto?" penso dentro di me.
Io e la mia bassezza non possiamo competere con lui, faccio due passi indietro, quasi inciampo.
Gli mando un messaggio "non so dove mi trovo, aspettami ancora un po'"
E invece io lo so bene dove mi trovo, ma l'autostima invece, dove cavolo si trova? Nel mare? Sotto la sabbia?
La mia è completamente sparita.
Alla fine ho pensato "meglio rischiare di perderlo, che non averlo affatto" e mi sono avvicinata.
"Piacere sono Nicole, anche se mi conosci già"
"Io sono Marco, come stai?"
"Ho passato giorni migliori per ora, ma ho la sensazione che questo giorno passato con te, ribalterà tutta la classifica" gli sussurrai con voce orgogliosa."
"Come mai?" mi chiese.
"Il cuore mi dice questo, che dici, facciamo una camminata?" gli proposi.
Ero tremendamente in ansia e io sono una che quando è in quell'odioso stato di stress deve camminare, camminare tanto per sopravvivere, camminare mi ha sempre aiutata, insieme alla musica, ad affrontare tutti i problemi che da sola, non sono mai riuscita a scavalcare.
Iniziamo a camminare, non so cosa fare, lui va a passo veloce, io sono una lumachina.
Siamo davanti la fontana di trevi, dio quanto è bella, vorrei quasi chiedergli di fare una foto insieme, ma potrebbe dargli fastidio.
"Mi scatti una foto davanti la fontana?" gli chiesi.
"La foto viene meglio se ci siamo io e te." mi rispose.
Mica lo sapevo che una frase così, detta da lui, mi avrebbe scombussolato tutto il mondo che avevo dentro.
Decido di chiedere ad un turista di farci una foto, ne volevo una, ma anche due, forse trenta per essere sicura di avere una foto carina tra queste.
Scorro la galleria, guardo le foto frettolosamente, per cercare il guaio in cui mi ero cacciata chiedendo di farle e sapendo di venire sempre male.
Guardo le foto di oggi e noto qualcosa di strano.
Mi piaccio.
Sto sorridendo e non faccio poi così schifo.
"Posso vederle?" mi chiese.
"Poi te le invio su Whats'App, tranquillo, le vedrai una volta che sarò ripartita" risposi.
Le foto sono venute molto bene, mi piaccio davvero, con  lui, divento bella anch'io, sorridono gli occhi, il cuore e anche tutto il resto.
"Sei venuta male?" mi domandò.
"No, sei venuto male tu, ma non volevo dirtelo." Risposi orgogliosamente.
Eggià.
Sono talmente una testa di rapa che odio far vedere le mie insicurezze e quindi tiro fuori tutto l'orgoglio che madre natura mi ha donato, ogni volta che qualcuno cerca di mettermi allo scoperto.
Improvvisamente sento un rumore di stomaco, solitamente non si sentono ma il suo era davvero rumoroso.
"Hai fame?" gli chiesi.
"Penso proprio di si, tu?"
E io mica posso dirtelo che mangiare davanti a qualcuno mi mette vergogna e quindi preferirei digiunare fino a domani per non mettermi in imbarazzo davanti a te.
"Un pochino." risposi.
Cominciamo a camminare verso un ristorante che lui adora.
Ho una fame da lupi, ma i lupi non hanno vergogna e invece io si.
In fondo forte come un lupo non lo sono stata mai.
Roma è piena di ragazze bellissime, tutte ben vestite, magre, con quel figurino da invidia e poi ci sono io, che per la prima volta nella mia vita, mi sto sentendo uno schifo, ma non voglio farglielo capire.
Lui non dice nulla, non accenna mezza parola nei confronti delle altre, ma io inizio a pensare che siano tutte migliori di me e che infondo lo sappia anche lui.
Arriviamo al Mc, visto che il ristorante che aveva scelto, oggi è chiuso.
Ordiamo da mangiare e io scelgo di ordinare il burger più semplice di tutti, per evitare di fare disastri mentre mangio.
Il pranzo inizia finalmente.
"Quanto sei bella mentre mangi, sembri così piccola che tutte le sicurezze che hai mostrato fino a poco fa, si sciolgono."
