34. Concesse dal patriarcato

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Inspiro. Espiro. Inspiro. Espiro.

Bloccata davanti alla porta d'ingresso di casa mia, cerco di calmare i battiti del mio cuore e di non respirare come se avessi appena finito una maratona.

Il fatto è che sono parecchio agitata. Sono preoccupata, perché non capisco proprio come mai Riccardo sia dovuto venire a casa mia, quando i nostri problemi li dobbiamo risolvere tra noi, al di fuori della mia famiglia. Sono preoccupata, perché la sensazione che mi stringe il petto è decisamente più cupa di quel che dovrebbe essere. Non dovrei avere paura. Invece, sotto sotto, la presenza di Riccardo mi spaventa.

Faccio un ultimo e lungo respiro, e mi accingo ad aprire la porta.

Sento mia madre ridere, sopra al rumore di pentole e fornelli. Raggiungo la cucina, e trovo lei e Riccardo indaffarati a preparare da mangiare. Il mio ormai ex ragazzo ha il viso tirato e gli occhi scintillanti d'odio dietro il sorriso finto, e non posso non notarlo subito.

«Eccoti, tesoro!» esclama mia madre, correndo ad abbracciarmi. Ricambio la sua stretta fissando Riccardo, che non esita a lanciarmi occhiate di fuoco.

«Ciao, mamma» mormoro, prima di sciogliere l'abbraccio. «Riccardo, dobbiamo parlare» dico poi. Lui alza le sopracciglia, fingendosi sorpreso.

«Che fretta hai, Kassy? Qui è pronto, è ora di mangiare» risponde, il tono secco e asciutto come il suo viso.

«Mamma, puoi lasciarci soli un momento?» chiedo, anche se non sono sicura sia una buona idea. Di certo, però, non mi va di affrontare la nostra rottura davanti a lei.

«Ma tesoro, Riccardo ha ragione, è pronto!»

«Mamma. Abbiamo bisogno di parlare. Sarebbe lui a doversi schiodare dalla tua cucina, ma visto che oggi non ricorda quali sono i confini, ti chiedo di avere pazienza e di lasciarci soli.» Sono arrabbiata. Sono stanca. Mi sento offesa, e ho abbastanza nervosismo in corpo da non trattenermi più nemmeno con le parole.

Mia madre mormora un "okay" piuttosto sconvolto, ci squadra preoccupata, e decide di lasciarci soli.

«Cavoli, Kassy, è proprio vero che sei diventata una stronza» mi dice Riccardo, incrociando gli arti scomposti sull'addome.

«Perché sei venuto, Riccardo? I nostri problemi li dobbiamo affrontare fuori da qui. I miei non c'entrano un bel niente.»

«Diciamo che volevo vedere se tua madre era a conoscenza del tuo comportamento da puttana degli ultimi tempi.» Una risata isterica gli esce dalle labbra rinsecchite, e io tremo. Deglutisco forzatamente, stringo i pugni. Sorvolo sul suo linguaggio, cercando di contenere la rabbia di entrambi, e mi sforzo di sembrare risoluta, quando mi decido a parlare.

«Non mi sono comportata per niente bene. È vero. Sono stata egoista e insensibile, e per questo ti chiedo scusa. Non avrei dovuto mentirti, ed è stato un comportamento infantile e immaturo.»

Riccardo lascia andare un'altra risata amara.

«Mi dispiace» riprendo, «e so che non riuscirai a perdonarmi tanto facilmente...»

«Oh, eccola qui, la mia Kassy. Effettivamente, con quel tono sembri davvero dispiaciuta» dice, avvicinandosi a me. «Forse ti posso perdonare, se decidi di mollare quello schifo di lavoro e di non fare la puttana.»

La sua cattiveria mi dà i brividi. Non l'ho mai visto in queste condizioni, non l'ho mai visto reagire così, non l'ho mai sentito usare questo linguaggio, non si era mai permesso di spingersi così in là. Colta di sorpresa dal suo comportamento, e impaurita da ogni singola parte di lui, indietreggio.

«Non hai capito» dico, cercando di farmi coraggio.

«Che cosa non ho capito?» Il suo sguardo si fa tagliente.

BISCOTTI AL CACAODove le storie prendono vita. Scoprilo ora