II

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Il collega scosse il bidone grande per farsi un'idea del peso, poi tolse il coperchio.

«Eccone un altro bello pieno», disse. «È il tuo turno di rotolarti nella merda».

Ruggero reclinò la testa e lasciò partire una risata vivace e stridula.

L'ometto accanto a lui con i capelli corti storse il naso: lavoravano in squadra da un paio d'anni e aveva rinunciato a pregarlo di smetterla. Quel verso in un certo senso era parte di lui, e lo faceva ogni volta che c'era qualcosa di divertente. Il problema era che Ruggero trovava tutto divertente.

Inserì un bastone nell'immondizia, agitando la massa in maniera blanda per staccare quando di quel marciume fosse incollato ai bordi. In superficie trovò solo cartacce, cocci di vetro e fondi di caffè. Il peggio invece di solito si annidava sul fondo.

«É tutto tuo», disse. Si diresse verso il camion per prepararlo a sollevare il contenitore di latta.

Ruggero rise ancora, tirandosi giù le maniche fino ai guanti che, giusto per puntualizzare, non lo facevano sentire affatto più pulito mentre si ficcava negli avanzi dei porci del quartiere. Non era schizzinoso, ma in periferia la gente ancora approfittava dell'assenza della differenziata, e anche i signorotti che stavano in centro andavano di nascosto a cagare la loro merda da quelle parti, giusto per risparmiare una decina di euro in sacchetti. Si trattava di una somma esigua persino per lui, che faceva tre ore al giorno per uno stipendio da fame. Quel che davvero riusciva a sorprenderlo era quanto quel che faceva schifo agli altri su di lui non avesse alcun effetto.

Dopo aver smosso la maggior parte dell'organico schiacciato in profondità trascinò il bidone per il bordo verso le maniglie meccaniche del camion. «Vai Se'!» urlò.

Sergio azionò i comandi dal posto di guida, e le tenagli di ferro si strinsero intorno alla pattumiera, sollevandola a due metri da terra. Il contenuto venne quindi rovesciato all'interno del camion: Ruggero osservò resti d'insalata, gusci d'uovo e frutta marcia piovere giù insieme a bottiglie di plastica, vetri e tovaglioli. Allungò il bastone a colpire il metallo per dare una mano a eventuali residui, poi si sporse a controllare di persona.

«Aspetta Se'», gridò. «C'è altra roba sul fondo».

Si arrampicò sullo pneumatico e poi scivolò all'interno della discarica a quattro ruote su cui lavorava ogni mattina. Il tanfo gli arrivò subito al cervello, ma ormai il suo naso era assuefatto, forse aveva persino imparato a trovarlo gradevole. Tale innata capacità gli donava una certa dimestichezza con altri tipi di posti, tipo quello in cui andò a ficcare la testa un attimo dopo.

«C'è della carta», gridò. L'eco del bidone di latta quasi lo stordì, come fosse all'interno di una campana. «Sono... non so, mi pare attaccate sul fondo».

Ti piace rotolarti nell'immondizia

Urlò, diede uno spintone e colpì la testa contro il metallo.

Si ritrasse portandosi le braccia al capo, poi spiccò un balzo per cercare di scappare in strada, incappando con il piede in un punto dove il suolo di spazzatura era più morbido. Rovinò infine contro il bordo del camion e precipitò fuori.

«Cazzo!» gridò Sergio, smontando e correndogli incontro. Lo trovò lungo disteso sull'asfalto, le prime luci dell'alba che si riflettevano sul suo cranio glabro. Anche se immobile era perfettamente cosciente: respirava piano, come avesse appena interrotto una lunga apnea, ed era diventato cinereo, lui che invece aveva sempre l'argento vivo addosso, proprio come l'orecchino che gli pendeva dal lobo destro.

«Cristo, cazzo ti è preso?».

Sergio afferrò Ruggero per una spalla e lo aiutò ad alzarsi con molta calma, una gamba per volta, senza insistere ancora con le domande. «È tutto ok», disse invece, dandogli delle pacche sula schiena. «È solo una piccola caduta».

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