Capitolo 21 - la partitura

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Sento il mio cuore mancare un battito.
Faccio saettare lo sguardo in quello di Robert che già attende fremente il mio.
Renato.
Un nome comune a Roma, come nel resto d'Italia, eppure questa sensazione di formicolio alle braccia, questo sesto senso che non ho mai sentito tanto teso in tutta la vita, sembrano suggerirmi di essere arrivata al cospetto del mio passato sepolto.
Robert mi prende la mano. La stringe leggermente sul bracciolo della poltrona.

-    «È così anche il più grande direttore d'orchestra del mondo soffre di problemi di memoria...»

La voce del maestro Muti torna a riempire un'aria che si è fatta quasi irrespirabile.

-    «Ebbene sì Riccardo, l'età comincia a farsi sentire anche per me...»

Si lascia scappare una risata carica di sarcasmo, trattenuta a stento tra i denti.

-    «Resti a Roma per molto o devi rientrare a Berlino immediatamente? Se non sbaglio giovedì hai in programma la direzione del Parsifal...»

Robert si sistema sulla sedia, prende una boccata d'aria che ai miei occhi attenti risulta quasi vittima dei postumi di una corsa.

-    «Domani al massimo. Ho la fortuna di poter contare sulla più grande orchestra del mondo che, detto tra noi Riccardo, sarebbe in grado di andare in scena anche senza di me. Cosa che, ovviamente, mi guardo bene dal lasciar intuire al consiglio d'amministrazione della Philarmonia, continuando così ad assicurarmi il mio assegno mensile da capogiro.»

Una nuova risata.
È tutto così assurdo. Mi ritrovo in mezzo a due amici che parlano come se fossero seduti ad un pub davanti ad un bicchiere di birra, mentre tremo di paura fin dentro le ossa.
Osservo il maestro Muti inforcare gli occhiali dalla montatura nuda che poco fa ha abbandonato sulla scrivania, sistemarseli sul naso.

-    «Questo posso capirlo benissimo Robert, non ho la fortuna di dirigere la Berliner, ma tante volte anche io nutro il forte sospetto che, malgrado la mia celebrità, io abbia a che fare con musicisti migliori di me...»

Ancora una risata sommessa.
La voce di Robert mi sembra così distante, così finta.
Ho il terrore che da un momento all'altro Muti possa accorgersene.
Improvvisamente una folata d'aria inaspettata preannuncia lo spalancarsi della porta d'ingresso dello studio.

-    «I documenti che mi ha chiesto, Maes...»

Un uomo molto anziano la supera zoppicando.
Ha la pelle quasi bruciata dal sole, un gilet color cachi da attrezzista a fare da scudo alla bene meglio ad una camicia a righe bianche e azzurre, e un paio di pantaloni con le tasche piene di oggetti di ogni genere.
I suoi occhi incrociano i miei, di colpo mi guarda con una violenza che non lascia dubbi.
Lui è Renato. Il Renato delle lettere. Il Renato del sospetto. Il Renato del passato che torna a rivendicare una giustizia che non gli è stata concessa.
Il silenzio diventa assordante per qualche secondo, poi il maestro Muti interrompe inconsapevolmente una resa dei conti che ha aspettato quasi un quarto di secolo.

-    «Ti ringrazio, Renato! Immagino che tu conosca il mio collega e amico Robert Wright.»

Renato accenna un sì con la testa, prima di afferrare la mano di Robert e di stringerla distrattamente, senza staccare gli occhi dai miei.

-    «Ho il piacere di presentarti la signorina Emma Nervi, che oggi ha accompagnato il Maestro a farci visita.»

Renato si muove piano.
Con la poca velocità che i suoi anni gli concedono.
Mi raggiunge. Sorride.
Poi mi stringe la mano senza dire una parola.
Si allontana, dirigendosi verso la porta.
Muti e Robert si scambiano qualche battuta che non riesco a sentire, mentre vedo Renato farmi un cenno con lo sguardo, invitandomi a trovare un pretesto per seguirlo.
Mi guardo intorno velocemente. Poi mi viene l'idea più antica del mondo, quella che qualsiasi scolaro ha usato almeno una volta per eludere le interrogazioni.

Cronache di un sogno dalle ali piccoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora