CAPITOLO 2: "perché siamo qui?"

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Salve mortali! Sono tornata! Contenti? Ho un nuovo sogno da raccontarvi. O meglio,un nuovo incubo da raccontarvi.
Bene, iniziamo.

Tutto iniziò per autostrada, sembrava la zona industriale di una metropoli: alti palazzi grigi svettavano all'orizzonte e l'autostrada era completamente deserta.
Avevo sempre 5 anni (fateci l'abitudine che sarà sempre così) ed ero con un uomo in giacca e cravatta, un uomo con la pelle scura e gli occhi...viola?(Steve probabilmente). Sembravo tranquilla, saltellavo da una parte all'altra senza staccarmi da lui.
Verso la fine dell'autostrada si iniziò ad intravedere un edificio: alto, squadrato, grigio, circondato da un'alta recinzione con filo spinato e sorvegliato da guardie. "Quell'edificio non mi piace" constatai. Non so, c'era qualcosa che non andava in quell'edificio: mi metteva inquietudine, ansia e una certa paura. Guardai mio padre: forse mi si leggeva in volto che avevo paura perché lui mi sorrise con quel sorriso tanto rassicurante e affettuoso. Mi sentii un po' meglio, ma non del tutto.
Arrivammo davanti all'edificio, le guardie ci fecero passare con anche un certo rispetto verso mio padre ed entrammo. La stanza all'ingresso sembrava piuttosto vuota: c'erano solo un'alta scrivania e qualche schedario. Proprio dietro questa scrivania c'era un uomo dall'aspetto rude e scontroso. L'uomo e mio padre si dissero qualcosa che io non riuscii a sentire e poi mio padre mi alzò la manica della maglietta: sul mio avambraccio risaltava un marchio a fuoco: "SCP 042 A". Fissai il marchio a fuoco e iniziai a tremare "quando l'ho fatto?! Non ricordo ci fosse qualcosa lì!", pensai terrorizzata. Probabilmente sbiancai perché l'uomo dietro la scrivania mi chiese se stessi bene. Lo guardai e subito dopo scoppiai in lacrime. Mio padre mi lanciò uno sguardo preoccupato che non mi rassicurò per niente per poi prendermi per mano e portarmi con sé per i corridoi. -ascoltami. Sono qui, va tutto bene. Mi senti? Ascolta la mia voce, piccola- continuava a dirmi lui mentre io ripetevo in modo maniacale -no...no...no..-. Ci fermammo davanti a una porta, accanto ad essa svettava un cartello verde: SCP 042. Smisi di piangere e guardai il cartello: la stanza era per me? Bene, proprio bene... Entrammo: la stanza era molto ampia e sembrava fatta apposta per farci vivere una semidea come me : le pareti erano affrescate di arancio, c'erano una scrivania e una libreria ammassate contro la parete a desta, mentre sulla sinistra c'era una specie di fucina con casse e zone dove appendere le armi. Sulla parete in fondo c'erano due letti e una cassa piena di mattoncini per costruire di legno.Tutto sembrava perfetto, poi mi accorsi di un dettaglio raccapricciante: su una delle mensole erano nascosti sedativi e droghe varie, non volevo sapere cosa volessero farmi con quelle. Mio padre, intanto era sparito, ma nonostante questo non ero sola: su un lettino d'ospedale messo in un angolo c'era un bambino sui 5 anni. Aveva la carnagione chiara, gli occhi verdi e i capelli castani; indossava dei jeans blu e una T-shirt verde ed era scalzo. Tutto il suo abbigliamento era sporco di sangue e stracciato. Intanto lui si analizzava una ferita lasciata da un proiettile che, in qualche modo, era riuscito ad estrarre ed era poggiato sul lettino. Sangue dalle venature dorate gli colava a piccoli ghirigori lungo il braccio. Poi lo riconobbi: era mio fratello gemello Jess...cosa gli avevano fatto? Mi avvicinai e sentii di nuovo gli occhi riempirsi di lacrime: " non piangere, non piangere" ripetevo tra me e me. Lui sembrava non mi avesse notato, ma quando mi avvicinai mi riconobbe, spalancò le braccia e mi accolse: -per tutti gli dei, anche tu qui? Stai bene? Sei ferita? Dove sono mamma e papà?