~5: Il fulcro della mia felicità

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«Dove credi di andare Rachel?» queste cinque parole mi fanno fermare di scatto e il sangue mi si raggela nelle vene. Lentamente mi giro verso Kimberlee, non riesco a crederci, come ha potuto. Proprio lei che mi ha fatto sentire in colpa di averla accusata.

«Kimberlee che cosa hai fatto?» le chiedo con voce strozzata dal pianto che riesco a trattenere.
«Non posso permetterti di andare via Rachel, se non ti sposassi l'azienda di papà andrebbe in
miseria» scuoto la testa per capire se questo è un sogno, ma, no, è tutto reale. Anche mia sorella mi ha tradita.
«Tu mi hai detto che non lo avevi detto a nessuno, mi hai fatta sentire in colpa per tutto il viaggio, io mi fidavo di te, sei mia sorella. Dimmi la verità, era papà al cellulare che ti chiamava, non è così? È per questo che non hai voluto che rispondessi» alzo il tono di voce. Mi tremano le mani per la rabbia. Tutta la mia famiglia è contro di me, io ho sacrificato tutto per loro, e loro mi ringraziano in questo modo, voltandomi le spalle.
«Rachel torniamo a casa» mi volto verso di lui. Sfila gli occhiali da sole, guardandomi negli occhi, la sua espressione non ammette repliche, ma neanche la mia.
«Quella non è più casa mia, voglio andare via da voi e tutto quello che vi riguarda, pensavo che un padre tenesse al bene della figlia, invece tu mi dai ad uno sconosciuto come merce di scambio. Mi fate schifo» mi pulsano le tempie per la rabbia. Lo schiaffo che segue le mie parole mi fa voltare la testa di scatto, poggio la mano sulla guancia dolorante.
«Tu fai quello che dice tuo padre» afferma mantenendo la mano alzata.
«Non ti considero più mio padre, non dopo quello che hai fatto e sicuramente non dopo questo schiaffo» lui mi afferra per un braccio, cerco di liberarmi dalla sua presa, ma lui stringe la sua mano ancora di più su di esso.
«Non essere ridicola Rachel, mi stai facendo fare brutta figura» sussurra al mio orecchio.
«Me ne frego di ciò che pensano chi ci sta guardando, io con te non vado da nessuna parte» cerco di liberarmi dalla sua presa salda sul mio braccio.
«Rachel smettila, ora sali in macchina» mi trascina con sé.
«Ho detto che devi lasciarmi» sibilo, ma lui non mi ascolta.

Non faccio altro che cercare di liberarmi dalla sua presa, ma ad ogni tentativo sento sempre di più il dolore, che la pressione della mano di mio padre, causa su di esso. Arrivati alla sua auto, apre la portiera e mi spinge in macchina chiudendo poi a chiave. Non ho vie di fuga, non posso crederci tutta la mia famiglia è contro di me, mia sorella e mio padre si sono coalizzati, lei ha fatto buon viso a cattivo gioco, mi ha solo illusa che la mia fuga avrebbe avuto successo, mentre lui, preferisce mantenere a galla la sua azienda piuttosto che lasciarmi libera. Voglio vedere sprofondare quell'azienda, preferisco che fallisca a questo punto, anche se dovessi sposarmi, quell'azienda deve fallire ad ogni costo. Mia madre poi, bisogna accertarsi che sia davvero in disaccordo con il resto della famiglia, ne dubito fortemente dato che non ha mai fatto niente per aiutarmi.

Poco dopo mi padre sale in macchina e la mette in moto. Io non lo guardo in faccia, sono con la testa rivolta verso il finestrino. Osservo il mio riflesso su di esso, è rimasto il segno dello schiaffo, l'ennesimo ricordo di questa schifosa giornata. Ciò che non riesco proprio a tollerare è che hanno programmato tutta la mia vita senza interpellarmi, l'hanno sempre fatto, ma ora hanno esagerato. Per questo volevo scappare, perché non ne potevo più di tutto questo, sono stufa di essere considerata una marionetta, un giocattolo, anche io ho dei sentimenti, dei desideri che sono stati buttati nella pattumiera, per soddisfare le scelte altrui. Volevo essere libera, invece mi ritrovo nella stessa gabbia di sempre. Avrei voluto sorridere di cuore, fare nuove esperienze e provare ad avere qualche amico, ma nulla, mi è stato tolto tutto. Mentre Kimberlee è libera di fare la vita che le piace, come sempre. Sono stufa di sentirmi così. Sono stufa di questa differenza tra me e mia sorella, cos'ha lei che io non ho?

«Hai solo peggiorato le cose Rachel, non avresti dovuto tentare la fuga, non è così che ti ho educata»
«Davvero papà? Davvero mi dici una cosa del genere? Tu non ci sei mai stato per me, e ora fingi di esserti comportato come un padre?» sorrido sarcastica, nascondo la smorfia di dolore causata dalla guancia ancora dolorante.
«Ci sono tante cose che non capisci Rachel, questo è il meglio per te»
«Io non penso, uno sconosciuto non può essere il meglio per me, vendermi di sicuro non lo è» osservo i passanti che camminano indisturbati tra le strade affollate di Boston, è sempre stata una città caotica, ma a quanto pare anche durante l'orario lavorativo lo è.

Lui non risponde, continua a guidare indisturbato. Magari è soddisfatto di ciò che ha fatto, portarmi via, ha riottenuto l'oggetto che gli farà avere milioni di dollari. Deve essere per forza felice di questo. Ma io gli auguro di non godersi neanche un misero dollaro che riceverà da quell'affare. Con me hanno chiuso, tutti e tre, per me sono morti.

***

Quando siamo tornati a casa regnava il silenzio tombale, mia madre era ancora a lavoro, ed è stato impedito a Martha di avvicinarsi a me, non le è stato consentito neanche di mettere una pomata sulla mia guancia. Kimberlee è rincasata poco dopo, quando aveva spalancato la porta di ingresso, aveva un sorriso vittorioso sul volto, più il suo sorriso si allargava, più avvertivo delle fitte alle mani, e la voglia di tirarle uno schiaffo aumentare. Se non voleva vedere fallire l'azienda, poteva benissimo sacrificarsi per la causa invece di continuare a fare la sua vita da principessa.

Siamo tutti seduti a cenare, il silenzio che aleggia nella stanza è peggio del solito, la tensione si potrebbe tagliare con un coltello, spesso ho visto mia madre riservarmi degli sguardi fugaci, ma appena me ne accorgevo, distoglieva subito lo sguardo.

«Ho parlato con la famiglia del tuo futuro sposo, li ho informati della tua quasi fuga e abbiamo deciso di anticipare il matrimonio, si celebrerà tra due giorni» la forchetta mi cade atterrando sul piatto facendo un rumore orribile. Anticipare le nozze, grandioso davvero.
«Va bene» annuisco soltanto. Non saprei che altro aggiungere, mi sembra giusto che abbiano pensato una cosa del genere, non vogliono darmi altre possibilità di scappare, e per mettere al sicuro il loro affare hanno anticipato il tutto, una mossa corretta per degli spietati imprenditori.
«Ma due giorni sono pochi papà, dobbiamo trovare il vestito, il ristorante, le bomboniere, la chiesa, i fiori. Come si può fare tutto questo in un giorno?» chiede Kimberlee, le taglierei la lingua se potessi, non voglio più sentire la sua voce, che in questo momento è fastidiosa per le mie orecchie.
«Domani uno stilista verrà qui per mostrare a Rachel gli abiti da sposa, per il ristorante e il resto è già tutto pronto» afferma mio padre, scegliere il vestito è l'ultima cosa che voglio.

Mia madre scuote la testa mentre Kimberlee e mio padre continuano a discutere sulle mie nozze. Una volta terminata la loro conversazione il resto della cena procede nel suo silenzio.

«Io andrei in camera mia, a quanto pare domani sarà una lunga giornata, è meglio che io vada a riposarmi» affermo una volta finita la cena. Non so neanche io come sia riuscita a mangiare i cibi presenti nel piatto, avrei dovuto avere lo stomaco chiuso, e invece ho usato il cibo come via di fuga dalla situazione che sto vivendo. Mi alzo dalla sedia, mio padre annuisce e mi allontano da quella stanza, non ne potevo più. Mi rifugio in camera mia, chiudo la porta a chiave, c'è ancora la mia valigia chiusa in un angolo della stanza, mi viene da ridere, sono stata un'ingenua a pensare che sarei riuscita a fuggire. Mi sdraio sul letto, guardo il soffitto bianco da cui pende il lampadario azzurro. Dovrei diventare come loro, senza cuore, senza scrupoli. Scuoto la testa, non sono così, io non so neanche che tipo di persona potrei essere, non ho mai avuto l'occasione di potermi identificare in qualcosa. Volgo lo sguardo verso le fotografie appese sulla parete azzurra. Ogni foto è legata ad un'altra tramite un filo illuminato, le guardo una per una. In ognuna di esse è raffigurato un momento in cui ero davvero felice, non sono mai io il soggetto, ma il luogo che custodisce quella mia felicità. Uno di essi non riuscirò mai a dimenticarlo, era un giardino pieno di fiori di ogni tipo, l'avevo visitato in uno dei tanti viaggi di famiglia, ricordo benissimo di aver colto alcuni fiori e creato una corona di fiori, la indossai e mi immedesimai nelle fate presenti nelle fiabe. Quei fiori sono stati il fulcro della mia felicità, conservo ancora quella corona solo per non dimenticare mai il momento in cui sono stata davvero felice. 

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