Capitolo 20 - Riccardo

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Emma trema. Ha le mani appoggiate al parapetto di ottone dorato. Lascia vagare gli occhi su una platea deserta, scaldata dalla luce dell'enorme lampadario di quasi sei metri di diametro, padrone dello scintillio di ventiseimila gocce di cristallo, che sovrasta le teste degli spettatori dalla grande ristrutturazione terminata nel 1928.
Tra queste mura hanno visto la luce per la prima volta opere del calibro di Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni, nel 1890, e della Tosca di Giacomo Puccini nel 1900, sotto la direzione forzata ma magistrale di Domenico Costanzi, proprietario fino al 1908, anno della sua morte, da cui il teatro prende il primo nome. Teatro Costanzi, appunto.
A Domenico si susseguirono il figlio prima ed il soprano Emma Carelli poi, sotto la cui direzione il teatro ospitò, tra gli altri, la fanciulla del West, la Tourandot, il trittico di Puccini e il Parsifal di Wagner.
Quando nel 1926, per volere di Benito Mussolini, il teatro divenne proprietà del comune di Roma ed acquisì il nome di Teatro Reale dell'Opera di Roma, vantava già una scaletta pregressa di ampissimo spessore, fino ad acquisire il nome attuale di Teatro dell'Opera, istituito nell'immediato dopoguerra.

Ed io adesso mi ritrovo qui, affacciato su un pezzo di storia del mio mondo, ad osservare le lacrime trattenute a stento delle donna che mi sono scoperto ad amare.
Circondato da quello che è sempre stato il mio tutto e che adesso, di fronte alla sua tristezza, sembra essere diventato niente.
E ho dovuto arrivare a sessant'anni per capirlo.
Per capire la passione che ha ispirato quelli che ho sempre considerato maestri, per capire quale brivido dell'anima ha potuto spingerli a regalare alla storia qualcosa di così immenso.
Perché adesso, nascosto in questo palco angusto che porta racchiuso l'odore di tutti i teatri del mondo, io ho capito che non esiste melodia in grado di eguagliare la sublime estetica dell'amore.
E sono ridicolo. Vecchio e ridicolo.
Eppure mi sento così libero. Per la prima volta in vita mia.
Anche circondato da un sospetto che mi ha attanagliato per anni, anche se mi sento preso ancora più in giro, se mi sento stupido e superficiale per aver fatto trascorrere ventiquattro anni prima di autoimpormi di ribaltare il teatro per ottenere delle risposte, anche se mi sento frastornato e incredulo.
Nonostante tutto, mi sento libero.
Libero e basta.

-    «Robert... carissimo!»

Una squillante voce dall'accento italiano ci aggredisce alle spalle.
Vedo Emma sobbalzare per un istante, girarsi di scatto verso il corridoio.

-    «Riccardo, amico mio!»

Stringo la mano con gesto deciso ad uno dei più grandi direttori d'orchestra del nostro tempo.
Attuale direttore artistico del teatro dell'Opera, nonché mio grande amico e collega stimato.
Emma si porta una mano alla bocca, poi la allunga nella sua direzione.

-    «Piacere Maestro, Emma Nervi.»

-    «Riccardo Muti. Il piacere è tutto mio, Emma.»

Abbandona gli occhi di Emma, prima di puntarli nei miei e di rivolgermi un sorriso carico di entusiasmo.

-    «Cosa ti porta qui, Robert? Hai deciso di scendere dal podio leggendario della Berliner per venire nei bassi fondi?»

Lo dice ridendo, ma chiunque faccia parte del mio mondo sa benissimo che quello che occupo è lo scranno che ogni mio collega ha sempre osato sognare nei suoi pensieri più nascosti.
Gli rivolgo un gesto di intesa, mentre sorrido alla sua battuta senza troppe riserve.

-    «Sono venuto a Roma per una vacanza di piacere...»

Rivolgo una rapida occhiata ad Emma che ricambia il mio sguardo.

-    «Poi le cose hanno preso una piega inaspettata e così mi sono permesso di sfruttare la nostra amicizia per chiederti un favore.»

Riccardo mi sorride. Poi sorride anche ad Emma.
È sempre stato un uomo intelligente. Capace di cogliere al volo ogni sfaccettatura di una situazione. E probabilmente, questa volta, è riuscito a cogliere in fallo anche me e il mio sentimento verso questa strana ragazza dal cappotto sformato e dai jeans pieni di buchi, leggendo nei miei occhi qualcosa che non ho il coraggio di esprimere a voce alta.

-    «Se posso fare qualcosa per te, Robert, non hai che da chiedere.
Volete seguirmi nel mio ufficio?»

Un rapido gesto della mano e ci ritroviamo in fila nello stesso corridoio di poco fa, diretti verso gli uffici amministrativi del teatro.
Sfiliamo nuovamente davanti alla miriade di porte, fino a raggiungere il bagno del secondo piano.
È nascosto da una tenda di pesante velluto rosso, indicato malamente da una targhetta poco visibile. Ma io so che c'è.
Conosco molto bene questo teatro, così come conosco quasi tutti i grandi teatri del mondo.
Sono teso fino allo spasmo.
Osservo Emma cercando di non farmi vedere, pronto a confortarla, a stringerla con quanta forza ho in corpo, nel tentativo seppur vano di difenderla da un passato ingiusto.
Ancora due passi, superiamo la porta del bagno.
I suoi occhi sono sempre incollati alla schiena di Riccardo che si muove con la sicurezza di chi passa qui dentro la gran parte delle sue giornate.
Non sembra essersi accorta di nulla.
Infondo era solo una bambina ventiquattro anni fa. Perché avrebbero dovuto condurla a vedere il corpo della mamma morta?
Superiamo la piccola scala che porta alla galleria, prima di raggiungere il secondo foyer, più piccolo di quello immenso del salone principale, che anticipa l'ingresso degli uffici del teatro.
Riccardo apre una grande porta con il maniglione anti panico, ci fa strada verso una zona dai soffitti più bassi, nella quale i toni porpora della platea e dei loggiati vengono sostituiti da un color crema trapuntato di boiserie bianche, tipiche del teatro italiano.
Un'altra porta, più piccola della prima ci appare in lontananza.
Riconosco la soglia su cui tanti anni fa l'uomo vestito di nero mi rivolse quel sorriso beffardo che non sono mai riuscito a dimenticare del tutto. La superiamo.
Riccardo si siede sulla sua grande poltrona di pelle nera, affondata dietro ad un'enorme scrivania di mogano intarsiato.
Ci fa segno di accomodarci sulle due poltroncine, in pelle nera anch'esse, poste al cospetto del suo centro del potere.

-    «Dimmi tutto, Robert!»

Lancio uno sguardo ad Emma che si contorce le dita, facendo saettare gli occhi tra gli intarsi della scrivania e la finestra affacciata sull'imponenza di via Nazionale.

-    «Sto buttando giù una scaletta per la stagione sinfonica del prossimo anno e, con l'età, sto cominciando a perdere la memoria... voglio essere sicuro di non ripetermi!»

Lui socchiude gli occhi. Poi li spalanca.

-    «Tu hai diretto qui in che anno, Robert?»

Emma trema sulla sedia. Intuisce il mio inganno verso quello che considero un amico da anni.

-    «Tra il 1992 e il 1993.»

Lui fa un lungo gesto di assenso del capo.

-    «Se non sbaglio dirigesti anche la Tourandot quella sera...»

-    «Esatto, anche questo!»

Cerco di liquidare la faccenda nel modo più superficiale che riesco a trovare.
Un nuovo cenno del capo. Riccardo si alza dalle sedia, si dirige verso una seconda scrivania un po' più piccola della prima, posta sulla parete di fondo della stanza.
Afferra la cornetta del telefono, se la porta all'orecchio, compone velocemente un numero molto breve sulla tastiera.

-    «Puoi portarmi su i fascicoli del 1992 e 1993 contenuti in archivio?»

Qualche secondo di silenzio attendendo la risposta dell'interlocutore.
Ancora un impercettibile gesto di assenso.
Poi lo sento rispondere nuovamente, con la voce di chi è è abituato ad impartire ordini.

-    «Molte Grazie, Renato!»

Nota dell'autrice: in questo capitolo ho fatto una cosa che di solito non faccio.
Ho inserito un personaggio reale.
Avrà un ruolo molto marginale in tutta la vicenda, ma inventare un nome al posto suo mi sembrava un'offesa.
Nel periodo in cui la storia si svolge, verosimilmente intorno al 2009, il teatro dell'Opera è diretto effettivamente dal Maestro Riccardo Muti. Uno dei nostri orgogli nazionali per la direzione d'orchestra, insieme al compianto Claudio Abbado citato nel secondo capitolo. Un piccolo omaggio di poco conto, inserito in una storia di poco conto, atto a rendere onore agli artisti che hanno accompagnato, e che tuttora accompagnano, le mie giornate con la loro arte sconfinata.
Come sempre ringrazio tutti voi per l'attenzione e la costanza che dedicate alle mie parole.
Un abbraccio

Cronache di un sogno dalle ali piccoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora