Mandarini

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Era una bella villetta a schiera, quella che si era ritrovato d'avanti, con un roseto spoglio all'ingresso che in primavera avrebbe cominciato a fiorire, impregnando l'aria con il suo profumo assieme allo spettacolo dell'Hanami. Di certo non si aspettava che Levi vivesse in una casa dallo stile così moderno, reso vagamente rustico solo dall'abbellimento in pietra che circondava la porta d'ingresso. In realtà, fino a pochi istanti prima, nemmeno riusciva ad immaginare Levi nel quotidiano. L'aveva considerato per così tanti anni un essere sovrannaturale, da non riuscire a figurarselo in uno spaccato di comune vita adolescenziale. Fu quasi inevitabile per Eren chiedersi come occupasse le sue giornate dopo aver svolto diligentemente i doveri da studente. Magari, come nel cambio d'ora a scuola, semplicemente se ne stava in poltrona, con un paio di occhiali da vista poggiati sulla punta del naso, a leggere uno dei suoi romanzi. Gli piaceva l'espressione appaciata che scovava sul suo volto ogni volta che i suoi occhi e la sua mente si perdevano in un mare di carta e inchiostro, come se il mondo esterno non potesse neanche sfiorarlo. Era genuino, meno ingessato e più rilassato; più volte si era ritrovato a domandarsi distrattamente se, quando disegnava, gli altri potessero scorgere la medesima serenità nei lineamenti del suo viso.

Ma chi voleva prendere in giro? A lui interessava trasmettere quelle sensazioni unicamente al corvino: la necessità di essere fautore di un cambio d'umore per Levi, quanto quest'ultimo lo era per lui.

Considerava quasi fastidioso quell'inaspettato ascendente che aveva cominciato ad esercitare su di lui, iniziato sì, con la telepatia, ma trasformatosi in pochi giorni in qualcosa di indefinibile. Eren, e quanto odiava ammetterlo perfino a se stesso, era caduto, o meglio, si era tuffato, nella tela del ragno, diventando un satellite che a malincuore orbitava intorno alle opinioni di Levi Ackerman. È solo per la graphic novel, si ripeteva, credendoci di volta in volta sempre meno. E la sua presenza lì, quel gelido pomeriggio di fine gennaio, ne era la prova schiacciante.

Con lo zaino in spalla, una busta del discount stretta nella mano sinistra e l'ombrello nella destra per parare i docili fiocchetti di neve che altrimenti gli avrebbero impregnato il cappello di lana e i vestiti, attendeva pazientemente che il padrone di casa gli aprisse, in seguito al suo insistente bussare del citofono.

Vedere il cipiglio imbronciato di Levi tramutarsi in un'espressione interdetta, non appena si rese conto di chi fosse l'ospite inatteso, lo fece sorridere. Rimase fermo, il volto che appena sbucava dall'uscio della porta e il cancello, oltre il quale si trovava Eren, ancora serrato.

«E tu che ci fai qui?» domandò, la voce bassa e il tono brusco, ed Eren inarcò di contro un sopracciglio.

«Questa è l'educazione che tanto vanti di possedere, Ackerman? – lo prese in giro, ghignando sardonico. – Allora sei davvero il risultato di un cumulo di chiacchiere infondate! Quale sarà la prossima scoperta? Magari che bari in tutti i test? O forse che quel bel faccino che ti ritrovi è in realtà il frutto di un paio di ritocchini? Pensandoci bene, sono abbastanza sicuro che il tuo naso non sia autentico, insomma... guardalo, è fatto troppo bene! Deve essere artificiale.» Come a volerlo zittire, Levi premette un pulsante, facendo scattare la serratura del cancello esterno per permettere ad Eren di entrare.

«Hai finito di sparare stronzate? – gli disse, aprendo un po' di più la porta per incitarlo a muoversi. – E levati le scarpe.» Sospirò, mantenendosi il ponte del naso con due dita, scuotendo piano la testa come se fosse esausto. E proprio come il castano aveva immaginato, Levi portava davvero un paio di occhiali da vista, nell'intimità di casa propria.

«Ma quanto sei noioso, Ackerman! E pensare che... – si bloccò di scatto, non appena rimosse il primo stivaletto, gli occhi incollati alla figura del corvino che scorrevano velocemente da capo a piedi, mentre sentiva un sorriso crescere a dismisura, nel realizzare ciò che gli si era parato davanti. – Stai indossando un pigiama!» esultò, portandosi le dita alle labbra, che ora erano schiuse, un po' per la sorpresa, un po' per il divertimento. Ecco l'ennesima cosa che non avrebbe creduto possibile e che, per qualche oscura ragione, gli trasmetteva un'allegria fuori dal comune.

Connected [Ereri/Riren]Where stories live. Discover now