11

3.4K 358 91
                                    

Le cose non migliorarono.

Yoongi non rientrò mai più a casa ubriaco dopo la notte della litigata, ma questo non rese più piacevole il (pochissimo) tempo che i due passavano assieme. Era come se si fosse eretto un muro invalicabile tra loro, come se non riuscissero più a parlare la stessa lingua. Jimin non capiva Yoongi, così distante e perso nel proprio dolore (qualunque esso fosse), e Yoongi non capiva Jimin, che viveva una vita semplice e priva di qualsiasi preoccupazione all'infuori di quelle che gli recava lui stesso.

Yoongi iniziava a domandarsi se portare Jimin a Seoul non fosse stato un madornale errore. La loro relazione (se poteva definirla in quel modo) era acerba, e soprattutto i problemi che si era ritrovato tra le mani erano così grossi da impedirgli di concentrarsi su qualsiasi altra cosa. Inoltre... Non era tanto sicuro di potersi meritare dell'amore, così come non era sicuro di riuscire ad amare Jimin quanto il ragazzo meritava di essere amato. Lui, che l'amore non lo aveva mai conosciuto davvero, si domandava come potesse essergli capitata una situazione del genere, e quanto fosse umiliante fronteggiare la realtà: non era all'altezza.

Non si trattava di non tenere a Jimin, di non volergli bene, di non preoccuparsi per lui... Erano tutte cose che inevitabilmente si ritrovava a fare, che gli piacessero o meno — il problema era dimostrarlo, soprattutto quando il suo umore si incrinava al punto da fargli vedere tutto nero. Come poteva essere un buon ragazzo per Jimin quando non riusciva nemmeno ad essere un buon figlio? Un buon giornalista? Un bravo principe? Ogni cosa su cui metteva mano sembrava essere destinata ad andare allo scatafascio. Al lavoro la situazione era terrificante: suo padre non solo aveva chiuso definitivamente i rubinetti al giornale, ma aveva trovato offensivo che Yoongi stesse dalla parte "del nemico", il che era assurdo dal momento che era stato proprio lui a raccomandarlo per quel posto di lavoro. Sua zia di sangue, quell'orribile donna attaccata al denaro più di quanto non lo fosse a qualsiasi altra cosa, continuava a prenderlo in giro, raggirandolo con promesse di un fantomatico incontro con sua madre, incontro che per ragioni sempre più ridicole non avveniva mai. Non sentiva Elizaveta e José da una vita, gli mancavano, ma teneva il sentimento chiuso nel petto perché tirare su il telefono e chiamarli sarebbe stato umiliante. Loro non lo avevano mai cercato, ed esattamente come suo padre, reputavano la sua lealtà verso il giornale un tradimento alla famiglia. E Jimin... Era chiaro dal modo in cui lo guardava che avrebbe voluto essere ovunque meno che in quell'appartamento con lui. Non era felice, e non lo era da tempo. E l'unica ragione per cui su quella bocca meravigliosa non si piegava un sorriso, era Yoongi. Jimin, così solare e buffo, assomigliava ad un fiore tenuto per troppo tempo al buio. Stava appassendo, e i suoi occhi luminosi si stavano riempendo di una tristezza tanto profonda da far domandare a Yoongi che cavolo stesse combinando.

Non era facile ammetterlo a sé stesso, ma guardando il proprio volto pallido nello specchio, realizzò qualcosa di terrificante e semplice: i suoi problemi stavano trascinando Jimin nella stessa fossa che Yoongi stava forsennatamente scavando per sé. E l'unica ragione per cui Jimin non cercasse la sua felicità dove poteva realmente trovarla, era l'amore.

L'amore.

Aveva mai meritato l'amore di qualcuno, Yoongi?

Chiuse gli occhi, le dita si serrarono attorno al marmo freddo del lavandino del bagno.

Cosa aveva fatto di buono nella sua vita per meritarselo?

Aveva mai compiuto qualcosa spinto da un sentimento diverso dall'egoismo?

Realizzò di star piangendo solo quando una lacrima bollente si infranse contro il palmo della sua mano. Subito se li sfregò con un palmo, ridendo tra sé per quanto dovesse apparire ridicolo in quel momento. Il telefono prese a vibrare, appoggiato contro la tavoletta chiusa del water. "Megera", recitava, e Yoongi capì immediatamente di chi dovesse trattarsi.

"Sono le tre del mattino" disse con tono scocciato. Fortunatamente, nella sua voce non c'era alcuna traccia della tristezza che gli riempiva i polmoni come fumo. Dissimulare il dolore che provava era sempre stato il più grande dei suoi talenti — non importasse cosa gli infuriasse dentro, Yoongi mostrava alle persone esattamente quello che queste volevano vedere.

