6

3.8K 419 54
                                    

Jimin era impaziente che Yoongi tornasse a casa — non vedeva l'ora di parlargli di Hoseok, del colloquio, dello strano discorso di Jin riguardante tacchini e leoni, ma soprattutto, del fatto che l'indomani sarebbe dovuto andare al lavoro, un lavoro vero. L'entusiasmo di rivelare al proprio ragazzo ogni cosa, aveva fatto sì che il tempo scorresse lentamente e, Jimin, si era ritrovato a bighellonare da una stanza all'altra continuando a cercare con lo sguardo l'orario sul display del proprio cellulare. Sembrava sempre che mancasse troppo, anche quando ormai l'attesa si era ridotta ad appena una manciata di minuti.

Quando Yoongi arrivò a casa, però, il suo umore era più nero di quanto non lo fosse il giorno precedente — e qualsiasi cosa gli stesse accadendo, era chiaro che non sembrava avere alcuna intenzione di affrontare l'argomento con Jimin. Entrò nell'appartamento senza nemmeno salutare, si scalzò le scarpe dai piedi e si slacciò la cravatta con un gesto secco. La sua fronte era contrattata, la mente lontana anni luce da casa, probabilmente ancora ferma sui problemi che lo assillavano in ufficio. Jimin aveva provato ad iniziare un dialogo, ma era stato brutalmente ignorato, in un modo così poco educato da farlo rimanere male.

Poteva fare l'offeso, mettere su il broncio anche lui e lasciare che Yoongi restasse nella sua bolla di irritazione e rabbia, ma non aveva intenzione di vederlo mordersi le labbra e sentirlo borbottare davanti alla televisione tutta la sera. Non quella sera, almeno. Aveva una grande notizia da dargli, e il minimo che Yoongi potesse fare era calmarsi per un momento e starlo a sentire.

"Yoongi, per l'amor del cielo, mi vuoi spiegare che hai?"

Yoongi arricciò il naso, sbuffò infastidito e continuò a guardare ostinatamente il telegiornale, fingendo di prestargli attenzione quando era evidente che non fosse così. Jimin, in piedi davanti al divano, non poté far altro se non sciogliere le braccia incrociate e farle cadere mollemente lungo i fianchi. Era un osso duro e non sarebbe stato troppo semplice far breccia nel muro di rabbia che il più grande si era costruito attorno.

"Davvero, Yoongi? Davvero non ha intenzione di rivolgermi la parola?".

Yoongi sollevò un sopracciglio, poi spostò lo sguardo torvo fino a fissarlo in quello seccato di Jimin. "Ti ho già detto che siamo in Corea. Qui devi chiamarmi hyung".

"Stronzate!" sbottò Jimin, ormai completamente contagiato dal mood in cui Yoongi era immerso. Era furibondo. Yoongi lo stava forse prendendo per il culo? Perché se il suo obiettivo era quello di farlo uscire dai gangheri, ci stava riuscendo dannatamente bene. Scattò in avanti, acciuffò il telecomando e spense la televisione, obbligando Yoongi a riporre ogni oncia di attenzione su di lui e nient'altro. Avrebbero affrontato la cosa, subito, prima che diventasse un loro problema.

"Non puoi trattarmi di merda perché le cose al lavoro ti vanno male. Sono qui, hyung, e vorrei che tu mi considerassi abbastanza da parlarmene se c'è qualcosa che non va".

Yoongi assottigliò lo sguardo, ma qualcosa, al di là delle sue iridi nere, sembrava aver mollato finalmente il colpo. Piegò il viso su un lato e sospirò profondamente, rilasciando almeno in minima parte lo stress che covava dentro; finalmente, guardò davvero Jimin, e poi disse: "I miei subordinati sono degli idioti incapaci. Hanno fatto incazzare uno dei maggiori finanziatori del giornale, e adesso tocca a me fare il mediatore e risolvere la questione".

"Finalmente," gemette Jimin, sentendosi esausto, ma allo stesso tempo soddisfatto per averlo smosso. Si sedette accanto a lui, sul divano, con le gambe che si sfioravano appena. "Pensi di potercela fare?" domando poi, e Yoongi tornò ad essere tremendamente teso. Non era una domanda intelligente, se avesse pensato di potercela fare, non sarebbe diventato la versione incattivita del Grinch.

