Fuori binario

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POV Isabel:

Di fronte a me si estende un immenso parco, ricco di biodiversità, rigoglioso di fiori ed essenze particolari; sembra sia lo spazio ideale per fare picnic.

L'erba è così fresca che se ne sente l'odore. L'aria fredda della notte mi fa rabbrividire. Osservo il lago che nel buio brilla di una luce tetra e magnetica, dopo aver dato, per l'ennesima volta, un'occhiata all'orologio, sbuffo con frustrazione. Sono le 23:00.

Il vento tiranno scompiglia la mia lunga chioma bionda. Un lungo ed aderente abito blu elettrico fascia il mio corpo fino alle ginocchia, presenta uno scollo a V e delle increspature. Sopra ho indossato un semplice cappotto bianco che, essendo molto leggero, non mi copre molto. Trattengo a stento l'ennesimo sbuffo, constatando che lui non è ancora qui.

-Dove diavolo si sarà cacciato? Devo dargli quei soldi, solo così potrà sparire!-

Il telefono squilla e io mi affretto a rispondere.

< Pronto! Ah... sei tu! >

La sua voce roca dall'altro capo del telefono si fa udire: < Come è andata? >.

Al suono della sua domanda, muovo convulsivamente le mani, per poi affondare nei miei capelli e tirarle leggermente.

< Quell'idiota di Jared non si è presentato! Ogni secondo ho il timore che vada a dire a John la verità! Quel maledetto mi manderà in rovina, non può dire a John che io e lui siamo amanti! Rischia di rovinare i nostri piani! > parlo istericamente, senza emettere il minimo sospiro.

< Adesso calmati! Stai tranquilla, mi occupo io di questa situazione spinosa! > pronuncia un voce calda e sicura.

-Normale che sia così, d'altronde è la sua voce!-

< E come? Quello vuole raccontare a John la verità se non gli dò quei maledetti soldi! Se gliela racconta, sono, anzi, siamo finiti! Lo capisci che i nostri piani vanno in fumo! > mi sfogo, sono un fascio di nervi.

Ma lui ridacchia stranamente, non è una risata divertita, è una di quelle inquietanti e maliziose.

< Sta' tranquilla, mi assicurerò che non abbia più occhi per vedere, orecchie per sentire e labbra per parlare >, le mie labbra, accentuate dal rossetto rosso, si schiudono, perché vorrebbero dire qualcosa, ma... ha chiuso la chiamata.

Mi sistemo le lunghe ciocche bionde ed ondulate dietro l'orecchio, chiaramente nervosa.

-Non vedo l'ora che arrivi il momento in cui tutto questo si concluderà e io potrò avere finalmente ciò che desidero da anni, finalmente potrò liberarmi di quell'insulso di John e suo figlio!-

Pov Eric:

- Devo perseguire il mio obbiettivo, devo andare fin in fondo, è l'unico modo che ho per liberarmi di questo peso che mi opprime, ogni giorno sempre di più. L'unico modo, che ho per allontanare quell'assassina, è questo. Il resto è superfluo, non deve interessarmi, non ha alcuna importanza! Questo è quello che ho sempre voluto, da quando vidi il corpo senza vita di mia madre!

Quando vivi un dolore così intenso per anni, capisci che la vita è come un vortice che ti risucchia e tu sei lì, inerme, di fronte ad esso, non sapendo come fuggire. Hai un solo modo per evitare di essere travolto: afferrarti a tutto ciò che c'è intorno a te; devi sopravvivere, ma mai potrai risanare quella ferita! Quel senso di vuoto è sempre lì: non è passato e non passerà mai, vive ed è dentro di te. I ricordi eccheggiano nella tua testa: il suo volto inespressivo e pallido, contratto in una smorfia che racchiudeva solo sofferenza, è indelebile; il gelo, che emanava il suo corpo immobile, supino sul pavimento, ti fa rabbrividire, ti entra sottopelle e ti trafigge; le tue urla disperate, che chiamavano il suo nome, ti distruggono. Tu eri lì, al fianco della donna che ti aveva dato la vita, che aveva sacrificato tutto per te, che aveva attraversato il peggiore periodo della sua vita senza mai perdere la speranza; la donna che, pur di far in modo che non udissi il suo dolore, si rinchiudeva in bagno a piangere con i rubinetti aperti. Anche in quei momenti, tu, nella piena fanciullezza dei 15 anni, eri lì, appoggiato alla porta del bagno, intento ad ascoltare anche il suo più piccolo singhiozzo. Eri lì, anche quando il suo corpo era paralizzato, ormai assente anche del più lieve respiro, intrappolato dalla morte. La fissavi, non riuscivi a smettere di fissare i suoi occhi inespressivi, vuoti, privi di vita, innaturali e privi anche della più piccola emozione. Non eri in grado di fermarti dallo scuotere il suo corpo, nel tentativo risvegliarla; non riuscivi ad accettare che lei se ne fosse andata via per sempre. Te ne stavi su quel pavimento freddo, appoggiato al suo gelido corpo, incapace di articolare una sillaba per minuti interminabili; le lacrime sgorgavano sul tuo volto di bambino innocente e bagnavano il suo.

< Mamma no! Perché? Perché lo hai fatto? No! Pe-perché mi hai abbandonato> strillavi a gran voce, con fatica, in preda a tremolii incontrollabili. La afferravi dalle spalle stringendola in un abbraccio, sperando, almeno per un attimo, che lei potesse riaprire gli occhi, sorriderti e dirti che tutto era finito. Speravi che lei potesse lasciarti un tenero e affettuoso colpetto sulla fronte, come quando eri bambino e piangevi. Speravi che avrebbe ripreso a rincorrerti per tutta la casa, anche se ormai avevi 15anni. Urlavi a squarcia gola scuotendo il suo corpo.

< Pe-perché? Pe-perché? >, ti perdevi ad osservare il suo corpo giacente a terra e il flacone delle pillole vuoto. Non riuscivi a credere che fosse successo davvero, non riuscivi ad accettare che la donna, che ti aveva dato la vita, non sarebbe più tornata. Non avresti più rivisto il suo sorriso, non avresti più sbuffato alle sue mille raccomandazioni, non avresti più potuto ricevere anche il più piccolo abbraccio. Avvertivi una accoltellata al petto, essa era interiore, ti addolorava, ti logorava e, giorno dopo giorno, ti annientava. Crescendo con un tale tormento, comprendi molte cose: l'unico modo, che hai, per difenderti da un destino crudele e spietato, è attaccare; l'unico modo, che hai, per smettere di essere un agnello, è diventare un lupo; l'unico modo, per non essere debole, è smettere di piangere; l'unico modo, per sopravvivere, è afferrarti alla vita; il mezzo, che hai, per far cessare quel frastuono massacrante che rimbomba nella tua mente, è uno solo...

La vendetta!

Esisti solo tu, in una corazza di freddezza e tutto ciò che c'è intorno a te perde di valore, perché non può ferirti, non più! I sentimenti sono una fonte di debolezza, da cui ti ben guardi e ti tuteli. Tutto è perfettamente calcolato, quasi sistematico. Eppure c'è qualcosa... qualcosa dentro di te che sta rendendo questa vendetta sempre meno dolce, quasi dolorosa! Perché non riesci a dimenticare il suo sorriso o il colorito delle sue gote, mentre le dicevi qualcosa di imbarazzante e intimo? -

Afferro l'ennesimo bicchiere di wisky e lascio che il sapore intenso dell'alcol infiammi la mia gola e, spero, anche la mia testa. Vorrei che questi pensieri si arrestassero e che, almeno per un attimo, io smettessi di respirare quest'aria così tesa e colpevole intorno a me.