Devono essere molto calde le mie sicurezze, visto che si sono sciolte in un batti baleno, mica lo sapevo che un "quanto sei bella" potesse farmi sentire davvero bella. Non lo sapevo perché in fondo, nessuno lo aveva detto mai fino a quel momento ed è davvero bello sentirselo dire, come la prima volta che vieni cullata dalle braccia della tua mamma. Sei al sicuro e non vuoi andare via da lì. Hai capito che quello è e sarà sempre il tuo porto sicuro, l'unico posto dove potrai tornare sempre quando viene meno il tuo stare bene.
Ma possibile che io mi sentissi "cullata" tra le braccia di una persona che ho visto una volta soltanto?
Possibile che il mio cuore fosse così dannatamente predisposto ad amare?
Si. Decisamente si. Forzatamente si.
E vorrei continuare a scrivere migliaia di avverbi per far capire quanto il mio cuore stia battendo veloce, come le ferrari in autostrada e gli attimi quando sei felice.
Finiamo di pranzare e andiamo in un parco un po' isolato.
Ci sediamo in una panchina, ma senza stare troppo vicini, per evitare di toccarci.
"Non è bello toccare qualcuno che non sei sicura di poter rivedere" disse una voce dentro di me.
Mica lo sapeva che io, l'avrei rivisto altre mille volte, perché bene come con lui, non mi capita mai di stare.
"Che farai stasera quando tornerai nella tua regione?" mi chiese.
"Leggerò un libro" risposi.
"Io ti penserò tutto il tempo e sentirò la tua mancanza, come si sente la mancanza di una mamma o un papà, perché tu, oggi, non mi hai fatto sentire la loro mancanza senza sapere che io non ho un bel rapporto con loro e devo dirti grazie per questo." Rispose.
Io anche avrei sentito la tua mancanza, ma non mi sono sentita di dirtelo apertamente, la mia parte orgogliosa diceva che sarebbe stato un caos da questo giorno in poi e che dovevo stare attenta a non attaccarmi troppo.
"Tra poco dovrai riprendere il pullman, posso toccarti le labbra per la prima volta?" mi chiese.
"Voglio che siano le ultime labbra che toccherò prima di rivederci un'altra volta." mi disse.
Come potevo dire di "no" davanti a una richiesta così bella?
Mi sembrava assurdo il suo comportamento.
Era così dannatamente bello che mi faceva incazzare.
Mi faceva incazzare perché sorrideva e mi diceva cose belle e cavoli, io non sono pronta a tutto questo, ma non m'importa.
"Certo che puoi toccarmele, ma non chiedermelo, fallo." risposi.
Mi sono pentita un secondo dopo di quello che ho detto, perché quella dei due, che non sapeva baciare, ero io.
Chiudo gli occhi e sento quelle labbra avvicinarsi sempre di più alle mie in quella Roma stupenda.
Le sue labbra mi toccano una volta, la seconda volta sento la sua lingua farsi spazio tra i miei denti, per raggiungere la mia.
E' un emozione bellissima.
E' bello come quando stai uscendo da scuola e sai che il pomeriggio incontrerai la tua anima gemella e quindi metti da parte tutto e ti dedichi a lei.
Questo è l'amore.
Mettere da parte tutto per dedicarci a stare bene e far stare bene chi ci sta accanto ogni giorno della nostra vita.
Amare ogni giorno della nostra vita come fosse il primo.
Io non so baciare, non me l'hanno mai insegnato eppure quella maledetta paura che mi scorreva nelle vene troppo spesso, ora stava svanendo e stava lasciando spazio alla felicità.
Felicità è proprio questo, non saper fare qualcosa, ma farla comunque, perché il tuo stato d'animo è talmente grande che non puoi sottrarti a ciò che dice, non puoi sottrarti a due labbra che aspettano solo te per sbocciare, non puoi sottrarti a qualcuno che ti stava aspettando da chissà quanto tempo e tu, scema, anche lo stavi aspettando, anche se non glielo hai detto mai, che aspettavi solo lui per stare bene e per imparare a sorridere per davvero.
Si stacca da me improvvisamente.

