Adrien

636 44 8
                                    

Kagami aveva sincronizzato i suoi appuntamenti con i miei.
E visto considerato che tre quarti dei suoi impegni erano gli stessi che avevo io, scherma e cinese mandarino per citarne un paio, riuscivamo a vederci praticamente ogni giorno.
Quando poi i miei impegni andavano fuori dalla sua routine, tipo interviste o servizi fotografici, sicuro come l'oro che capitava in zona con qualche scusa, e aspettava che finissi.
Dulcis in fundo, era un ottima compagnia durante le interminabili riunioni dei nostri genitori.
Tirate le somme, trascorrevo con lei praticamente tre quarti del mio tempo, libero e non.
Non era male, specie in confronto all'opprimente solitudine a cui ero fin troppo abituato.
Eppure...
"Ma è mai possibile che stai sempre a lamentarti?"
Girai la testa a sinistra, lo sguardo inceneritore. Plagg era spaparanzato sulla mia federa, a ingozzarsi di formaggio.
"Per tua norma e regola, caro il mio buco nero ambulante, io non mi lamento mai." protestai.
Ero sdraiato sul mio letto, braccia e gambe aperte. Avevo fatto tutto il giorno avanti e indietro come una trottola, tra una cosa e l'altra. Ero praticamente sfinito.
"Come no... cosa stai facendo, adesso? Prima ti lagnavi perché eri da solo, ora ti lagni perché quella ragazza ti sta sempre appresso..."
"Non mi lagno affatto, di que... io non mi lagno per niente! Sono contentissimo che Kagami passi tanto tempo con me, non mi fraintendere. Dico solo..."
"...che quella bella fontina non è il tipo di formaggio che ti aggrada, vero?"
Lo guardai, accigliato.
"Fontina?"
Plagg annuì, l'aria di chi la sa lunga sull'argomento.
"Le donne, mi sembra di avertelo già detto, sono come i formaggi: Se trovi quello che solletica il tuo palato e le tue papille gustative nel modo giusto, difficilmente riesci a gustarne altri con la stessa soddisfazione. E tu, caro mio, hai il palato fino, sai già qual'e il formaggio che vuoi."
Mi voltai di nuovo verso il soffitto, reputando superfluo ribattere.
Plagg non era umano, cosa poteva capire dei nostri problemi?
Però, pensai, trascinandomi in bagno e aprendo il rubinetto della doccia, non è che fosse proprio tutto sbagliato, quel suo contorto ragionamento.
L'analogia scelta da plagg, per quanto disgustosa fosse, era abbastanza azzeccata. Kagami era davvero come un ottimo formaggio, ma la verità... era che il mio palato voleva ben altro.
Si, conclusi mentre mi toglievo i vestiti, e mi infilavo sotto il getto d'acqua tiepida, non era kagami, il mio formaggio preferito.
Lo era Ladybug.
Lei e soltanto lei, poteva estinguere davvero la fame del mio cuore.
L'amavo più di me stesso, fin dalla prima volta che l'avevo vista, e ogni giorno un po' di più.
Buffo, pensai uscendo dal bagno con un asciugamano sopra la testa, e aprendo il cassetto dei pigiami, provavo un sentimento smisurato per quella meravigliosa creatura.
Eppure, non l'avevo mai detto a nessuno.
Nemmeno Nino sospettava alcunché, e lui era il mio migliore amico. Perché?
Vergogna, forse.
In fondo, dal mio punto di vista, io quella ragazza la conoscevo forse meglio di chiunque altro, ed era più che lecito il mio sentimento.
Ma dal punto di vista del resto del mondo, che non sapeva né chi ero io né e chi era lei, la cosa non poteva avere senso.
Risultavo solo uno, come tanti altri, che si era innamorato di una specie di idol, una celebrità.
Niente di diverso dall'amore incondizionato che giuravano di provare le mie fan per me, anche se in realtà neanche mi conoscevano.
Si, probabilmente era così. Avevo taciuto per evitare di essere paragonato a un idiota fanatico.
In cuor mio sapevo che il mio amore era autentico, ma spiegarlo ai più senza dover per forza vuotare il sacco su chat noir, sarebbe stata decisamente complicata, come cosa, da farsi.
C'era, però, pensai mettendomi sotto le coperte, una persona con cui avevo aperto il mio cuore sui miei sentimenti. Non ero stato direttamente io a farlo, ma il concetto rimaneva lo stesso.
