⚡️- Stigma

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"Non ci credo, si è intasato anche il water" dissi lamentandomi, dopo che anche il lavandino  non era stato molto d'aiuto la sera prima.

Sapevo che le tubature a Seoul non erano le migliori, ma non pensavo nemmeno che potessero intasarsi cosí facilmente.

Abbassai il coperchio, sperando che si sistemasse da solo, anche perchè in quel momento non avrei avuto abbastanza soldi per chiamare qualcuno che lo riparasse.

Quella mattina era la più importante della mia vita, il mio primo giorno in una delle aziende più conosciute di tutta la Corea, e di certo non potevo arrivare tardi.

E invece, tutto sembrava non essere dalla mia parte.

"Aish, ma deve andarmi tutto male proprio oggi?" urlai, correndo per tutta la casa cercando le scarpe che in quel momento sembravano essere scomparse.

Per fortuna, il mio appartamento non era così lontano, per cui avrei potuto raggiungere l'ufficio in poco più di venti minuti.

Misi il cappotto e avvolsi con cura la sciarpa, per poi dirigermi verso la fermata dell'autobus proprio sotto casa.

Gli autobus di Seoul erano molto diversi da quelli di Busan, anche se entrambe erano città molto grandi, Seoul era pur sempre la capitale, e ciò comportava un salto di qualità in tutto.

Questi erano molto più spaziosi, ecologici e i passeggeri erano così gentili da farti sedere anche se loro avevano già occupato quel posto.

Inoltre, in quella manciata di minuti ebbi la possibilità di ammirare il meraviglioso paesaggio della capitale di prima mattina.
Fortunatamente, l'autobus passò davanti al fiume Han, il quale veniva illuminato dal sole luminoso dell'alba.
Scattai immediatamente una foto, rendendomi strana agli occhi di tutti i passeggeri.

"Che vogliono questi, non posso fare una foto?" dissi tra me e me, nascondendomi sempre di più sotto la mia sciarpa rossa regalata da mia madre qualche giorno prima di partire.
Teneva un caldo micidiale, sembrava di stare a Rio de Janeiro quando la indossavo.

Capii che finalmente era arrivato il momento di scendere quando percepii, sotto gli schiamazzi dei passeggeri, una voce femminile che ricordava la prossima fermata.

Prossima fermata: Gangnam-gu

Scesi dall'autobus, cercando di capire che direzione prendere per raggiungere l'azienda.
Non mi accorsi subito però, che la sede era proprio davanti a me.

Alzai il capo, trovando un'insegna che diceva "Dynamite Entertainment" e in basso a questa si scorgeva un ulteriore scritta, che sosteneva fossero "leader in entertainment".

Effettivamente, lo erano davvero, e io ancora non credevo di essere stata assunta proprio lì.

Presi un grosso respiro, e cominciai ad avvicinarmi alla porta d'ingresso.

Era tutto come me lo ricordavo quel primo giorno, leggermente traumatico.
Tutti indossavano la propria uniforme o abiti di uguale eleganza.

"Spero di essermi vestita bene, non vorrei farmi riconoscere di nuovo" continuò a suggerirmi il mio inconscio, che si faceva sempre più rumoroso.

Avrei dovuto raggiungere l'ultimo piano e, per quanto fossi propensa a prendere le scale per non arrivare mai più da quello strambo del mio capo, le mie gambe chiedevano pietà al solo pensiero.
Così, dopo aver fatto numerosi inchini a qualche collega mai visto prima, entrai in ascensore.

Impiegò stranamente poco a scalare trenta piani, forse troppo poco.
Mi serviva più tempo per prepararmi psicologicamente a quella prima giornata.

Raggiunsi piano piano il mio ufficio, sperando di non farmi vedere dal signor Park.
O meglio, speravo che non fosse nemmeno arrivato.
O che quel giorno non sarebbe venuto al lavoro.