"Sei sveglio, no?" c'era qualcosa di strano nel tono di voce di sua zia. Qualcosa di strano che non prometteva niente di buono.

"Sono sveglio" confermò Yoongi. Indietreggiò con la schiena fino ad appoggiarsi alla parete piastrellata. Ogni parola veniva pronunciata con tono basso, perché Jimin stava dormendo nella stanza accanto e l'ultima cosa che voleva era svegliarlo.

"Devi tirarmi fuori da qui" disse la donna, e la supplica aveva un che di autoritario. "Sono alla centrale di polizia di Incheon. Devi aiutarmi, Yoongi. Ho bisogno dei soldi della cauzione" spiegò, ma senza mai menzionare per quale assurdo motivo fosse stata messa in gabbia. Yoongi non glielo avrebbe chiesto, perché non voleva sentirsi rispondere con una menzogna. Aveva importanza la ragione? Avrebbe cambiato davvero qualcosa?

"Forse un po' di galera ti farà bene" furono le lapidarie parole di Yoongi. Nonostante ciò, sapeva già che sarebbe montato in macchina e avrebbe pagato la somma necessaria a tirare fuori la donna dai guai. Era sua zia. L'unico legame di sangue che conoscesse, l'unica persona che non lo guardava con risentimento negli occhi — il che non significava avesse uno sguardo affettuoso, o che tenesse a lui in qualche modo, ma...

Ma.

Yoongi non sapeva dirlo. Non sapeva spiegarlo nemmeno a sé stesso. La trovava spregevole, ripugnante, odiosa, opportunista, falsa e manipolatrice.

Ma.

E quel "ma" fu sufficiente a farlo uscire dal bagno e fargli cercare le chiavi della propria Lamborghini nel portaoggetti in corridoio. Quando finalmente le ebbe trovate, sollevando lo sguardo incontrò quello assonnato di Jimin. Indossava solo la maglietta e i boxer, le gambe nude apparivano pallide alla luce elettrica che filtrava dalla strada. Doveva essersi alzato per fare pipì, o forse Yoongi aveva chiuso troppo forte la porta del bagno e il rumore lo aveva destato — non lo sapeva. L'unica cosa che sapeva per certo è che stava in piedi a pochi passi da lui, la bocca socchiusa in una piccola "o".

"Yoongi" mormorò assonnato il ragazzo, reprimendo uno sbadiglio. "Siamo nel cuore della notte... Dove vai?" domandò, e le parole sembrarono galleggiare a lungo nell'aria.

Yoongi sospirò, forte.

Mia zia è in prigione e devo liberarla. Era la verità, ma dove lo trovava il coraggio di dirlo davvero? Sapeva già cosa gli avrebbe risposto Jimin. Che era uno stupido, che doveva lasciarla perdere, che doveva lasciar perdere tutti, che doveva smettere di sobbarcarsi dei problemi degli altri quando già stentava a tenere a bada i propri. E avrebbe avuto ragione, e questo avrebbe reso ancora più difficile voltargli comunque le spalle per andare a fare quello che un nipote doveva fare. E Jimin non lo avrebbe mai capito, perché non era orfano e non si era mai domandato come fosse avere una famiglia in cui riconoscere i propri tratti, le proprie bizzarre abitudini, i propri pregi e difetti. Non avrebbe mai capito perché per Yoongi aiutare una persona con cui condivideva il sangue fosse tanto importante. Non avrebbe mai capito il bisogno di Yoongi di sentirsi parte di qualcosa davvero, e non solo perché dei documenti lo sostenevano.

"Torna a dormire, Jimin".

Jimin si irrigidì. Le sue piccole mani si chiusero a pugno e poi rilasciarono la tensione. "Okay", disse, ed era l'okay più pesante che Yoongi gli avesse mai udito pronunciare. Jimin aveva già scelto nella propria mente dove Yoongi stesse andando, e Yoongi poteva facilmente indovinare quale idea si stesse facendo. Che cosa avrebbe pensato una persona beccando il proprio partner, con cui tutto sta andando a rotoli, prendere le chiavi della propria auto nel bel mezzo della notte per uscirsene senza nemmeno degnarsi di dare una spiegazione?

Un amante, certamente. Era la soluzione più logica, l'unica che avesse un senso.

Avrebbe potuto negare, avrebbe potuto inventare una qualsiasi cosa, ma era stufo di inventare frottole.

Era stufo di giustificarsi.

E Jimin era stanco di fare domande per sentirsi dare risposte che lo avrebbero fatto sprofondare ancora di più nella voragine che gli apriva il petto.

two | reasons to stay ; yoonminWhere stories live. Discover now