Si, una persona che sapeva del mio amore per ladybug c'era, eccome: Marinette.
Ripensando a quella notte, avvertì un senso di piacevole calore nel petto.
Non temevo affatto che il mio segreto potesse essere in pericolo, con lei.
Mi fidavo di quella ragazza, sopra ogni altra persona al mondo.
Marinette, pensai spostando plagg di lato per avere una fetta di cuscino su cui posare la testa. Marinette, la mia principessa.
Un paio di mesi prima, avevo giurato solennemente a una versione akumizzata e bestiale di suo padre, che anche a costo della vita, avrei protetto sua figlia da ogni male.
Che nonostante non fossi esattamente il principe azzurro, Marinette restava la mia principessa, e ci sarei sempre stato per lei.
Avevo adempiuto ai miei doveri in modo impeccabile.
Marinette non aveva più corso alcun rischio, da allora. E da quel che vedevo nel quotidiano scolastico, sembrava felice.
Almeno, lo era stata fino a poco tempo prima.
Mi rigirai su un fianco, e spensi la luce nella stanza, meditabondo.
Di recente, avevo avuto l'impressione di vedere in Marinette qualche avvisaglia di turbamento.
Sembrava... sofferente.
Per dirne una, mi era capitato di incrociare il suo sguardo, un paio di volte. E lei, come sua consuetudine, mi aveva sorriso dolcemente.
Solo che, un'istante dopo, l'avevo vista rattristarsi di colpo.
Questa cosa, in seguito, era successa ancora, e ben più di una volta.
Mi sopresi preoccupato, a ripensarci. Non ero abbastanza spavaldo da partire in tromba e andarle a chiedere cosa le andasse storto. Temevo di violare la sua privacy, o di metterla a disagio.
Più nelle mie corde, e decisamente meno rischioso, era invece andare a torchiare Nino, fidanzato storico della sua migliore amica e mio migliore amico giurato, e così feci.
L'avevo fatto fin dagli albori di queste stranezze, senza però riuscire a cavare un ragno dal buco.
Nino mi aveva liquidato praticamente subito, dicendo che non era niente di grave, o Alya glie ne avrebbe di certo parlato.
Per non parlare del fatto che, se davvero qualcosa di grosso bolliva in pentola, "l'alto conciglio" ossia le altre sue amiche, lo avrebbe di certo saputo, e quasi certamente almeno mezza parola sarebbe trapelata.
E invece calma piatta, e il mistero si infittiva sempre di più.
Nel bel mezzo delle mie riflessioni, dai meandri inesplorati e sconosciuti della mia mente, apparve dal nulla un nome: Luka.
Che strano. Perché mi era venuto in mente proprio lui?
Riflettei. Il malumore di Marinette pareva combaciare con l'inizio della loro relazione.
Coincidenza?
Luka.
Corrucciai la fronte nel buio, il respiro formaggioso di un plagg, ormai tra le braccia di Morfeo, a rimbombarmi nell'orecchio.
Non è che si potesse dire che fossimo proprio compari, io e quel ragazzo. Anzi, lo conoscevo davvero a stento, a dirla tutta. L'avevo visto solo una volta, in fondo. Come Adrien, s'intende.
Da chat noir, avevo combattuto con lui mentre era nei panni di viperion, e c'era da fargli tanto di cappello.
Era davvero in gamba, ed era decisamente un portatore del miraculous del serpente migliore di me, poco ma sicuro.
Però da lì a definirlo a pie' disteso un amico, mi sembrava ancora alquanto prematuro.
Non mi aveva fatto una brutta impressione, le due volte in croce che ci si era visti e parlati, sia sul lavoro che in borghese.
Per giunta, quando l'avevo visto con Marinette, mi era sembrato dolce, gentile e adorante con lei. Il classico fidanzatino d'America, insomma.
No, era da escludere categoricamente che l'origine delle turbe di Marinette fosse lui, matematicamente impossibile. Almeno, era matematicamente impossibile senza che Alya e "l'alto conciglio" non facessero nulla a riguardo.
Il che era pura fantascienza, anche solo pensarci.
Se Marinette avesse anche solo accennato loro che Luka la faceva star male, sarebbe stato come minimo giustiziato all'alba in pubblica piazza.
Beh, sempre ammesso che fossero riuscite ad trovarlo prima dei miei artigli...
No, decretai definitivamente, e mi girai
sul fianco sinistro per attutire il baccano del russare di plagg. C'era sotto qualcosa di ben più grosso di un semplice fidanzato molesto.
Quando aveva quegli strani momenti, quando il suo bel viso da bambolina di porcellana si rattristava in quel modo, nei suoi grandi occhi blu oltremare calava un velo di profonda tristezza che a guardarli ti straziava il cuore.
E per uno come me, che teneva a quella ragazza più dell'ossigeno, vederla in quelle condizioni era inconcepibile.
Inspirai a fondo con il naso, e mi tirai su a sedere.
La luna fuori dalle vetrate della mia stanza illuminava il cielo notturno, come la luce di un faro.
Marinette...
Ricordavo come fosse accaduto solo ieri, il giorno che l'avevo conosciuta.
Ricordo l'occhiataccia inceneritrice che mi lanciò, convinta che la gomma sulla sua sedia l'avessi messa io.
Ricordo il suo stupore, una volta saputa la verità.
Il suo dolce visino imbarazzato sbucare da sotto l'ombrello che ti si era chiuso in testa, inghiottendoti.
Ricordando risi, esattamente come feci allora.
Prima di quel momento, era passato un secolo, da quando avevo riso di gusto.
L' ultima volta che mi era capitato, mamma era ancora viva.
Marinette...
Lei aveva risvegliato la gioia di vivere nel mio cuore. E non era stata neanche l'unica volta che l'aveva fatto.
Lei aveva sempre questo ascendente, su di me. Tirava fuori il meglio di me.
Mi sentivo sereno con lei, in pace con me stesso. Mi riusciva di dirle la qualsiasi, con assoluta tranquillità, anche cose che tenevo seppellite nel profondo di me stesso.
E non ero l'unico, a godere di tali benefici.
Ogni persona che aveva la fortuna di incrociare Marinette sul proprio, poteva asserire la stessa cosa, di lei.
Era un angelo meraviglioso, e io la adoravo.
Mi alzai dal letto, e andai a prendere il cellulare sulla scrivania.
Scorsi la galleria, a caccia di una foto ben precisa, che trovai in pochi istanti. Ritraeva me e Marinette, sul treno per Londra, profondamente addormentati. La foto me l'aveva inviata Nino, ma probabilmente il paparazzo era Alya.
Ricordavo anche che, quel giorno, era stata proprio lei a farmi sedere lì, scambiando il mio posto accanto a Nino con il suo vicino a Marinette. Quest'ultima, aveva manifestato una certa sonnolenza, poco prima di partire, e infatti non più di un minuto dopo essermi seduto accanto a lei, già dormiva beatamente.
Per non disturbare il sonno dei giusti, avevo deciso di ripassare la lezione di cinese con le cuffiette.
Ma un attimo dopo averle messe, Marinette si era girata nel sonno, ed era finita a dormire sulla mia spalla.
Ricordo di essermi voltato a guardarla, di primo acchito un po' stupito. Ero stato anche quasi persuaso a spostarla.
Non perché mi desse fastidio, lungi da me, ma solo per paura che, muovendomi, potessi inavvertitamente svegliarla.
Poi, però, osservando il suo viso addormentato, così tranquillo e rilassato, e sentendo il suo respiro così profondo e sereno, non avevo avuto cuore di farlo.
Anzi. Vederla così dolcemente sopita, mi aveva infuso una tale pace interiore, che mi ero lasciato prendere dal sonno anch'io e, in tempo record, dormivo come un sasso.
Questa mia insolita spontaneità, in genere riservata alla mia controparte felina, mi sorprese alquanto.
In circostanze normali, appisolarmi in pubblico sarebbe stata pura utopia, per me, data l'educazione vittoriana con cui ero stato cresciuto.
Mio padre, lo avesse saputo, avrebbe gridato allo scandalo.
Eppure, in quel momento, addormentarmi con la testa posata a quella di Marinette, era stato naturale come respirare. Un gesto spontaneo, come fosse cosa da tutti i giorni. La cosa più naturale del mondo.
E ricordo... che fu un sonnellino memorabile.
Non avevo dormito così bene da... da quando c'era ancora mia madre.
Aprii uno stipetto alla mia destra, e ne presi una bottiglietta d'acqua.
Ne bevvi la metà, osservando il cielo notturno.
La luna era alta nel cielo, proprio al centro. Guardai l'ora sul cellulare. Mezzanotte e cinque.
Ma porca miseria, pensai, sedendomi sul letto.
A furia di pensare a Marinette, mi era venuta voglia di chiamarla, di farci due chiacchiere.