- Perché? Passione? Kevin dice che è solo la passione ad unirmi a lei... può essere, la passione, così travolgente? Dio... quel giorno al ruscello l'ho desiderata come nessuna donna prima d'ora! Le parole che mi ha rivolto erano così profonde e taglienti... sembrava leggermi dentro, mi ha fatto sentire per la prima volta inadeguato, nudo nell'animo! Ha scavato dentro di me! Per questa ragione mi sono allontanato! Mi chiedo cosa penserà di me quando saprà che è stata solo una vendetta a farmi avvicinare a lei... proprio così! Ho tentato di sedurla solo per dimostrare a sua madre e mio padre che buon sangue non mente, che anche lei è fatta della stessa pasta, interessata solo al mio denaro! Però... non capisco... perché quel giorno al lago ho visto qualcosa in lei di diverso? Perché da allora ogni momento che trascorro con lei mi porta così tanti dubbi da farmi scoppiare il cervello? -

Mi concedo un sospiro liberatorio, teso e frustrato. Socchiudo gli occhi, volendo annullare per un attimo tutto ciò che c'è intorno a me. Una mia mano affonda nei miei capelli e li stringe.

- Ma che diavolo sto pensando! L'unica cosa, che conta, è la vendetta! Lei è... e resterà sempre... la figlia di sua madre, le passerà e troverà un nuovo interesse! È così e basta! - ammonisco a me stesso, spalancando di colpo gli occhi. Aumento l'impugnatura sul bicchiere con così tanta intensità da avere paura di spaccarlo.

- Perché avverto questa sensazione alla bocca dello stomaco, quando lei mi dice parole dolci? Perché avverto uno sfarfallio devastante al pensiero che presto distruggerò ogni cosa? È solo senso di colpa, il mio? Quando avrò ottenuto ogni cosa, quando l'avrò fatta mia, mi passerà questa passione e quest'inquietudine che sento? Al pensiero di stare con lei tutta la vita, mi sento in trappola!-

Sfioro delicatamente il bracciale che lei ha avuto la sfrontatezza di indossare il giorno del mio compleanno, e un moto di fastidio mi scuote. Lo poggio sul tavolo.

- Per lei sono capace di provare solo passione, e nient'altro! Non importa quale inferno dovrò attraversare dentro di me, lo farò! Non posso più tirarmi indietro! È troppo tardi! -

Continuo a bere, sino ad avvertire un vociare soffuso e tutto ciò che mi circonda è sempre meno nitido. Dei passi eccheggiano nel salone, li avverto sempre più vicini. E il rumore della porta dello studio, che sbatte, mi fa sobbalzare e spalancare di colpo gli occhi. Mi appoggio al legno della scrivania per tentare di tirarmi sù. Ci riesco stancamente e mi ritrovo in piedi. Le mie gambe, fasciate da dei jeans, stanno per cedere, mentre le pareti bianche oscillano. Mi aggrappo alla sedia e riesco a recuperare la mia postura rigida e composta. Una figura esile, non eccessivamente alta, con dei capelli biondi che svolazzano, si trova di fronte a me. Per un attimo mi sembra di vederci doppio.

< Accidenti! Ho alzato il gomito > biascico, senza riuscire a nascondere un risolino. Lei mi si avvicina, la sua mano tenta di accarezzarmi, ma le mie mani agiscono sulle sue respingendole con uno schiaffo. La discosto da me e mi allontano lentamente. Nonostante le gambe mi gravino come macigni, sono abbastanza stabile e anche il muro pallido ha smesso di oscillare.

< Hai bevuto >, la sua è una constatazione che lascia spazio allo sgomento e all'insicurezza. Boccheggia a pochi metri da me, sicuramente la sorprende vedere lo stato in cui riverso. Rido sguaiatamente, mentre percorro, a grosse falcate, lo spazio che ci separa. I palmi delle mie mani si posano sul legno di fianco a lei in modo tale da intrappolarla tra il mio corpo e la scrivania.

< Cos'è? Ti-ti disgusta vedermi così? Sai, basta prendere questo... >, faccio un cenno al bicchiere vuoto.

