46. Una promessa e una risata sincere

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Il sorriso sghembo presente sulle labbra di Feliciano non gli apparteneva, pensò la sarda osservandolo.

Aveva oltre 4000 anni.
Davanti i suoi occhi erano state commesse ingiustizie e atrocità anche indicibili.

Aveva sopportato condizioni tremendamente umilianti e/o complicate, capaci di rompere lo spirito di molta gente, ma non il suo.

Più di una volta era stata usata come un gioco da passare da una mano all'altra, più di una volta era stata solo una terra di secondaria importanza da cui trarre tutto quello che si poteva.

Eppure nulla di tutto quello serviva a qualcosa in quel momento, mentre uno sguardo spiritato era incatenato al suo spaventato.

La sensazione opprimente di paura che scorreva per la sua schiena a causa del sorriso altrui era innegabile e impossibile da scrollare via a suo comando.

Feliciano riprese in un movimento veloce il proprio blocco da disegno, tenendoselo stretto al petto.

<Ti meriti una punizione, cara Rita.> asserì la nazione, la quale accarezzava con cura il bordo del blocco.

Gli occhi color del miele si illuminarono di rosso per un istante quando riprese a parlare e Rita percepì con chiarezza una morsa crearsi attorno al proprio cuore.

La stava obbligando attraverso il potere da nazione, non poteva sfuggire a quel che diceva.
Le mani presero a tremarle leggermente.

<Non puoi far sapere a chi conosco o a chi interessa la mia situazione, in nessun modo, né in modo diretto, né in modo indiretto. Né a parole, né a gesti, né con scritte, né con alcun tipo di codice. Se infrangi questa regola ti ucciderai con le tue stesse mani prima ancora che tu possa rivelare questo segreto.> spiegò Veneziano con inquietante calma.

La sarda mandò giù un groppo che non sapeva di avere all'inizio della gola.

<Sono stato chiaro?> domandò retorico quel Feliciano che non riconosceva.
Presa da una scossa di determinazione, la sarda lo guardò dritto negli occhi, le mani strette a pugno, ma non più tremanti.

<Cristallino. Ma questo non mi impedirà di farlo sapere a tutto il mondo. Tu non sei il Feliciano che conosco e a cui tengo. Sei solo un falso sbiadito. Ti farò smascherare e ci riprenderemo il vero Feli.> affermò Rita, la voce sicura.

Gli occhi erano carichi di una sicurezza millenaria, che poteva essere minata e portata all'instabilità, ma mai poteva essere abbattuta.
La sua postura era ben eretta, solo la testa era chinata verso il basso per guardare dritto negli occhi la nazione.

Se c'era una cosa che la regione non perdeva mai, era il vigore.
Esso rimase saldo e forte, come un baluardo invisibile, morale, anche quando Veneziano prese a ridere.

<Ma hai davanti Feliciano, cara Rita! Solo che questo Feliciano si é stancato di essere ignorato e ferito. Mi avete lasciato a marcire in quella stanza per un tempo troppo lungo. Ne sono uscito distrutto, ma ora sono risorto dalle ceneri come una fenice.> e il sorriso storto sulle labbra della nazione aumentò, anche se era chiaramente mischiato a del dolore.

Rita avrebbe voluto dire che avevano fatto più in fretta che potevano, che pressoché tutti avevano perso il solito sonno e appetito mentre le ricerche proseguivano...
Ma sapeva sarebbe stato inutile, non l'avrebbe mai ascoltato.
Si limitò a sentire il piano di Veneziano.

<E ora cerco vendetta verso tutti coloro che mi hanno ferito nella vita. E voi, la mia cosiddetta "famiglia", siete primo posto. Mi avete abbandonato e ora tutto il Paese crollerà con me, un passo alla volta. Goditi la lenta e soprattutto dolorosa caduta dell'Italia in silenzio, sapendo già come andrà a finire, Rita. É una promessa e la manterrò fino in fondo.> assicurò Feliciano, puntandole un dito contro il petto.

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