"No," cominciò Yoongi, e per Jimin fu impossibile non notare che aveva cominciato a torturare la pellicina del pollice, stuzzicandola in continuazione con l'indice. "No, non penso sia possibile risolvere. Ma è quello che tutti si aspettano io faccia. Pensano che salverò la situazione".

Jimin posò una mano sulla spalla del ragazzo, facendo una certa pressione con le dita in modo da applicare una sorta di piccolo massaggio. "Tu sei il nuovo arrivato... Perché si aspettano debba essere proprio tu a sbrigliare i casini che altri hanno combinato?".

Yoongi tacque. L'atmosfera si fece di colpo ancora più pesante, al punto che perfino Jimin che era all'oscuro di tutto, iniziò a sentirsi teso.

"Perché si tratta di mio padre" mormorò dopo secondi che parvero infiniti.

"Tuo padre è il finanziatore incazzato?"

"Sì", mugolò Yoongi, e fece così fatica a dire quell'unica sillaba, come se ammetterlo rappresentasse di per sé qualcosa di estremamente fastidioso.

"E vuole tagliare i fondi alla società perché qualcuno lo ha offeso?"

"Esattamente" le labbra di Yoongi erano tirate in una tesissima, linea sottile.

"E il fatto che tu lavori lì non importa a tuo padre?" insistette Jimin. Non voleva ficcanasare nei suoi affari personali, ma voleva capire più a fondo in che razza di pasticcio fosse finito immischiato Yoongi. Alla fine, dal momento che ora convivevano, suo padre era una sorta di... suocero? Il solo pensarlo fece arrossire Jimin, ma per fortuna Yoongi non parve accorgersi di nulla.

"Sì, certo, gli importa. Ma gli importa di più che il nome della sua azienda non venga infangato. Quei coglioni—" sospirò, mordendosi appena la punta della lingua per evitare di diventare troppo scurrile. "— Hanno scritto un articolo sull'impresa di mio padre senza sapere che il CEO fosse lo stesso che versa il 40% degli stipendi di tutti. Hanno fatto delle ricerche e hanno scoperto che lo smaltimento dei rifiuti tossici dell'azienda è stato affidato ad un'impresa truffaldina, che si intasca i soldi e scarica tutti nei fiumi, inquinando drasticamente l'ambiente. Ma chi pensi sia stato demonizzato, questo? Mio padre e i suoi soci hanno perso gran parte dei loro clienti e Green Peace sta facendo loro la guerra sui social. Mio padre è incazzato nero, Jimin. Non ha intenzione di versare più nemmeno un centesimo per il Daily".

"Cazzo," mugolò Jimin, iniziando finalmente a capire perché Yoongi fosse in un umore tanto pessimo. La situazione sembrava drammatica e, sì, Yoongi era stato messo in una posizione terribile. Capiva perché tutti si aspettassero che lui facesse qualcosa, si parlava di suo padre, non di un finanziatore qualsiasi — ma capiva anche che non dovesse essere affatto semplice, per Yoongi, convincerlo di spillare denaro per gli stessi idioti che lo avevano messo alla pubblica gogna, in un momento storico in cui l'impegno per limitare l'inquinamento aziendale era la massima priorità di tutti. "Yoongi, perché non me ne hai parlato...?" domandò solo, con un tono estremamente dolce.

"Perché voglio smettere di pensarci, almeno quando sono a casa".

"Però ci pensi ugualmente..." mormorò Jimin, passandogli un braccio attorno alla vita e posando la guancia contro la sua spalla.

"Sì, ma tu no. Ed è già qualcosa, sapere che tornerò e non mi domanderai se ho sentito mio padre e se è intenzionato a firmare l'assegno."

"Non voglio che ci pensi. Non ci pensare più. Okay?" Jimin sollevò il viso e si sporse per posare un bacio sulla guancia del proprio fidanzato. Non gli sembrava più il caso di raccontargli del lavoro... l'argomento "lavoro" era qualcosa che almeno per il momento, per il benessere di entrambi, era meglio evitare. Accarezzò la sua coscia, poi spinse le labbra a posarsi contro l'angolo della bocca di Yoongi.

"Andiamo a letto. So io come farti rilassare... Ti va?".

Yoongi esitò per un momento, poi si lasciò andare ad un sospiro e guardò Jimin, sentendosi tremendamente fortunato a non essere solo e avere al proprio fianco una persona così preziosa. 

two | reasons to stay ; yoonminWhere stories live. Discover now