𝑰. 𝒂𝒕𝒕𝒐 𝒑𝒓𝒊𝒎𝒐; 𝒈𝒖𝒂𝒏𝒄𝒆 𝒄𝒐𝒍𝒐𝒓𝒂𝒕𝒆 𝒄𝒐𝒏 𝒑𝒆𝒏𝒏𝒂𝒓𝒆𝒍𝒍𝒊 𝒔𝒄𝒂𝒓𝒊𝒄𝒉𝒊

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                                  ❁                           ɴᴇɪ ᴍᴇᴅɪᴀ:                   ᴘᴏʀᴄᴇʟᴀɪɴ, ᴍxᴍᴛᴏᴏɴ                                  ❁

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ɴᴇɪ ᴍᴇᴅɪᴀ:
                  ᴘᴏʀᴄᴇʟᴀɪɴ, ᴍxᴍᴛᴏᴏɴ
          ❁

Quella sera il cielo di Parigi piangeva le sue ultime lacrime, e il suo colore ricordava a Jeongguk la china che imbrattava la punta del naso di Taehyung dopo esserselo strofinato con i polpastrelli sporchi.

Al solo pensiero delle loro impronte sulla sua pelle sentiva le crepe di quel marciapiede troppe volte calpestato ch'era il suo cuore allargarsi a dismisura. L'aveva amato fino a consumarsi, come le suole delle sue vecchie converse giallo ocra e come le matite usurate dalle troppe sottolineature sui libri. E c'era ancora dentro fino al collo, Jeongguk; si sentiva come una di quelle falene intrappolate nelle luci al neon scariche delle cabine da cui, di tanto in tanto, telefonava a suo fratello per sentirsi meno solo.

Ne usciva sempre con le tasche alleggerite per i gettoni usati, ma il cuore appesantito dalle lunghe prediche circa il fatto che dovesse smettere di tormentarsi con il suo pensiero come faceva con le pellicine delle unghie. Come se dipendesse dalla sua volontà, come se non ci avesse mai  provato prima. Del resto, si ripeteva, l'amore è cosa semplice agli occhi di chi non ci sta in mezzo, un po' come la pioggia sembra bella se vista dalla finestra di casa. Aveva commesso l'errore di credere che Taehyung fosse la cura alla sua solitudine quando non era che placebo, e ora doveva vedersela con gli effetti collaterali indesiderati e anche gravi che aveva portato con sé.

Come falene che cercano la luce, così fecero le sue dita con l'accendino che Taehyung stava usando il giorno in cui le loro vite, simili a gocce lungo un vetro che scivolano inconsapevolmente l'una verso l'altra sino a fondersi, si erano intersecate. Settembre stava morendo eppure Jeongguk non si era mai sentito così vivo come nel momento in cui i loro sguardi collisero.

Camminava, le mani affondate nei jeans scoloriti per i troppi lavaggi, camminava e attorno a lui l'autunno spogliava gli aceri come un amante impaziente. Jeongguk evitava ogni pozzanghera perché odiava vederci riflesso quel suo viso che pareva una tela di Fontana, segnato dall'adolescenza com'era, e fissava il suo sguardo sulle converse che teneva perennemente slacciate come forma di emancipazione; non l'avesse fatto, probabilmente non avrebbe notato quel ragazzo inginocchiato sulla riva del piccolo lago artificiale del cortile, intento a bruciare soffioni e a guardarli scomparire tra le sue mani come sogni al mattino.

Jeongguk rallentò il passo, ché le lezioni potevano aspettare e l'unica cosa che avrebbe voluto studiare erano gli strani giochi d'ombre creati su quel volto dalla combustione dei fragili fiori. Scarabocchiò a mente quel suo naso diritto e dalla punta lievemente arrotondata, poi la bella bocca dagli angoli piegati all'ingiù come quelli delle pagine di cui Jeongguk amava tenere il segno. Ma a catturarlo più di tutto furono le grandi orecchie che facevano capolino attraverso le spesse ciocche d'ebano. Erano lievemente sproporzionate rispetto al resto del suo volto, eppure Jeongguk non poté fare a meno di pensare a come sembrassero fatte per accogliere sussurri d'amore.

𝐖𝐄 𝐁𝐋𝐎𝐎𝐌 𝐔𝐍𝐓𝐈𝐋 𝐖𝐄 𝐀𝐂𝐇𝐄 | 𝐭𝐚𝐞𝐠𝐠𝐮𝐤Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora