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Avevano sempre detto loro che in testa avevano la farina. Nient'altro che farina. Difficile dire se fosse questo il motivo per cui fecero quello scherzo, anche perché in seguito non ricordarono nulla al riguardo.

Almeno finchè non tornarono.

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Venne la fatica.

Il fiato corto, i polmoni roventi.

Il ragazzo gocciolava da capo a piedi, solo in parte per il sudore. In volto era quasi viola, e gli occhi spenti vagavano nel vuoto alla ricerca di un passaggio, una via di scampo. I piedi bruciavano come se invece di una distesa d'acqua stagnante avesse dei carboni ardenti sul suo sentiero; per quanto ne sapeva le scarpe da ginnastica potevano essersi lacerate durante la fuga.

Udì i latrati dei cani più vicini: seguivano la pista che li avrebbe condotti alla preda. Incespicò su di un ramo, annaspò ma non perse l'equilibrio. L'ossigeno era ormai andato, così come le sue forze, ed era un mistero che cosa gli consentisse ancora di correre. Forse puro e semplice spirito di sopravvivenza.

Non è colpa mia, si ripeteva, non è colpa mia! Sono stati quei due coglioni!

Begli amici, avrebbe detto sua madre. Uno se l'era già data a gambe fin dall'inizio, l'altro... be' ormai era inutile stare a pensarci. Ora la folla e i segugi davano la caccia a lui.

Il piede gli scivolò in una pozza fangosa.

Cadde faccia a terra, inspirò aria e fango. I polpacci si rilassarono, e fu tentato di arrendersi all'inevitabile: pagare per tutti e tre. Con un po' di fortuna l'avrebbero ammazzato a bastonate sul posto, senza dargli modo di umiliarsi in un tribunale; alla peggio i cani si sarebbero divertiti a strappargli via la carne di dosso.

Spinse con i pugni, l'adrenalina fece il resto.

Io non ho fatto nulla! Non c'entro, sono stati loro!

L'urlo nella sua testa lo rimise in moto. Una lacrima gli solcò la guancia, seguita da molte altre.

Seguirono le urla degli inseguitori e gli ululati dei cani. Non riuscì a stabilire quanto fossero distanti, ma gli parvero vicini, fin troppo vicini.

«Non lasciatelo sfuggire!» sentì gridare. «È qui intorno!». «Prendetelo!».

Nonostante conoscesse bene il territorio, d'un tratto il terreno gli si smaterializzò da sotto i piedi. Il fango freddo lo schiaffeggiò, mozzandogli il respiro. I muscoli infine cedettero, impedendogli di rialzarsi. La melma finì per ricoprirlo in pochi istanti, lasciandolo sprofondare per quelli che parvero metri e metri.

Altre urla, nella sua testa e tutt'intorno. I sensi stavano per abbandonarlo, dedusse. Presto avrebbe avuto le allucinazioni, un senso di benessere illusorio e poi...

I ruggiti si affievolirono, e il ragazzo immaginò dei labrador intenti ad azzannarsi fra di loro. No, era improbabile che fossero labrador: forse ci aveva pensato solo perché ne aveva avuto uno da bambino? Poco importava, ormai l'impatto gelido della mota era stato sostituito da un piacevole calore.

Ugh! gli sfuggì a un certo punto. La schiena gli dolette e la testa riprese a bruciare.

Inarcò il torace e le narici ritrovarono l'aria.

Spalancò la bocca, rubando ossigeno e melma a grandi sorsate, mandando giù tutto per quanto possibile. Gli era ancora impossibile guardarsi intorno, gli occhi oscurati da una benda informe. Tutt'intorno invece regnava il silenzio.

SpectrumOù les histoires vivent. Découvrez maintenant