< E in un attimo tutto balla > concludo, per poi scoppiare a ridere. Lei si divincola e fugge lontano da me.

< Sei ubriaco. Parliamo domani >

< Sono brillo! E se volessi parlare ora? > le domando con aria di sfida. Sto iniziando ad arrabbiarmi, sono stufo di questa situazione, di lei, di sua madre.

< Co-cosa ti succede, Eric? Dimmi >, io dò un pugno alla sedia.

-Voglio te e lei fuori di qui! Voglio che andiate via! Voglio non dovervi vedere più! Voglio far scomparire questo senso di inquietudine!-

Mentre procedo nella sua direzione con passo felpato, i miei occhi sono fissi nei suoi. La mia mano indugia a mezz'aria e si articola intorno alla sua nuca, spingendo rudemente la sua testa verso la mia. Le mie labbra si avventano sulle sue in modo violento, vorace. Impetuosamente si muovono sulle sue e la lingua si insinua velocemente nella sua bocca. Iniziando a ruotare, intrappola la sua in un vortice violento. La spintono con fretta verso la scrivania, mentre le nostre labbra duellano tra di loro e lei stringe i miei capelli, quasi temesse di cadere. Io sporgo il mio bacino verso il suo con audacia, stringendo le sue natiche coperte dai pantaloni aderenti che la rendono più sexy. Il mio labbro superiore gioca con il suo, prendendo a mordicchiarlo, ed eccole, delle piccole scosse mi attraversano. Stringo sempre di piu le sue natiche e, mentre divoro la sua bocca incurvando il capo da una parte all'altra, induco la sua intimità coperta a strusciare sulla mia. Lei sussulta a causa di questo contatto, ma io aumento la velocità del movimento. In seguito alle mie spinte, lei viene sbattuta da me sulla scrivania, sobbalza a causa del mio fare rude. Cerca di dire qualcosa, ma le mie labbra glielo impediscono: premono violentamente sulle sue e non danno tregua neanche per un secondo. Ammetto che la situazione è insolita, un barlume di lucidità mi attraversa, ma non mi importa. Desidero solo averla qui, sotto di me, su questa superficie fredda. Ansima e si contorce a causa del piacere dovuto alla mia bocca che morde il suo collo. Le mie mani toccano freneticamente, o meglio palpano, tutto il suo corpo.

-Non mi importa! Voglio cancellare tutto ciò che mi distrugge in questo momento, voglio seguire questo folle desiderio e poi liberarmene! -

Il suo sguardo è offuscato dal piacere, questo piacere che ci sta risucchiando, ogni giorno sempre di più, ma al contempo leggo nei suoi occhi un velo di incertezza e, quasi, paura. Quello sguardo che in questo momento causa questa furia incontrollabile. Ora sono proprio questi occhi la ragione di questa impugnatura salda ed eccessiva sul bordo della sedia di fianco a me.

-Odio che lei mi guardi così! -

Mi fiondo nuovamente sulle sue labbra, mordendole con veemenza, con rabbia, quasi con furia. Lei fa pressione sul mio petto, sicuramente le sto facendo male.

- Non mi importa, voglio farle male, voglio che mi stia lontano, voglio che lei mi schifi davvero, e invece continua a guardarmi così! -

Brandisco il suo collo con questo eccessivo ardore, i miei denti graffiano e mordono il suo collo senza alcuna delicatezza, mentre i miei polpastrelli palpano il suo seno.

< Eric, lasciami! Mi stai facendo male! >, mi dà a pugni, ma io non me ne curo, perché so che sono solo scuse, come sempre. La mia mano continua sotto la sua camicia e tenta di togliergliela, ma trova la sua opposizione, ciò non basta ; allora si precipita sui suoi pantaloni, nel tentativo di abbassarli.

