Allucinazioni.

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I flashback gli riempivano la testa. Non ce la faceva più, Andrea. Strizzava forte gli occhi, ma non passava. Le immagini restavano impresse nella mente, mentre prima riusciva a farle passare.
«Oh Cristo.» aveva detto il dottore, quando erano entrati nell'ospedale. «Lui è-?»
«Morto.» disse Andrea. «Lui è morto.»
Il dottore boccheggiò un po'. Era giovane: sicuramente alle prime armi.
Andrea continuava a perdere sangue, aveva le labbra bianche ed era molto pallido.
«Potrei provare a rianimarlo?» balbettò leggermente il dottore.
Cristian annuì: la speranza è l'ultima a morire. Andrea non rispose. Rimase immobile con le braccia di Flavio ancora avvolte in torno le loro spalle. Avrebbe voluto bestemmiare, perché il Dio che tutti pregavano, quello caritatevole e buono, non esisteva. Avrebbe voluto urlare che no, non doveva provare a rianimarlo, perché lui l'aveva sentito il cuore di Flavio smettere di battere. L'aveva sentito perché aveva smesso di battere anche il suo.
Calciò una lattina di Coca Cola. Era frustrato.
Camminava senza dar retta a niente e a nessuno. Le signore bisbigliavano "Che maleducato" quando ottenevano una spallata da parte sua. Lui non ci faceva caso.
«I punti non servono.» gli disse l'infermiera, mentre finiva di curargli la ferita. «Sei stato fortunato.» disse sorridendo.
Andrea la guardò. «Il mio migliore amico è morto.» disse. «Non mi sento per nulla al mondo fortunato.»
«Qualche centimetro in più e saresti morto.» l'infermiera non si scompose troppo per la rivelazione del ragazzo.
«Starei con lui, forse.»
Diede un ennesimo calcio alla lattina di Coca Cola, che aveva iniziato a calciare qualche centinaio di metri prima.
La cicatrice iniziò a pulsargli. Alzò la maglietta, per vedere se era ancora lì, se sanguinava ancora.
Un flash.
La maglietta bianca che indossava divenne blu, si tagliò all'altezza della pancia, si intrise lentamente di rosso.
Si sfilò la maglia trattenendo un urlo e la buttò nel cassonetto più vicino.
La brezza fresca iniziò a scontrarsi col suo petto nudo. Non abbassò mai lo sguardo. Rivedere quella cicatrice l'avrebbe fatto impazzire. Ogni volta si faceva fasciare il busto dalla madre, perché non la voleva vedere.
Camminava, camminava a vuoto. Erano ore che camminava e non sapeva dove andare.
Poi si ritrovò sotto casa sua, dopo milioni di giri. Non tremava, non batteva i denti. Non aveva freddo perché non ci stava pensando.
Il petto era rossastro.
Bussò alla porta di casa sua. «Andrea, cos'è successo?» la madre era preoccupata, lo guardava e gli occhi le diventavano lucidi.
Andrea guardava il vuoto. «Sanguino.» disse con voce fioca.
La madre si preoccupò, lo portò dentro casa. «Dove, Andre? Dove sanguini?»
«Sulla pancia.»
Elisa lo guardò compassionevole. «Andre, non sanguini sulla pancia..»
«La maglietta era blu. Era- era- sanguinavo, mamma. Era- strappata. Rossa.»
Elisa gli diede una carezza. Allucinazioni. «Tesoro, erano allucinazioni.»
Andrea abbracciò forte la madre. «Mamma.» sussurrò. «Sono distrutto.»
Elisa gli accarezzò la schiena. «Fai sempre in tempo a ricostruirti, tesoro.»
«I pezzi sono troppo piccoli. Non ho pazienza.»
«Troverai qualcuno che avrà pazienza. O che non ce l'avrà, ma la troverà per te.» Elisa sorrise ed Andrea si staccò. «Hai già in mente qualcuno?»
Quel qualcuno era Margherita. «Sì, mamma. Ho in mente qualcuno, ma è distrutta come me.»
Elisa sorrise di nuovo. «Potreste unire le macerie, e far nascere i fiori.»
Andrea non seppe come fosse possibile una cosa del genere, ma accennò un sorriso. «Copriti.»
Andrea rise. «Sì, ora lo faccio.»
«Se stai male, ti do il resto!» urlò Elisa, andando in cucina.
Tanto non lo faceva mai.

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