Capitolo 4

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BAYLEE POV

Avevo parlato con Jason riguardo a Nathan, e aveva accettato tranquillamente e subito, essendo che entrambi continuavano a stravedere l'uno per l'altro come se fossero tornati al college.
La mattina seguente al nostro discorso e aver deciso dove fare il matrimonio, mi aveva dato la Centurion Card dicendomi di ordinare e comprare tutto ciò che serviva, e di organizzare il matrimonio da sogno che volevo. Ero rimasta abbastanza sconvolta perché non era una carta normale. Era la black card e veniva data da American Express solo ad una ristrettissima élite di clienti dall'altissimo patrimonio, e questo mi aveva fatto capire quanti soldi io e Jason avevamo.
Avevo, in seguito, chiesto a lavoro se potevo avere quattro o cinque giorni completamente liberi ogni mese, per poter organizzare tutto alla perfezione. Pensavo che non mi sarebbe stato concesso, invece ricevetti il consenso e mi diedero cinque giorni al mese... ma avrei dovuto lavorare altri giorni giorni anche di notte per recuperare qualche ora che avrei perso con quei cinque giorni. Avevo accettato, ovviamente, e adesso mi trovavo in ospedale già per la terza notte. Avrei avuto cinque giorni liberi, e avrei dovuto passare cinque notti qui, in poche parole.

Questa notte non si dorme, questa notte era strana, molti pazienti erano agitati, impauriti e non riuscivano a dormire. Insieme ad alcune college avevamo già calmato qualche paziente e gli avevamo rimessi a dormire, alcuni anche dandogli dei calmanti.
Mi chinai per sistemare alcuni farmaci in un mobiletto quando sentii la signora Stevens lanciare un urlo, come aveva fatto le altre due notti precedenti quando avevo lavorato.
Lasciai tutto e mi recai velocemente nella sua stanza, essendo che ero l'unica infermiera in quella parte del reparto. Entrai nella sua stanza e accesi la luce, lei era sdraiata sul letto. Mi guardò terrorizzata e sapevo già cosa stava per dirmi, essendo che era già capitato.
《C'era un uomo vestito di nero e mi stava guardando》, indicò un punto davanti al suo letto, agitata.
Mi avvicinai a lei e le accarezzai il viso. Era una donna molto amorevole, che stava per morire, e si dice che quando si arriva in questo momento della propria vita si vedono delle cose. Cercai di rassicurarla. 《Signora Stevens, non c'è nessuno qui.》
《Ma io l'ho visto. Non sono matta.》
《Lo so. Forse ha sognato. Io sono qui fuori, stai tranquilla》, dissi e le sistemai le coperte, andando poi verso la porta. Spensi la luce e socchiusi la porta tornando a fare ciò che stavo facendo.
La notte, più che mettere a posto le cose e seguire qualche paziente come la signora Stevens, non si faceva altro. Di solito era tranquillo, ma avevo sentito da altre colleghe che ogni tanto serviva il nostro aiuto per casi più complessi.
Passarono pochi minuti, finché sentii dei passi agitati nella stanza accanto a quella dov'ero io. Mi recai velocemente lì e notai la luce accesa, mentre il signor Miller stava facendo avanti e indietro, completamente vestito, scarpe allacciate e giubbotto chiuso.
《Signor Miller che succede? Dove sta andando?》, chiesi avvicinandomi.
Mi guardò con una smorfia sofferente, e mi prese per un braccio stringendo leggermente. Anche lui, come la signora Stevens, non stava molto bene. 《Aiutami, ti prego, ho un gran mal di testa.》
《Certo, stia tranquillo, ci sono io. Non le accadrà nulla. Adesso l'aiuto a togliersi i vestiti, rimettiamo il pigiama e torniamo a letto》, dissi dolcemente e lui annuì. Lo aiutai come avevo detto, e lo rimisi a letto.
Mi allontanai solo due minuti per prendere tutto ciò che mi serviva, e poi tornai da lui. Al mio ritorno lo trovai di nuovo in piedi, ma sulla porta.
《Venga con me, stia tranquillo》, dissi portandolo nuovamente verso il letto e facendolo sdraiare.
Il signor Miller era un uomo di ottantuno anni, ma sfidavo chiunque a dargli non più di sessanta. Era alto, corporatura asciutta, barbetta incolta, capelli brizzolati e due buchetti che si affacciano sulle sue guance non appena accenna un sorriso.
Gli misurai la pressione, e nonostante respirasse bene era un po' alta. Gli diedi un antidolorifico e dopo avergli sistemato le coperte presi gli apparecchi e feci per andarmene.
《No》, disse alzando la voce, e mi girai verso di lui confusa. 《Ti prego non lasciarmi da solo, non te ne andare via. Ho paura.》
Gli rivolsi uno sguardo triste e posai nuovamente le cose prendendo una sedia e mi avvicinai al suo letto, la sistemai lì accanto e mi sedetti iniziando a parlare con lui.
Mentre parla lo guardo attentamente, fisso i suoi occhi e mi domando che cosa può spingere un uomo a supplicare una persona a non lasciarlo solo... lui che mi racconta di aver lavorato in una grande azienda, di essere stato un po' "mascalzoncello".
《A volte sono stato buono, ma altre volte》, sussurrò stringendo il pugno, 《sono stato cattivo.》Ci mettemmo entrambi a ridere, e poi lui iniziò a piangere. 《Che vergogna, sto piangendo davanti a lei, signorina.》Guardai le lacrime che gli rigavano il viso e scomparivano in mezzo a quella barba un po' bianca e un po' no. Gli accarezzai dolcemente una mano. Si mise nuovamente a ridere poco dopo. 《Potresti toglierti un secondo la mascherina? Vorrei guardare il suo viso per un attimo》, chiese guardandomi. Per lavorare avevamo sempre le mascherine, per la sicurezza di alcuni pazienti. Lo accontento, per poi rimettere la mascherina subito dopo mentre lui mi guardava attentamente. 《Ho perso due figli. Sono morti e sto piangendo perché non mi ricordo com'è successo. Questa maledetta malattia mi sta mangiando il cervello》, disse con la voce spezzata, trattenendo le lacrime. 《I tuoi occhi mi ricordano tanto quelli di mia moglie, che ormai non c'è più, e non c'è mai più stata una donna che io abbia amato così tanto come ho fatto con lei.》
Lo guardai rapita dal suo modo di parlare e per un attimo mi misi al suo posto. Un brivido dietro la schiena mi fece tornare alla realtà. Per un attimo, solo per un secondo, sentii quel dolore forte... lo sentii veramente. A casa avevo tre figli e l'uomo che sarebbe diventato mio marito nel giro di pochi mesi. Il solo pensiero di poter perdere tutti loro mi fece morire dentro. Guardai l'orologio, il tempo stava volando e avevo ancora così tante cose da fare.
《Adesso devo andare, signor Miller.》
《Noo》, mi fece, con una vocina che solo un bambino sarebbe riuscito a fare. 《Non mi lasciare.》
《Tra poco torno, promesso.》
Mi guardò un po' diffidente ma poi si rassegnò subito. Mi alzai ma mi afferrò la mano tra le sue. 《Non penserai che sono un coglione.》
《No, signor Miller... le giuro che non lo penso》, dissi. E non lo pensavo sul serio.
Mi lasciò la mano e tornai a lavorare.

Again (The Carter Family 4)Donde viven las historias. Descúbrelo ahora