3: L'EFFETTO-JIMIN

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Il pomeriggio fu in sostanza uguale a tutti quelli che Yoongi aveva passato lì dentro: viavai di gente, musica sparata a palla dagli altoparlanti della piscina che doveva gestire lui, gli occhi stanchi per il troppo stare dietro al computer. E poi, quella sera, prima di andare in spiaggia, avrebbe dovuto fare il triplo del lavoro con le luci e l'audio: solo il pensare a quanto avrebbero urlato quei bambini gli metteva mal di testa. Per fortuna era Hoseok ad occuparsene, mentre Taehyung, un ragazzetto dai capelli di un intenso blu elettrico, teneva sotto controllo gli "young", i ragazzi dai tredici ai sedici anni. O meglio, le ragazze. Tante, tantissime ragazze.

«Yoongi!»

La voce di Namjoon lo risvegliò dal suo sonno ad occhi aperti, facendogli allungare il collo fuori dalla finestrella nella parete del reparto luci. Namjoon era quello che teneva la baracca aperta, il capo del lido "Nettuno". Eppure non aveva che ventidue anni, tre in più del menta. E pensare che Yoongi era stato obbligato da sua madre a fare qualcosa d'estate, o non avrebbe mosso un muscolo dal divano.

«Dimmi, Namjoon. Sono qui.»

Il maggiore camminò verso la postazione, affacciandosi alla finestrella.

«È tutto pronto per questa sera? Cerchiamo di finirla in bellezza, d'accordo?»

Yoongi annuì. Provava un immenso rispetto per Namjoon: nonostante fosse il capo e avrebbe potuto starsene comodo nel suo ufficio, al fresco, a farsi gli affari suoi, era sempre in giro, a controllare che tutto andasse nel verso giusto, ora vicino a Seokjin, a controllare che in piscina nessuno si facesse male, ora al bar, a conversare un po' con Jeongguk, che lo gestiva praticamente da solo.

«Sai dove sia andato a finire Jimin? Lo sto cercando da un po'.»

«Si sta preparando qui, dietro le quinte. Credo che sia un po' agitato.»

Namjoon annuì comprensivo, poi rivolse un'occhiata ai monitor.

«Hai da fare?»

Il menta seguì il suo sguardo: i monitor erano quasi vuoti, c'era solo una playlist aperta da una radio online.

«No, perché?»

«Vieni. Andiamo a vedere se sta bene.»

Yoongi capì al volo che stava parlando di Jimin, così annuì e si alzò dalla sedia girevole, seguendolo dietro le quinte. Le quinte erano un ammasso di vestiti di scene, legno a separare diverse parti dei retroscena, luci e teli. A Yoongi piaceva andarci quando si sentiva come un pettirosso smarrito e improvvisamente gli mancava il respiro e casa sua. Alcune volte c'era anche Jimin, che danzava senza badare troppo a lui. Alcune volte il biondo era lì e lasciava che la musica li avvolgesse, lenta, soprattutto quando era una di quelle canzoni che non poteva ballare per il pubblico di famiglie disinteressate e che ballava per se stesso, il piccolo specchio appoggiato al legno e Yoongi, che non poteva fermarsi dal guardarlo e sentirsi più incantato che mai.

Anche quella volta Jimin stava ballando: la musica non c'era, il che era strano. Eppure sembrava allenarsi su alcuni passi particolari. Yoongi finse che quei movimenti perfettamente eseguiti e quei passi di danza non lo volessero convincere a fermarsi lì, sul posto, e aprire la bocca dallo stupore. Tuttavia, il biondo si fermò improvvisamente non appena li vide all'angolo dello specchio, davanti al sipario.

Jimin si passò una mano tra i ciuffi biondi, leggermente bagnati di sudore, girandosi verso di loro.

«Hey. Che ci fate qui?»

Yoongi lasciò che i suoi occhi lo studiassero, nascondendo la verità che non riusciva ad accettare dietro il fatto che adesso Jimin, cambiatosi i vestiti, stava indossando una maglia e un pantalone nero che non facevano altro che renderlo più bello. Per fortuna, Namjoon non subiva così tanto "l'effetto-Jimin" come faceva il menta.

LA COLLANINA DI CONCHIGLIEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora