9 Il Malinteso

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Impotente, Sveva vedeva Marco allontanarsi e andare via. Tentò di rincorrerlo, ma fu fermata da Fabio che, con l'espressione di chi sa di aver compiuto qualcosa di sbagliato, le disse: «Io... non volevo, ho cercato di resistere, ma devi capire...»
«Cosa dovrei capire, dimmi? Cosa? Hai rovinato tutto e adesso lasciami in pace!»

Si liberò da quella stretta, ma quando fece per girarsi Marco non c'era più. Si era come volatilizzato. Corse verso l'uscita, scegliendo il percorso più breve. Non c'era. Allora cambiò direzione e poi ancora. Nulla: non lo trovò da nessuna parte. Esausta, si fermò a prendere fiato. Arrivò persino, tanto era allo stremo delle sue forze, a dubitare di quello che aveva visto.

Forse non era Marco, in fondo era molto lontano. Però, si chiese, perché mai uno sconosciuto, guardandola, avrebbe dovuto fare un simile gesto? La spiegazione era in quel pacco. Che Marco avesse deciso di farle una sorpresa anticipando l'incontro? Quindi ci teneva a lei...
Sì, doveva essere andata proprio così e questo era un punto a suo favore. Ritornò indietro, proprio là, dove lo aveva visto per l'ultima volta.

Ma niente, di Marco nessuna traccia. Sentì in lontananza l'ape car dello spazzino, che ogni mattina faceva il solito giro per pulire l'area. Ormai tutto era stato ripulito. Non le restava che pensare: doveva riflettere. Ma in fondo si disse che se anche fosse stato Marco lo strano spettatore, avrebbe senz'altro capito che lei non c'entrava nulla con quel bacio. Tornò indietro, comunque affranta, per recuperare lo zaino e meditare sul da farsi. Si sedette per terra, sopra il marciapiede. Fabio, vedendola da lontano, la raggiunse e fece altrettanto. Stranamente non provava più rabbia per lui. Erano seduti vicino, in silenzio. Fabio, per smorzare la tensione, lanciò un sassolino di là dalla siepe, e poi un altro e un altro ancora.

«Va' via, non ho bisogno di te!» disse comunque Sveva.
«Non credo, al momento dipendi da me! Non hai un mezzo di trasporto e mi avevi appena rivelato di aver dimenticato il cellulare. Quindi, a meno che tu non voglia chiedere un passaggio al custode che tanto odi, dovrai accontentarti del sottoscritto.»

Le strappò un sorriso e lei di rimando gli diede un colpo affettuoso con la sua spalla. Mai come allora lo sentì così vicino. Due amici, accomunati dallo stesso destino: le pene d'amore.
«Credo di aver esagerato.»
«Già!»
«E credo di non aver nessuna speranza. Ho sparato tutte le mie cartucce.»
«Uhm.»
«Come posso rimediare?»
Ci fu silenzio.

«Portami a casa. Vorrei darmi una rinfrescata prima di andare a pranzo», disse lei cambiando discorso.
Era come se la magia fosse finita. D'un tratto si sentiva sciocca, incerta. Cosa avrebbe dovuto fare, una volta incontrato Marco? Chiedere spiegazioni sul perché fosse passato dall'Oasi o andare oltre e dimenticare, far finta di nulla? Mille interrogativi le si affollavano nella mente. Ritornò a casa, si cambiò in fretta: aveva i minuti contati. Questa volta optò per un vestitino preso a caso dall'armadietto e indossandolo si disse che non avrebbe potuto fare scelta migliore. Rispetto all'anno precedente quel capo le cadeva perfettamente, avvolgendo delicatamente la sua silhouette e mettendo in risalto le sue grazie.

Le tonalità del blu e del bianco rendevano giustizia al suo incarnato. Tolse le scarpe da ginnastica e mise delle comode ballerine. Si affrettò a scendere per non fare attendere troppo a lungo Fabio. Anche se si erano dati appuntamento in un localino nei pressi di Pisa, quindi non molto lontano, non voleva far aspettare Marco e Attanasio. Durante tutto il tragitto Fabio era stato completamente assente e a lei questo non era dispiaciuto affatto. Adesso si sentiva molto tesa e più passavano i minuti, più avvertiva un magone dentro che le provocava spasmi addominali improvvisi e violenti.
«Ascolta Fabio, devo dirti una cosa.»

«Anche io in verità volevo dirti qualcosa. Mi sentirei estremamente fuori posto se venissi a pranzare con voi oggi.»
«Ed io estremamente stupida se ti chiedessi di accompagnarmi e di andare via. Mi sembrerebbe di sfruttarti, anche se ti meriteresti questo e altro.»
«E quindi cosa facciamo, non ho capito, gli diamo buca?»
Ormai erano giunti dinanzi al locale dove avevano prenotato. Fabio si era fermato di fronte al ristorantino, posteggiando la macchina in un parcheggio antistante il piazzale dove si affacciava il locale.
«Quindi, cosa hai deciso?» chiese ancora, cercando di avere una risposta da Sveva.
Lei era lì, spaventata, di fianco a lui. Tesa come una corda di violino, si torturava le mani, con il capo chino, immobile, non riuscendo a prendere una giusta decisione.

«Se non vieni tu, non andrò da nessuna parte.»
Era assurdo. Fabio stentava a crederci.
«Fabio, io ho un programma da portare avanti, io, ripensandoci, non mi posso permettere di... Mi sentirei una fallita se non terminassi il mio progetto.»
Fabio si portò le mani al mento e poi scuotendo la testa disse: «Tu stai fuggendo, credimi... Non dirmi che non lo stai facendo. Non cercare di negare. Ti ho visto come guardi Marco, non pensare, non sono uno stupido. Perché scappare? Io non rinuncerei mai a te, anche se avessi da portare a termine il progetto più bello del mondo. Non rinunciare all'amore, Sveva! Non farlo! Io ormai non ho più chance e ti voglio bene. Non mi piace vederti così...»
«Così come? Cosa stai dicendo Fabio?»

«Così passiva. Non ti ho mai visto in questo modo.»
«Allora, come ci comportiamo?» ripeté ancora indispettito, «Io lì non ci vengo. Non potrei sopportare i vostri sguardi. Non chiedermelo, ti prego», fece adesso cambiando tono e tenendo lo sguardo basso.
«Perché vedi io...» e, continuando a parlare, le strinse entrambe le mani portandosele al petto.
Notò che erano sudaticce e fredde, ma non era lui ad avere quegli effetti su di lei, purtroppo. Avrebbe voluto che fosse così, che potesse provocarle una qualche reazione, ma intuiva che l'unica cosa che suscitava su di lei era comprensione, finanche compassione.
«Facciamo una cosa, andiamo via, troveremo una scusa. Poi vedremo come sistemare. Che dici? Mangeremo qualcosina insieme e poi...»

«Ok», rispose lei, interrompendolo immediatamente, senza convinzione forse, ma senz'altro più serena.
«Però a patto che sia tu a guidare.»
Sveva scese per prendere il posto del conducente, ma non ebbe il tempo di girare attorno alla macchina che Fabio aveva già ingranato la marcia partendo a tutto gas e lasciandola con un palmo di naso.
«Te la caverai benissimo!» fece salutandola con la mano fuori dal finestrino, «benissimo!» gridò ancora.
Fabio aveva capito: la conosceva bene, forse troppo, più di quanto lei conoscesse se stessa. Doveva lasciarla andare. I petali di fiori d'arancio scendevano piano, poggiandosi lentamente sull'asfalto, dopo aver compiuto splendide e vorticose piroette. Il vento, che li sospingeva rapidamente in aria, altrettanto velocemente li buttava giù, incorniciando e allo stesso tempo mettendo fine a quel momento... Come la calata di un sipario a chiusura di un atto.

Grazie amico mio, pensò dentro di sé Sveva. D'altro canto Fabio aveva capito che lei avrebbe rinunciato ai suoi sentimenti per non ferirlo, ma questo non poteva accettarlo. Se le cose fossero andate male tra Sveva e quel ragazzo, non sarebbe stato di certo per colpa sua. Sveva aveva un cuore troppo grande e lui l'amava per la ragazza altruista che era, per la gentilezza, per il rispetto che aveva per la natura e per le persone. Non avrebbe mai permesso che le facessero del male o che soffrisse per causa sua.

Adesso Sveva era lì.
Soltanto una strada la separava da Marco: pochi metri e sarebbe stata da lui.
L'aria era calda, afosa. C'era silenzio per strada. Si sentiva soltanto il vociare dei clienti del ristorante e il rumore dei piatti e delle stoviglie che provenivano dalla cucina. Strinse i pugni e si fece forza.

L'incertezza di Sveva.Where stories live. Discover now