- -sto bene tranquillo, mamma non so dove sia e papà...bè è sparito. Perché siamo qui?- gli chiesi. Lui in tutta risposta stese in braccio, mostrandomi il suo marchio a fuoco: "SCP 042 B". -Per qualcosa che riguarda questo ,suppongo. Papà mi ha detto che siamo al sicuro e che non dobbiamo preoccuparci- disse lui -questo posto mi mette ansia, non mi piace per niente. Perché papà ci dovrebbe portare in un posto simile? A proposito, quella come te la sei fatta?- dissi, indicando la sua ferita -volevo scappare, sono riuscito ad uscire di qui, ho attraversato un paio di corridoi e poi...- non c'era bisogno che finisse la frase: lo avevano sparato! Come osavano! Strinsi i pugni così forte da sbiancarmi le nocche e lo guardai: ero furibonda. Lui mi posò una mano sulla spalla: -senti, so che sei arrabbiata, ma non facciamo niente ti prego. Non voglio che ti facciano del male. Quelli lì, gli scienziati mi hanno detto che se facciamo i bravi saremo fuori di qui in un attimo- disse indicando una balconata, dove uomini in camice bianco prendevano appunti su di noi. -perché tu ti fidi?- -di loro no, ma di papà sì, sono sicuro che non ci lascerebbe mai con persone che ci possono far del male. Non ti preoccupare. Senti dietro quella porta c'è un giardino. Io ho ancora le spade in legno. Ci alleniamo?-. Quanto gli volevo bene accidenti! Cercava di distrarmi: -ok, vediamo se riesci a battermi stavolta- Uscimmo in giardino che era identico a quello di casa nostra: un recinto di rovere lo racchiudeva, c'erano alberi di betulla,vari tipi di fiori (tra cui le rose che mamma aveva piantato) e il poligono di tiro con l'arco dove io mi allenavo. -Accidenti ma è come quello a casa nostra!- esclamai io sorpresa -Eh già, si sono dati da fare. Ora basta chiacchiere vediamo che sai fare- disse Jess. Iniziammo il duello, ma non riuscivo a dare il mio meglio: sentivo gli sguardi degli scienziati puntati su di me e non mi sentivo al sicuro. Infatti dopo poco Jess vinse. Di solito vincevo io perché ero la più veloce e la più furba, quindi era evidente che non stavo bene. -tutto bene, Giada?- mi chiese lui, io mi sedetti all'ombra di uno degli alberi -non lo so. Tutti quegli sguardi su di me...sai che mi mettono ansia- lui mi mise una mano spalla e sorrise. Quel momento fu interrotto da uno scienziato che entrò: -voi due venite con me, ora-. Non mi fidavo e mio fratello neppure:sguainò la sua spada dorata e gliela puntò alla gola:-dimmi prima cosa vuoi e forse ti seguiremo- lui rise in modo arrogante: -pensi che ti lasci fare quello che vuoi?- fece un fischio e delle guardie ci circondarono. Sguainai la mia spada in diamante e iniziammo a combattere. Non durammo molto: io venni sparata ad una gamba e presto persi i sensi. L'ultima cosa che vidi fu mio fratello che veniva circondato...

Mi svegliai di colpo. Mi guardai il braccio: mi prudeva terribilmente. Ma non era questo che mi preoccupava: i sogni per noi semidei sono spiragli di realtà. Voleva dire che mio fratello era in pericolo? Non lo sapevo, ma anche se lo sapessi non potrei farci molto...

Sogni Di Una Semidea Figlia di Steve Where stories live. Discover now