παιδίον (pt.3)

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27 novembre 1719

La contessina non vide il fratello per più di venti giorni, in quanto lo tenevano rinchiuso nella sua camera. Solo i genitori, il medico ed un domestico potevano vederlo. Per l'intero periodo Victoria ha pianto, si è tormentata ed è passata più volte dinanzi alla porta, ma ogni volta la trovava chiusa. Nonostante ciò, udiva distintamente la tosse secca di Edoardo o il grido della madre che l'intimava ad allontanarsi da lì. Pure questa mattina viene cacciata in malo modo e la contessina non può far nulla se non andar via a capo chino e con il cuore pesante. La balia, trovandola per le scale, seduta e piangente, s'addolora e le si accosta, stringendola a sé ed accarezzandole il capo. Esigui istanti dopo il pianto isterico della contessina s'arresta mentre l'ira s'impossessa di lei. Victoria balza in piedi ed avanza rapida verso il salone, non curandosi della nutrice che le urla dietro. Non appena giunge in salone, si chiude all'interno per poi sistemarsi dinanzi al leggio, ghermire con forza il suo incantevole violino e suonare con tutto l'ardore che le brucia in petto. L'archetto squarcia l'aria con violenza, atterrando sulle corde ben tese del magnifico strumento. Con furiosa rapidità si muove da un'altezza ad un'altra in un cromatismo discendente in sol minore. L'archetto nelle sue mani ora appare una lama mortale mentre le dita pizzicano con forza le corde come per ferire lo sventurato strumento, che sibila sinistro. Ed ecco che una melodia, lugubre e nostalgica, possiede la sala quando un movimento violento del gomito verso l'altro, poi uno verso il basso porta all'immobilità dell'arto ed al canto strumentale. L'ultima nota vibra, lunga e terribile, mentre il respiro irregolare della fanciulla ed il suo cuore pulsante proseguono il moto. Un gemito le sfugge dalle labbra, ma la musica lo cela alle sue orecchie. La musica ancora una volta lenisce le sue ferite, però non è abbastanza. L'archetto le cade dalla mano tremante mentre una lacrima salata le solca la gote arrossata ed ritmo del sangue rimbomba nelle orecchie. Solo il rumore sordo dell'oggetto in legno che s'incontra con il pavimento la fa rinsavire, spingendola a chinarsi e a raccoglierlo con cura. Victoria si drizza sulla schiena ed osserva incuriosita l'archetto, sorridendo amaramente. La musica è capace di nominare l'innominabile, comunicare l'inconoscibile ed esprimere ciò che non si può né rivelare né tacere, ma talvolta questo non basta.

«Signorina Victoria.»

La contessina si volta verso la balia, osservandola con l'archetto ancora sollevato a mezz'aria ed il violino ben saldo nella mano sinistra. La negra la scruta con gli occhi velati di lacrime, le mani congiunte al petto, il volto addolorato e le labbra tremanti. Victoria quasi sviene, indietreggiando barcollante e lasciando cadere il violino a terra. Il tonfo fa rinsavire entrambe, permettendo di conseguenza ai loro occhi d'incontrarsi e le coscienze di discutere. Le lacrime della fanciulla le solcano le gote e le labbra, che si schiudono per lasciar fuoriuscire un singhiozzo spezzato. Le braccia perlate dal sole le ricadono lungo i fianchi nello stesso istante in cui una consapevolezza, terribile e luttuosa, la investe come un'onda. La balia le si avvicina a passi, lenti e malfermi, e quando i suoi occhi incrociano quelli della padroncina quasi le cedono le gambe. Con forza la stringe a sé, assorbendo il dolore e l'ira della fanciulla, che affonda il viso nel suo petto prosperoso e singhiozza convulsamente. La nutrice le accarezza il capo con amore, cullandola tra le sue braccia: «Dobbiamo andare da lui.»

Victoria compie un profondo respiro e s'asciuga le lacrime con rabbia per poi allontanarsi dalla balia ed acconsentire col capo, in quanto un peso al cuore le impedisce di parlare. La negra l'osserva dubbiosa sul da farsi, sospirando e facendole strada al piano superiore. Non appena giungono dinanzi alla camera di Edoardo, un brivido tremendo scuote la contessina, costringendo la nutrice a bussare al posto suo ed attendere con pazienza che qualcuno venga loro ad aprire. Esigui istanti dopo la contessa si palesa sulla soglia, scrutando entrambe con disprezzo, per poi ordinare alla balia d'andar via. Non appena Abba sparisce dalla loro vista, la madre porge alla figlia un fazzoletto di cotone color cremisi, comandando con freddezza: «Portalo dinanzi al naso ed alle labbra. Non toglierlo sin quando non uscirai da questa stanza.»

La figlia accoglie il dono con mani tremanti mentre lo stomaco le duole ed il cuore le sanguina. La contessa le permette d'entrare, chiudendo la porta alle loro spalle e lasciando alla figlia il tempo d'osservare la camera e suo fratello. Non appena Victoria guarda all'interno del loco, sobbalza sconvolta. La stanza sarebbe completamente avvolta dal buio se non fosse per le due lampade ad olio accese agli angoli prossimi del capezzale mentre un'aria insalubre aleggia malvagia a causa delle finestre chiuse ed oscurate dalle tende, rendendola più spettrale. Una mole ingente di medicine sono sparse selvaggiamente sui due comodini presenti in stanza intanto che l'armadio in legno massiccio è serrato e lo specchio accanto completamente distrutto. Il tappeto, un tempo dai vividi colori e privo di polvere, è scuro e ricoperto d'impronte, i due letti in legno invece sono uniti tra loro e foderati da coperte, pesanti e spiegazzate, mentre le due tastiere sono nascoste da una decina di cuscini. Un essere scarno, dalla pelle giallastra e dall'aspetto spettrale giace semicosciente sui morbidi materassi tanto da far rabbrividire la fanciulla per l'orrore. Difatti le ci vuole qualche istante per capire di chi si tratti, ovvero di suo fratello. Si precipita al capezzale, superando il padre e prendendo posto sulla sedia accanto al letto. Lentamente e con molta fatica Edoardo volge il capo verso di lei, scrutandola con amore e nostalgia. Victoria si sente morire quando i suoi occhi incontrano quelli del fratello, poiché non rivede più due gemme verdi come il prato estivo ma due pietre, scure e spente. Le labbra, prima piene e rosse come ciliegie, sono secche e minute come pinoli, le gote, un tempo paffute e colorite, sono scarne e segnate dal dolore ed i suoi bellissimi capelli, scuri come i suoi e morbidi al tatto, sono corti e pagliosi. Il petto, le braccia e le mani sono giallognole e segnate da piaghe infette. Victoria non riesce a tenere dentro il dolore e l'ira, irrompendo in un pianto isterico e sputando veleno nel fazzoletto che preme contro le labbra.

«Victoria.»

La voce rauca del fratello la fa singhiozzare con più ardore mentre Edoardo allunga con non poca difficoltà il braccio verso di lei. Le gemme cervoni della fanciulla osservano ipnotizzate il suo gesto lento, facendola sospirare e smettere di piangere. Victoria si fa forza e compie un profondo respiro per poi stringere la mano del fratello nelle sue. Subito il conte si appresta a dividerli, ma la consorte glielo impedisce. Lo prega d'attendere ed osservare il momento di ricongiungimento tra i suoi due figli minori, facendolo arrendere e sospirare.

«Oh Edoardo!» Esala Victoria con voce rotta. «Cos'è successo? Cos'è successo?»

Purtroppo la fanciulla non riesce a trattenere il dolore che le avvelena l'animo, piangendo disperata. Il fratello, vedendola così tormentata, le stringe la mano con più vigore, costringendola a guardarlo negli occhi, verdi e vacui: «Victoria promettimi che vivrai.»

«No!»

Edoardo la guarda amorevolmente, ribattendo con decisione: «Vivrai Victoria e lo farai pure per me.»

La contessina scuote il capo contrariata: «Tu vivrai. Noi vivremo.»

Il fratello scuote il capo affranto, sorridendo con amarezza: «Vivere è coraggio, poiché la vita è un valore. La morte invece è soltanto la sua fine d'affrontare con audacia quando il sonno eterno non lascia altra scelta. Inoltre, mia cara Victoria, sono pronto per diventare una stella e vegliare su di te, su di voi.»

La contessina gli grida contro, in quanto non è pronta a perderlo. Il suo amore e la sua disperazione lo animano mentre le accarezza dolcemente il dorso della mano, stupendosi della sua pelle così rosea e vellutata.

«Non riuscirò a vivere senza di te.»

Il cuore di Edoardo pulsa con più ardore ed un sorriso tenta di formarsi sul suo volto, anche se a causa dell'orribile malattia appare più un ghigno sinistro.

«Victoria.» La richiama dolcemente, guardandola negli occhi lacrimosi. «Sei più coraggiosa di quello che credi, più forte di quello che sembri e più intelligente di quello che pensi.»

«Non ce la faccio!»

«Penserai con animo, azionerai di cuore e vivrai d'amore.»

Il conte e la contessa non si permettono d'intervenire, rimanendo ad osservarli commossi e devastati dal dolore. Victoria rimane ancora qualche istante al capezzale del fratello, discutendo con lui e guardandolo con amore. Gli stringe la mano sin quando la sua anima non vola via nell'empireo, abbandonando la sua famiglia ed il suo corpo, martoriato e tumefatto dalla malattia.

Victoria e Dimitrij Where stories live. Discover now