VI

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Il pomeriggio dei colloqui sembrò passare nella testa di Louis come uno di quei banalissimi time-lapse di svariati film che cercano di mostrare tutti gli avvenimenti di un determinato lasso temporale in poche decine di secondi.

Vide i genitori dei gemelli sedersi traballanti sulle sedie di plastica davanti alla scrivania che condivideva con Harry, ridendo ad ogni parola che il supplente pronunciava perché troppo alticci per colpa di chissà quale sostanza.

Vide il padre di Chris - con una calvizie più avanzata del corso di matematica del proprio figlio - che si chiedeva dove avesse sbagliato.

Vide le mamme del ragazzino con le lentiggini che fingeva sempre di non studiare per fare quella che lui credeva essere bella figura, ma che, puntualmente, finiva sempre per prendere tra i voti più alti dell'intera classe.

Louis iniziò a prendere parte ai vari dibattiti tra genitori e insegnanti solo quando arrivarono le famiglie dei ragazzi un po' più problematici, tra chi faceva il bullo in tutta la scuola o chi, d'altra parte, veniva preso di mira per chissà quale motivo.

Era sconfortante dover guardare i volti distrutti di genitori che ce la mettevano davvero tutta per garantire un futuro migliore ai propri figli, magari anche a costo di trascurare se stessi e le loro necessità.
Non era difficile notarlo, non quando alcune persone arrivavano di corsa nella saletta che condividevano con qualche altro professore silenzioso ancora vestiti con la divisa da lavoro, o magari con delle occhiaie prorompenti o dei bambini davvero piccoli a seguito.

Ad ogni intervallo tra un colloquio e un altro, Harry e Louis si guardavano, sospiravano quasi in contemporanea, ma non parlavano.
No, non c'era davvero niente da dire in situazioni in cui tutto ciò di cui potevi parlare per rincuorare un genitore, infondendogli speranza, erano semplici frasi di circostanza sull'innegabile intelligenza sprecata di alcuni studenti o sulla fiducia nel loro futuro - che si sperava fosse il più prossimo possibile -.
(Spesso anche mentendo, perché certi ragazzi non sembravano avere la più minima voglia di cambiare, migliorare, rivoluzionarsi.)

"Salve, sono la madre di Shirley." si presentò una donna distinta ma sorridente, quasi raggiante, se si avesse voluto esagerare. Aveva lunghi capelli castani e ricci, del tutto diversi da quelli della figlia con gli spaghetti biondi platino che aveva perennemente tra le mani per un motivo che Louis associò a nervosismo, magari un po' di tensione. Gli aveva sempre dato delle strane sensazioni quella ragazzina, come se fingesse di essere come si mostrava.
"Professor Tomlinson, noi ci conosciamo già, ma lei deve essere il professor..." lo incalzò, schioccando le dita smaltate di rosso con fare sbrigativo mentre poggiava la borsa sulla sedia accanto alla sua e si accomodava senza troppi fronzoli.

"Styles. Professor Styles, piacere di conoscerla." si alzò leggermente dalla sedia per poterle offrire una mano da stringere, nonostante fosse un po' restio dopo aver visto il naso di Louis arricciarsi e lo sguardo della donna quasi affettarlo come un prosciutto con i suoi occhi verdi al posto delle lame.
"È in gran forma, signora. Spero che il lavoro vada bene." disse secco il maggiore, giocando con una penna viola mentre con la scusa di muovere nervosamente il piede sotto la scrivania cercava di far capire a Harry chi avesse davanti.

"Oh, assolutamente. Il mio salone è sempre aperto, le donne vanno e vengono da ogni porta." ridacchiò, guardandosi il dorso della mano tatuato con un'enorme ibisco colorato. "Vi direi di passare, ma non vorrei sembrare qualcosa che non sono, sapete." strinse i denti, forzando un sorriso dopo aver quasi bisbigliato l'ultima frase e facendo spalancare gli occhi a Harry senza un minimo di contegno.
(Entrambi avevano benissimo in mente che cosa fosse, e iniziava con la lettera "o" e finiva per "mofoba", ma l'ultima cosa che volevano era trattenerla un secondo più del necessario con discorsi pseudo-educativi che la donna avrebbe cancellato non appena sarebbe uscita dalla porta.)

It's just a spark but it's enoughWhere stories live. Discover now