I miei denti continuano a torturare il suo collo e si spingono sino al seno lasciandole dei segni rossi. Quando la forza dei suoi pugni aumenta, realizzo ciò che sta succedendo. Mi sollevo e vedo delle lacrime sgorgare sul suo viso, i suoi capelli, in disordine incorniciano il suo viso stravolto. La sua camicetta si trova ai nostri piedi e presenta dei bottoni saltati: preso dalla foga del momento devo averli fatti saltare. I suoi pantaloni sono leggermente abbassati, lasciando intravedere la pelle nivea della sue cosce e le sue mutandine bianche. Tenta di coprirsi il seno, mentre resta a fissarmi, come paralizzata e impaurita dal mio modo di agire folle e incoerente. Il suo collo e il suo petto presentano dei segni rossi, segni della mia passione mista a rabbia. Stringo le mani a pugno.

< Perché? Tu... > le uniche parole che escono dalla sua bocca. Io aumento la stretta sulle mie nocche sino a farmi male.

-Perché? Perché non mi odi? Dillo! Dammi un calcio, dammi un pugno, urla, ma fa' qualcosa, cazzo!-

Prendo il primo bicchiere che trovo dalla credenza e lo scaglio violentamente contro il muro, e lei trasalisce. Lo vedo: è impaurita da me che la raggiungo a grosse falcate, mentre manda giù un groppo in gola.

< Perché, cazzo, non mi urli! Perché non mi offendi! Perché non mi prendi a pugni! Al posto tuo io mi sarei già mandato al diavolo! L'unica parola, che sai dirmi, è "perché" ? Davvero solo questo sai dirmi? > le urlo con tono di voce innaturale, modificato, irriconoscibile e duro.

< Tu sei strano, sei ubriaco e non capisco il motivo per cui ti comporti così. Sembri... >

< Pazzo? Forse questo è l'inferno travestito da paradiso! > dico con espressione seria, per poi piegarmi in due dalle eccessive risate.

< Tu sei fuori di testa! Credo che tu abbia bevuto troppo! Io... > si allontana velocemente, o almeno ci prova, perché io la agguanto dalle braccia e un tremolio le percorre la schiena. Ha paura di me.

< Non è solo l'alcol, presto avrai un'amara sorpresa e... >, prendo fiato, mentre estendo le braccia per indicare lo spazio circostante, poi continuo < E questo inferno sarà chiaro anche a te! Trova il lato positivo... io, all'inferno, ci sono già! >. Faccio un passo indietro, perché le risate escono incontrollatamente e proseguono per altri minuti sotto il suo sguardo sconvolto.

< Adesso vattene > le dico seriamente.

< Come? > mi domanda con una sfumatura di incertezza.

< Ti ho detto di andartene! Va' via! > le intimo a gran voce con un tono che non ammette repliche, con un tono privo anche della più piccola inclinazione alla dolcezza, un tono pieno di collera. Lei piange e, tremante, afferra la sua camicia, tira su i suoi pantaloni. Corre via sbattendo la porta. Mi concedo un sospiro carico di... non so neanche io cosa. So solo che vorrei che lei e tutta la sua famiglia sparissero dalla mia vita. Vorrei sentirmi diverso da come mi sento ora. Vorrei essere diverso, ma...

-Ma io sono così e non cambierò mai! Non potrò mai dimenticare quel maledetto giuramento, non potrò mai accettare sua madre! Mai! Perché significherebbe annientare i miei ricordi e quel dolore che mi ha accompagnato negli anni! Significherebbe rinunciare alla giustizia!-

Osservo le bottiglie e una collera incontrollabile si impossessa di me, spingendomi a scagliarle tutte sul pavimento. Poco importa del rumore assordante, prodotto quando si sono frantumate. Poco importa dell'alcol che, come un fiume, ha inondato il pavimento. Afferro rapidamente una bottiglia e tracanno quel che è contenuto all'interno. In seguito, agitandola, avverto il suo peso farsi leggero. Sembra vuota.

-Di già? -

L'udito è sempre più ovattato: le voci sono sempre più lontane. La vista è offuscata: i muri e la scrivania sembrano oscillare, le pareti della stanza pare vogliano crollarmi addosso.

Io ciondolo da una parte all'altra con il respiro pesante, per poi appoggiarmi alla porta socchiusa, lasciandomi cadere a terra; essa sbatte per via del mio peso. Non sento più nulla e gli sbadigli premono per uscire dalla mia bocca, mentre me ne sto qui, con la ginocchia al petto e, poco distanti da me, posso distinguere i cocci per terra. Senza che neanche lo realizzi, i miei occhi si chiudono e il freddo del pavimento sulla mia testa, mi fa rabbrividire. I palmi delle mie mani si poggiano su qualcosa di liscio e freddo.

-È il pavimento?-

NARRATORE OMNISCIENTE:

È sempre stata una stradina scura e stretta, parallela alla strada principale, ma a quell'ora della notte pare non ci sia nessuno. Sul retro del giardino della villa esiste solo la natura bellissima e inquietante, perché non ci va, quasi mai, nessuno. Varcato il cancello, superata la fontana, la piscina e i due campi da tennis, ci si trova in luoghi inesplorati anche per la stessa famiglia Wilson.

Non c'è luce, sembra che quella zona del giardino sia abbandonata da Dio.

A quell'ora della notte poi...

Non c'è un solo passante.

Non vola neanche una mosca.

Ci sono panchine arrugginite e consumate dal tempo, la proprietà è così immensa che è impossibile usufruirne a pieno anche per i padroni. Per queste ragioni non si sono mai premurati di porre un'illuminazione.

Su una di queste panchine, precisamente l'unica illuminata, vi è una figura, che non riesce a stare ferma agitando continuamente la gamba, un uomo dai capelli disordinati e lo sguardo perso, gli occhi nocciola, gli zigomi pronunciati. Lui è preda di chissà quali pensieri.

Ad un certo punto si alza. Il riflesso della luce sul terreno viene oscurato da un'ombra, misteriosa e inquietante, e in un attimo...

Delle mani, coperte da guanti scuri, afferrano l'uomo dal collo, stringendone la presa, lui cerca di liberarsi e difendersi agitando gli arti, ma l'enigmatica figura fa sempre più pressione. Iniziano a sentirsi i suoi respiri sempre più soffocati, sempre più sofferti. La vittima annaspa sempre più forte, fino a quando...

Con un calcio riesce a ferire il suo assalitore che si piega in due. L'uomo inizia a correre, sentendo una paura che lo opprime. Volge lo sguardo con stizza sulla natura circostante, ma trova solo il buio, nessuno arriva. Vorrebbe urlare, ma è troppo impegnato a tentare di sfuggire all'uomo misterioso coperto da un passamontagna e un parka scuro di almeno 3 taglie più grandi.

Scende velocemente le scale con il cuore in gola, nonostante i brividi pervadano il suo corpo. Sebbene ansimi chiaramente, non può fermarsi e scende frettolosamente la scalinata in pietra che porta all'entrata principale della villa. Rischia di cadere da essa. Scorge in lontananza la serra e si precipita all'interno. Cerca di farsi forza, ma lo sente, lui è lì. Mentre si siede sul terreno e aderisce al tavolo su cui ci sono tante piante. Tentando di regolarizzare il suo respiro, avverte la sua presenza. L'incidere lento delle suole delle sue scarpe scandisce lo scorrere del tempo e l'avvicinarsi della sua ora.

L'uomo non si affretta a percorrere la serra, come se sapesse che la sua vittima è qui dentro, pronta ad essere eliminata. Respira affannosamente, ma è tranquillo. L'uomo, dal suo canto, se ne sta lì, nascosto dalle piante, con gli occhi socchiusi pregando che la sua sia una morte indolore. Improvvisamente il rumore cessa e si trova costretto ad aprirli per sbirciare. Il suo assalitore è scomparso.

