⚓8⚓Sguardi velenosi come lame⚓

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Alisea

Chiusi gli occhi, non volevo arrendermi al mio destino, ma forse era giunta la mia ora. Il mare mi aveva già risparmiato una volta, le sue onde mi avevano cullata piuttosto che divorarmi, si era preso cura di me, ma ero consapevole che la calma piatta dell'acqua nasconde le sue insidie, è solo una pura traditrice. Nella mia mente pensavo alle mani giunte in preghiera, ai fiori librarsi nel vento, all'acqua che aveva osato divorare vite. Il pegno sarebbe stato la mia vita o la vita di tutti i cittadini dell'isola?

Potevo lasciarmi morire, evitando di spezzare le voci dei bambini, i canti in preghiera, i sguardi di giovani innamorati, donando la mia vita e spegnere per sempre il mio cuore, non sentir vibrare più dentro di me quel battito che si faceva sempre più accellerato.

Mentre cercavo di fuggire all'interno del faro quell'uomo si avvicinava sempre più sinuosamente verso di me, la sua coda dai tratti neri e scarlatti volteggiava tra la spuma del mare ancora in tempesta e stava proprio per trafiggermi dritto al cuore, sentivo il gelo della lama quasi a fior di pelle. Il mio fiato era corto. Volevo urlare, ma le parole erano mute, nessuno le avrebbe udite. Correvo senza una direzione tra il buio delle mura, ma tutte le porte erano bloccate.

Ero prigioniera nella parte più alta di quel maledetto faro, il taglio continuava a sanguinare e poco dopo un bagliore accecante, sentì quella lama trafiggermi le viscere, il suo ghigno sadico, l'odore acre di sangue, l'aria gelida delle mura e il profumo di salsedine e morte.

Il silenzio è l'unica cosa che può seguire la morte, smette di danzare il tuo corpo, la musica delle tue parole si spegne, i tuoi occhi cessano di sorridere, le tue mani smettono di pregare e i tuoi pensieri smettono di volare, tutto si raggela e poi sparisci nel silenzio, il ricordo che gli altri hanno di te vola per il cielo librandosi come cenere tra le stelle.

Arthit-guardiano dell'oceano

Flashback

Solo un'ultima vittima, solo un ultimo sguardo spegnersi, solo per l'ultima volta dovevo provare questo intenso dolore: mi raggelavo ogni volta che il loro sangue macchiava le mura, ogni volta che distruggevo le loro membra e le gettavo lungo le acque dell'oceano. Le urla delle vite distrutte riecheggiavano nei miei incubi, la notte i loro occhi si contorcevano dal dolore, la loro paura mi scorreva lunga la schiena come un brivido di colpa. Ero un uomo, non una bestia.

Quel riflesso di luce era la mia condanna, ero lì rinchiuso con le mani tremanti e il rumore delle onde e dell'arpa che pizzicavo con le dita, solo un'ultima anima e avrei rotto quel sacrilegio.

Lì che si muoveva tra lei increspature dell'acqua vidi un corpo esile lasciarsi cullare, i suoi occhi erano incuriositi dall'imponenza del faro, nuotava libera da ogni preoccupazione mentre il cielo di Nusa Penida lasciava spazio alle stelle e porta via con sè il calore del giorno. Lei meritava di morire, era stato troppo il dolore che la vita mi aveva inflitto ed adesso la mia pietà non avrebbe risparmiato nessuno, neanche una vita ingenua.

Il suono dell'arpa si confondeva con quello delle onde, creando un'intensa melodia, ammaliante come il canto di una sirena, il suo volto si alzò verso il cielo e quasi ebbi la sensazione che i nostri sguardi si fossero incontrati. Il mare sti stava agitando eppure il suo corpo sembrava essere cullato dalle complici onde e i suoi occhi erano immersi ad osservare le stelle.

Solo un scatto repentino e il mio corpo senti l'acqua invadere i pensieri, le mie gambe si avvolsero in una lunga coda, l'impatto con l'acqua era stato elettrizzante, finalmente sarei stato libero, per sempre.

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Sotto l'ombra di un faro ( IN PAUSA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora