Decisioni

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"Sei forse impazzito?!", chiedo ad alta voce in un misto di rabbia e nervosismo.
"No", si limita a rispondere.
"Okay, allora sei tardo", affermo adirata. Lui continua a stare zitto e a fissare la tv non accesa. È seduto sul divano, ma non sembra per nulla tranquillo. Da quando Cornelia se ne è andata, mio fratello non proferisce parola.
Capisco che l'ira non porterà a nulla, specie con uno come lui che è sempre stato testardo. Così, vado a sedermi vicino a lui e gli poggio la mano sulla spalla.
"Ascolta, Yousef, è tanto nobile quanto bello ciò che tu avresti intenzione di fare, ma direi che non è il caso", lo ammonisco piano. Lui mi guarda ma continua a non dire nulla, quindi capisco che il mio discorso dovrà essere integrato, dato che questo ragazzo è particolarmente lento di comprendonio. O forse fa il lento di comprendonio, e questo cambierebbe del tutto la situazione. "Yousef, lo sai vero a cosa ci faresti andare incontro se ti prendessi la responsabilità di essere padre a soli 18 anni?", continuo, "Lo sai vero che questo comporterebbe un sacco di problemi a casa con la mamma? Quindi, ti prego, non fare sciocchezze". Lui finalmente si alza e mi fissa negli occhi. In confronto a me, lui è molto più alto e grosso, infatti, ora come ora, mi sta incutendo una certa paura.
"Inutile stare qui a parlarne. Ormai ho preso la mia decisione e non ho intenzione di cambiarla", dice con un tono fermo.
"Non si tratta solo della tua vita, Yousef! Svegliati, per amore di Allah, non puoi fare così. Non puoi assumerti delle responsabilità che non sono tue. Non va bene. Non può andare bene. Capisci ?!", dico ormai fuori di me dalla rabbia. Lui continua a stare in silenzio. Allora decido di fare un altro tentativo per fermare questa pazzia e dico: "Guarda che è haram". Mio fratello si gira verso di me e mi fulmina con lo sguardo.
"Basta così, Daryn!", continua, "ora non ti permettere di dire cosa è haram e cosa non è haram, anche perchè nessuno ne ha il diritto, visto che non siamo noi umani a giudicare ma è Dio. E quindi tu, mia cara, non hai nessun diritto di dirmi quali delle mie azioni sono illecite e quali meno. Non mi sono mai permesso di giudicarti e nemmeno di controllare le tue azioni, lasciandoti così sempre la liberà di agire come ti pare. Quindi, ora, tu non ti permettere di dirmi cosa devo e cosa non devo fare". Davanti a questo fiume di parole, io sto zitta e mi ritrovo a corto di termini.
Dopo qualche secondo, mi alzo e dico "Hai ragione, siamo tutti liberi d'altronde, e io non ho nessun diritto di giudicarti. Fai come vuoi, fratellone".
Così lo lascio, mi dirigo verso le scale e comincio a salire.
"Guarda che nessuno merita di nascere e di crescere senza un padre. E con "nessuno", intendo proprio nessuno. Questo, soprattutto tu, dovresti saperlo", dichiara bloccando così la mia salita.
"Almeno tu hai avuto la possibilità di vivere dodici anni della tua vita con tuo padre. Hai avuto la possibilità di vivere con lui e di... vederlo. Hai avuto la possibilità di vivere effimeri momenti di felicità con lui che sono stati sicuramente determinanti nella tua vita e nel tuo percorso di maturazione. Hai avuto da lui... Pato", continua lui. Io comincio a sentirmi un nodo allo stomaco e maledico Yousef in tutti i modi possibili all'interno della mia testa.
"Pensa se invece fossi nata così, a caso, senza un padre e con una madre del tutto irresponsabile, che si è fatta mettere incinta in discoteca. Pensa ad andare a scuola ogni giorno e di vedere tutti i bambini accompagnati dal loro papà e tu invece sei lì, come una spettatrice, un fantasma, ferma a guardare il tutto, senza avere la possibilità di toccare quella mano grande e salda: la mano di tuo papà", va avanti senza curarsi della mia faccia, ormai divenuta pallida.
"Nessuno merita una tale assenza, un tale vuoto. Capisci ora?", chiede piano. Io mi giro e comincio a risalire le scale, fermandomi ogni tanto per prendere fiato: è troppo. Tutto questo è troppo. I ricordi sono così pesanti che non riesco a reggerli.
Ho bisogno di stendermi, così apro la porta della prima camera ed entro subito. E' la stanza di Yousef: benissimo! Quindi vado a sedermi sul suo letto e comincio a fare respiri profondi. Chiudo per un po' gli occhi e dopo poco, comincio a sentirmi abbastanza bene. Il nodo allo stomaco comincia a sciogliersi e la testa fa meno male, mentre il respiro torna regolare come prima. Aspetto ancora un po' e poi mi alzo dal letto, pronta così ad andare nella mia stanza. I miei occhi però cadono sulla scrivania, quindi mi fermo. Trovo un quaderno aperto, scritto tutto nello stesso modo. Ogni pagina contiene la stessa frase scritta decine di volte con la stessa identica calligrafia. Vado avanti a sfogliare il quaderno e lo trovo tutto scritto in questo modo, dalla prima pagina fino all'ultima.
"Io la amo". E' questa la frase che è stata scritta centinaia di volte sul quaderno da mio fratello. Purtroppo capisco subito a chi è dedicato tutto questo e purtroppo, mi distrugge sapere che tutto questo amore, che tutto questo affetto, non sarà mai ricambiato.
Povero Yousef.

Amore proibitoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora