𝑰𝑰𝑰. 𝒂𝒕𝒕𝒐 𝒇𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆; 𝒄𝒆𝒓𝒐𝒕𝒕𝒊 𝒔𝒖 𝒄𝒖𝒐𝒓𝒊 𝒔𝒃𝒖𝒄𝒄𝒊𝒂𝒕𝒊

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                                  ❁                           ɴᴇɪ ᴍᴇᴅɪᴀ:                 ʏᴇsᴛᴇʀᴅᴀʏ, ᴛʜᴇ ʙᴇᴀᴛʟᴇs                                  ❁

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                           ɴᴇɪ ᴍᴇᴅɪᴀ:
ʏᴇsᴛᴇʀᴅᴀʏ, ᴛʜᴇ ʙᴇᴀᴛʟᴇs
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"Taehyung, lo sai, non era così una volta. E con una volta intendo prima che Park Jimin andasse via bruciato come i miei cazzo di polmoni." la sigaretta di Yoongi pianse cenere sul ventre ancora nudo di Jeongguk.

"Erano inseparabili, quei due. La loro amicizia era un fiore raro, nato tra le crepe che s'erano procurati sulle ginocchia rovinandosi l'uno addosso all'altro mentre correvano in bici. Viveva più a casa nostra che a casa sua, e finire nella sua orbita, col passare degli anni, fu inevitabile. Jimin era bello, aveva la pelle caramellata dolcemente dal sole in ogni stagione e l'ultimo disco dei Nirvana tatuato sul costato. Io ero incolore e anaffettivo, eppure lui aveva questa strana tendenza a plasmare le imperfezioni di ognuno sino a renderle amabili. Prese a chiamarmi Suga per via della mia pelle di zucchero e perché sosteneva che io fossi la sua zolletta in mezzo all'amaro che la vita lo costringeva a ingoiare. Io gli gridavo contro che mi stava solo prendendo in giro, che le sue erano stronzate e che a sedici anni non poteva saperne proprio un cazzo della vita. Da quel momento smise di bussare alla mia porta nelle occasioni in cui veniva a far visita a Taehyung. Capii di aver toccato un tasto dolente e per colmare la sua assenza presi a suonare quelli del vecchio piano che mio padre teneva nel seminterrato.

Li premevo con forza per sovrastare il suono delle stupide risate che come mezzelune bianco latte sulle unghie erano promemoria della mia carenza di qualcuno che fosse per me ciò che Jimin era per Taehyung e viceversa. Io, nel frattempo, tentavo di abortire quell'embrione di gelosia che andava nutrendosi di ogni mia sostanza vitale, ma con scarsi risultati. Presi allora a tingermi i capelli di mille colori per assomigliare a un fiore variopinto, così forse lo sguardo di Jimin si sarebbe posato su di me. Ma le farfalle non vanno mai a posarsi sui fiori finti e lo capii solo con il tempo.

Ero quasi riuscito a mettermi il cuore in pace, quando Jimin vi sgusciò dentro come acqua attraverso le crepe che l'attraversavano. Acqua, acqua era ciò che provavo osservandolo danzare sulle note che scrosciavano dal piano; qualcosa di puro e privo di una forma propria, ma senza il quale sentivo che non sarei sopravvissuto a lungo.

"Sei stato bravo." mormorai. Era riduttivo, perché Jimin quando ballava era ipnosi, era guardare in basso dall'ultimo piano di un grattacielo, e soprattutto era i versi più sporchi dei poeti maledetti. "Dovresti fare i provini per qualche accademia di danza."

"Magari mio padre la pensasse così." Jimin sorrise amaramente, assottigliando gli occhi come usava sempre fare per impedire alle persone di scrutarvi dentro. I lividi, però, quelli non poteva nasconderli nemmeno col fondotinta rubato a sua madre. Affioravano attraverso la sua pelle come cadaveri che vengono a galla. "Non posso nemmeno più allenarmi a casa, per paura che mi scopra."

𝐖𝐄 𝐁𝐋𝐎𝐎𝐌 𝐔𝐍𝐓𝐈𝐋 𝐖𝐄 𝐀𝐂𝐇𝐄 | 𝐭𝐚𝐞𝐠𝐠𝐮𝐤Where stories live. Discover now