Sbirciai dalla vetrata del suo ufficio. Vidi la poltrona girevole rivolta verso la strada, dando le spalle alla porta d'ingresso.
Non vidi nessuno seduto su di essa, per cui cercai di calmare la mia ansia e di attraversare il corridoio camminando normalmente e senza sembrare ubriaca.

Appena rivolsi il passo verso l'entrata del mio ufficio, capii di aver fatto uno sbaglio enorme.

"Buongiorno Soyeon! Come mai sbirciavi nel mio ufficio?" chiese il signor Park, voltandosi sulla sedia e alzandosi in piedi.

"Non stavo sbirciando..." replicai, pensando ad una scusa plausibile.

L'uomo cominciò a dirigersi verso la mia figura, sogghignando leggermente.

"Soyeon, dimentichi che la vetrata riflette tutte le immagini? Ti ho vista anche se ero girato di spalle" continuó, fermandosi proprio a pochi centimetri dal mio viso.

In quel momento, mi resi conto di essere proprio un'idiota.
Come avevo fatto a non pensare che mi avrebbe potuta vedere date che il suo ufficio era totalmente composto da vetrate?

Date le circostanze però, al mio deficit avrei pensato successivamente.
Si era avvicinato troppo, e io al mio spazio vitale tenevo particolarmente. Come aveva fatto a non averlo ancora capito?
Forse anche lui aveva un deficit.

Feci qualche passo indietro, eseguii un leggero inchino, e liquidai così quello che consideravo ogni giorno di più un maniaco.

Chiusi velocemente la porta del mio ufficio, appoggiandomi di spalle ad essa.
Cercai di stabilizzare il mio battito, mentre continuavo a pensare al calore del suo corpo a pochi centimetri dal mio.

Tutte le volte che incontravo quell'esaltato, il mio corpo arrivava ad avere certe reazioni, tutte più o meno come quella.
Sentivo una certa attrazione per quell'uomo, non sapevo bene che tipo di attrazione fosse, ma ogni volta che il suo corpo si avvicinava al mio, sembrava come se entrambi fossimo due calamite, una che attrae l'altra.

Provai a scacciare quei pensieri, volendo concentrarmi esclusivamente sul lavoro.
Alla fine dei conti, ero proprio lì per questo.

Trovai sulla scrivania un paio di blocchi di fogli, alcuni inerenti agli impegni del signor Park e altri che trattavano dei meeting dell'azienda e incontri che essa doveva sostenere con possibili parter e investitori.

Presi posto su quella che potevo finalmente chiamare "la mia scrivania", iniziando a ordinare tutti gli impegni di quello squilibrato a pochi metri da me.

Spostando alcune fotocopie, riesumai un piccolo post-it di colore viola, che recitava:

"Grazie per il tuo grande lavoro. Probabilmente dopo sarai stanca. Che ne dici di bere qualcosa insieme? P.J"

E quella sigla stava per Park Jimin?

"Questo non sta bene con la testa, ha qualche problema. Anzi, più di uno" affermai, forse un po' troppo ad alta voce.

Ad un tratto, mi venne un'idea.

Sarei stata licenziata presto se avessi continuato a comportarmi così.
Ma era più forte di me.

Presi il post-it, la prima penna che mi capitava sotto mano, e risposi a quella richiesta che io reputavo solamente viscida.

La ringrazio signor Park, ma gli uomini deliranti come lei non sono il mio tipo

Così, attaccai il pezzettino di carta sulla porta del suo ufficio e, con la massima cautela e una ripresa scattante, bussai alla sua porta e corsi nel mio ufficio, come se nulla fosse successo.

Percepii l'apertura della porta incriminata accompagnata dal ticchettio dei mocassini firmati del signor Park.

Dopo svariati secondi di silenzio, realizzai che la missione non era andata secondo i miei piani.

Infatti, l'uomo fece una promessa che speravo con tutto il cuore che non avrebbe mantenuto.

Si avvicinò alla porta del mio ufficio, bisbigliando.

"Più cercherai di respingermi, più continuerò. Kim Soyeon, prima o poi sarai nelle mie mani"

Sour Candy || Park Jimin ⚡️Where stories live. Discover now