E magari, pensai, tra questo e quello, usciva pure il misterioso problema che la tormentava, no?
E invece era tardi, e non lo potevo fare. Fosse pure che l'avessi trovata ancora in piedi, a vedermi chiamarla nel cuore della notte, minimo le sarebbe preso un coccolone.
Già, mi mancava solo di spaventarla telefonandole in piena notte, per completare il quadro generale che si era fatta su di me.
Mi morsi il labbro, mentre plagg borbottava nel sonno di acquistare un caseificio.
Per essere uno che dichiarava di adorare quella ragazza, ne avevo escogitati, di modi, per farmi odiare da lei.
Primo fra tutti... l'avevo respinta.
Beh, non proprio io. Era stato chat noir.
Era di lui, che si era innamorata, infatti.
Però, per forza di cosa, il senso di colpa per averle detto no, ce l'avevo comunque io.
Una delle nottate più brutte della mia vita.
Da un lato, quando Marinette mi si era dichiarata, mi ero sentito contento, quasi lusingato, direi.
Era la prima volta, che qualcuno diceva di amarmi.
Da un lato, invece, avrei voluto impiccarmi al mio canestro da basket.
Mi ero odiato, con ogni fibra del mio essere, per il male che le avevo fatto respingendo i suoi sentimenti.
Le botte da orbi che avevo preso in seguito da suo padre akumizzato, sentivo di averle meritate tutte.
Non contento, avevo rincarato la dose, facendola morire di paura con uno scherzetto idiota al museo delle cere.
Avevo sempre avuto il dubbio, di non andare molto a genio, a Marinette.
Dopo queste uscite, era sicuro come l'oro che mi odiava. In una versione e nell'altra, per giunta.
Mi corse un brivido lungo la schiena.
E se il problema di Marinette, la fonte del suo dispiacere... fossi proprio io?
Marinette, pensai sdraiandomi sopra le lenzuola... sono io, quello che ti fa stare tanto male?
Ai suoi occhi, le colpe di chat noir non potevano essere mie, ovviamente.
Non poteva sapere che quel ragazzo, che lei diceva di amare e che l'aveva rifiutata, in realtà ero proprio io.
Però che non le piacevo, era evidente.
Lei mi aveva assicurato che sbagliavo, ma mi ero fissato. Non era mai tranquilla, quando stava con me, era... nervosa, a disagio.
Nino mi aveva ripetuto allo sfinimento che le mie erano solo paranoie, ma non me la bevevo.
Dal canto mio, mi ero spremuto le meningi alla ricerca di qualcosa che potevo aver detto o fatto che poteva averla ferita, ma vagavo nella nebbia più fitta.
No, ormai ne ero più che certo: Marinette stava male per colpa mia.
Il problema ora era uno: come potevo fare, per rimediare?
Non mi spaventava niente, ero pronto a tutto, per rivederla di nuovo sorridere come prima. Ma era necessario capire la causa del problema, prima di affrontarlo.
Nino era fuori gioco, non poteva aiutarmi. Se anche sapeva qualcosa, Alya certamente lo teneva al guinzaglio, non avrebbe parlato mai.
Chiedere alla diretta interessata? Impossibile. Se ero davvero io, il problema, non mi avrebbe mai detto la verità, per paura di ferire i miei sentimenti.
Poi, dal nulla, eccola... la soluzione!
Marinette non mi avrebbe mai rivelato quale fosse la natura del suo malessere. E non avrei saputo niente da nessun altro che non fosse lei.
Ma con Adrien Agreste, che lei palesemente non sopportava, difficilmente si sarebbe confidata.
Tuttavia, pensai schizzando in piedi, e ignorando le imprecazioni sorde di plagg, forse avevo ancora un asso da giocare, nella mia manica.
E mentre la mia solita tuta di pelle color pece ricopriva il mio corpo, e avvertivo il mio potere scorrere dentro le mie vene, incrociai mentalmente le dita che dio nella mandasse buona.
Sperai con tutto me stesso che il ragazzo vestito da gatto che ora vedevo riflesso nei vetri delle mie finestre, fosse la persona che poteva convincerla a confessare tutto.
Perdonami Marinette, dissi tra me e me spiccando un salto fuori dalla finestra, ma ho bisogno di sapere.
Ho bisogno... di riaverti nella mia vita esattamente com'eri prima.
E se con Adrien non vuoi parlare, mi auguro almeno che tu lo faccia... con chat noir.



Sei solo tuWhere stories live. Discover now