"Che succede?" gli chiedo.

"Sto troppo bene." Risponde

"E perché ti sei staccato?" gli chiedo timidamente.

"Perché ho paura, che se avessi continuato a starti incollato, non mi sarei staccato più, come quando stai toccando la persona che hai perso per sempre nei tuoi sogni e col cavolo che la lasci andare, io non voglio lasciarti andare più.
Perché lasciare andare te vorrebbe dire abbandonare una parte di me e ora che mi sono ritrovato, non ci penso neanche un secondo a perdermi di nuovo" mi risponde con la sua voce tremolante, che lo aveva sempre contraddistinto da chiunque.

Mi lascia senza parole.
Davvero.
Come posso dire qualcosa di intelligente con il mio caratterino impacciato?
"Dammi la mano" gli urlo.
"Prima di salire sulla metro e tornare al mio pullman, voglio fare una cosa che ho sempre sognato nella mia cameretta." Continuo.
"Cosa?" mi chiede.
"Vieni con me e zitto."
Afferro la sua mano, tiro fuori dalla mia tasca gigante il mio telefonino con Google Maps e imposto la posizione del Colosseo.
"ti porto in un posto speciale" gli sussurro nell'orecchio.
"dove?" mi chiede.
"lo so io dove, tu vieni." Rispondo.
Dopo qualche km di troppo, arriviamo di fronte al Colosseo che tanto stavo cercando.
"Abbassati un po'." Gli chiedo.
"Subito" rispose lui.
"Chiudi gli occhi adesso, scemo." Gli sussurro.
Alla vista dei suoi occhioni socchiudersi, decido di baciarlo, di fronte al Colosseo perché era una di quelle scene che preferivo da sempre nei film che vedevo da bambina ed ero curiosa di vedere come sarebbe stata.
Poso le mie labbra carnose, sulle sue labbra piccole e avvicino il mio cuore al suo, attraverso il mio respiro.
Improvvisamente tutta Roma scompare, nel calore dei nostri baci, nulla sembra toccarci, nemmeno la pioggia che sta iniziando a cadere per raso.
Dopo qualche decina di secondi gli chiedo: "ti è piaciuto?"
"certo che mi è piaciuto, me lo hai dato tu e tu baci non ne avevi dati mai." rispose timidamente.
"Sono contenta di aver fatto qualcosa di buono, ora devo andare a prendere la metro, mi accompagni?"
"Andiamo, vieni con me." mi rispose frettolosamente.
Saliamo sulla metro che porta alla mia stazione, arriviamo e iniziamo a correre senza meta.
Sono le 17.55 e il mio pullman sarebbe partito 5 minuti dopo, ma noi non abbiamo la minima idea sul posizionamento del mio mezzo in quella stazione dispersa.
"E' quello il tuo pullman" mi disse indicandomi un bus tutto verde.
"Oddio, si è proprio quello." Risposi.
"Che fai non sali?" mi disse sottovoce.
"Non voglio lasciarti andare, è stato tutto così bello oggi." Gli sussurrai.

"Ci rivedremo piccola, te lo prometto."

"Abbracciami scemo e sappi che ci conto" gli dissi prima di sprofondare tra le sua braccia grandi come pozzi neri.
Corro verso il bus e lui rimane lì a fissarmi, non può seguirmi perché mia zia sa che sono con un'amica e non posso rovinare il nostro piano, è andato tutto troppo bene per essere distrutto adesso.
Salire sul pullman è stata la cosa più brutta della mia vita e non lo dico per scherzo, insomma, non lo dico perché voglio esagerare.
Avevo incontrato la persona più importante della mia vita e dovevo lasciarla andare per poi rivederla chissà quando, avete presente la tristezza?
Dopo essere salita sul pullman, ho aperto spotify e inserito la playlist di Alessandra Amoroso, la prima canzone parla proprio di un amore a distanza

"Notti d'estate mi fanno paura se non sei con me
Mi hai detto "ritornerò presto, tu aspettami qui anche se
Il mondo crollasse in un giorno
Se tutto bruciasse in un secondo
Tu non sarai sola io sarò sempre a tre passi da te."

E mi è salita su per la gola una nostalgia e un'amarezza mai provate prima.
Dentro di me sognavo già di rivederlo nuovamente, ma lo avevo appena lasciato andare.
Devo abituarmi a disabituarmi alle sue braccia, per sopravvivere i giorni senza di lui.
Gli invio le foto che ci siamo fatti insieme questa mattina a Roma, visto che ha insistito tanto per averle.
"Sono bellissime amore, sei proprio bella in queste foto."
"Grazie, anch'io mi vedo così, quando sto con te mi sento bella anch'io."
Sono in pullman e decido di vedere un episodio della mia serie tv preferita-
Subito dopo, apro Facebook e la prima cosa che noto è una nostra foto nella homepage, una foto modificata, non sembro neanche io e lui è tremendamente bello anche lì.
Decido di scrivergli.
"Chi ti ha modificato la foto?"
"Mia cugina, non ti piace?"
"Sisi, è bella."
Lascio un "mi piace" alla foto, ma in realtà non mi piace affatto.
Se era così bella al naturale e soprattutto io ero così bella in quella foto non l'avrebbe fatta modificare.
Forse non gli piaccio poi
così tanto, mi riempie di complimenti soltanto per farmi sorridere, ci sono miliardi di ragazze più carine di me, anche a Roma.
Ma non gli dirò nulla di tutto questo.
Voglio cambiare e voglio essere come loro, perché lui merita di meglio.
Merita il meglio di me.

Ti avrei dato tutto. Io e te a 313 km dalla felicità.Where stories live. Discover now