Si tira su faticosamente. Esulta mentalmente per un attimo, forse è finita, ma... la punta di una lama penetra nella sua schiena e lo trapassa ripetutamente. Abbassando lo sguardo, nota il sangue sgorgare dal suo corpo. Respira affannosamente, ansima alla ricerca dell'ossigeno, sino a quando...

Cade a terra il suo corpo, ormai senza vita, sprofondando in un sonno eterno.

Pov Sara:

Dei rumori mi distolgono dalla lettura. Attraversando il giardino, sino ad arrivare davanti la serra. Mi paralizzo, vedendo un uomo a terra in un mare di sangue e una seconda persona, che, con dei guanti scuri, regge un coltello insanguinato. Se ne sta china sulla vittima, intento ad osservare la sua opera e a posare una pistola di fronte a lui. Come se avesse percepito la mia presenza, si volta e i miei occhi impietriti incontrano i suoi. La sensazione, che provo, è così prorompente che le gambe, in preda a tremolia incontrollabili, cedono. I miei occhi si chiudono istintivamente, quasi a voler negare ciò che hanno visto. Quando li riapro, tutto attorno a me è deformato, la mia vista si è annebbiata. Sento le mie forze venire meno e in un attimo...

Il buio. Rammento solamente l'oscurità dei suoi occhi neri e penetranti e il tatto di un guanto che sfiora proprio il mio viso.


Angolo autrice:

E alla fine sono riuscita a caricare anche questo fantomatico capitolo 26 .-. e che dire... complice il fatto che non fosse in programma ed é tutto partito da un desiderio di svagarsi alle 23:00, complice il fatto che lo avessi già scritto da tempo... ho deciso di completarlo. È stato un capitolo estenuante per via della parte conclusiva, difficilissima da scrivere per me ahahah. Non sono capace di scrivere scene thriller. Non a caso ho evitato accuratamente di inserire il genere thriller a questa storia, pur presentando delle dinamiche che richiamano un leggero thriller XD. Spero comunque di essere riuscita a trasmettervi una parvenza di ansia ahahah.

PS: Attendo i vostri insulti per quanto riguarda Eric che in questo capitolo ha esagerato, ma era inevitabile! Ahahaha! Oggi lo bastoniamo, domani chissà... Ahahah! Scherzi a parte... comprendo che questo quasi stupro possa aver attirato diverse critiche negative e antipatie verso Eric, ne prendo atto, non posso negare che sia stato un vero stronzo in questo momento, anche se ha un suo perché. Voglio chiarire che questa non vuole essere una forma di esortazione a fare questo, assolutamente no! Ritengo che sia la cosa peggiore che possa capitare ad una donna, e chi arriva fin in fondo, è un vile! Semplicemente, considerando la piega che stava prendendo la storia, il tormento e il frastorno di Eric, il suo stato di ebrezza, era inevitabile che si verificasse qualcosa di simile, ma non lo ritengo un atteggiamento corretto. Adesso voi mi direte: perché lo hai scritto allora? Beh, i personaggi hanno una caratterizzazione psicologica ben definita che in molti -fin troppi- punti si discosta dalla mia; motivo per cui la storia deve fare il suo corso, loro devono agire -pur sbagliando- coerentemente con la caratterizzazione designata e con il contesto grottesco che li circonda. Plasmare i personaggi a propria immagine e somiglianza non fa per me. Loro agiranno secondo il loro carattere e il contesto che li circonda. A volte sbaglieranno, a volte si rialzeranno più forti di prima e poi matureranno. Credo che presentare una storia difficile con un ampio margine di tematiche grottesche e delicate, presentare il processo di crescita di personaggi imperfetti, con difetti... sia molto più intrigante da scrivere. Infine, per tali ragioni, ho deciso di scrivere questo tipo di trama, questo genere giallo romantico o romantico gotico. Spero che continui a piacervi. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensano anche i lettori silenziosi :). Un bacio ❤️.

Legami SpezzatiWhere stories live. Discover now