Pietro Maximoff

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"Uova e bacon." annuncio sorridendo.

"Oppure pancakes e nutella." risponde alzando le spalle.

"Fai come vuoi." sospiro chiudendo il menù della caffetteria.

"Sono goloso e devo nutrirmi. Visto che spendo tutte le nostre energie correndo."

Annuisco mentre comunica l'ordine al cameriere che poi scompare.
Poggio la testa sulle braccia, chiudendo gli occhi.
Le tempie mi pulsano persistenti.

Abbiamo finito il turno e siamo stanchi, questa missione è stata lunga e faticosa.
Pietro ne è uscito incolume, io con un taglio sullo zigomo.

Lui poggia una mano sulla mia e la stringe dolcemente.

"Mangiamo ed andiamo a casa, sei stanca e ti devo medicare quel taglio." annuisco non alzando la testa.

"Ecco a voi." il cameriere ci porge i nostri piatti e mangiamo velocemente.

"Hai finito otto pancakes in due minuti, ti sembra normale?"

Alza le mani ironicamente e sorride.

Alza le mani ironicamente e sorride

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"Sempre il solito." bisbiglio uscendo dal bar, mentre lui mi segue.

"Tanto so che mi ami." esclama prendendomi la mano.

"Già." mi giro verso di lui e lo bacio, unendo le mie braccia dietro il suo collo. Lui posa le sue mani sui miei fianchi, per tenermi più vicina.

Vedo con la coda dell'occhio un bambino sorriderci, con un quaderno e un pennarello in mano. Mi stacco da Pietro e mi abbasso.

"Hey." lo saluto mentre mi porge tutto, firmo e poi lo passo a Pietro.

"Ciao campione." lo saluta il ragazzo di fianco a me "Come ti chiami?"

"Harry." risponde sorridendo il bambino.

"Ciao Harry." lo salutiamo mentre corre dalla sua mamma, che ci saluta.


A casa 

Siamo sdraiati nel letto, in pigiama.

"Facciamo un bambino?" domanda all'improvviso Pietro.
Mi giro di scatto, verso di lui e lo guardo scioccata.

"Cosa?" sussurro sorpresa.

"Oggi, mi sono accorto che, visto il lavoro che facciamo potremmo morire da una missione all'altra. Non voglio perderti, ma se un giorno dovesse succedere." lo fermo perché non voglio sentire né fare questo discorso.

Credo che le persone siano fantastiche eppure i discorsi li ho sempre odiati: quello che deve fare una madre alla figlia che si è fidanzata con un maggiorenne tatuato, quello che devono fare i genitori neri ad un figlio nero(che gli spiegano che non è un bambino normale e non per colpa sua) e quello che due coniugi fanno quando entrambi svolgono un lavoro pericoloso.
Mi rifiuto di pensare che un giorno potremmo morire durante un turno.
Non voglio.

"No no, devo parlartene." mi fa girare verso di lui, dopo che, precedentemente mi ero girata per non affrontare "quel discorso".

"Se un giorno dovessi morire, voglio che tu non ti lasci andare, voglio che tu abbia qualcosa per cui lottare, qualcuno.  Voglio che tu abbia nostro figlio. Capito amore?" annuisco mentre mi asciuga una lacrima.

"Vale lo stesso per te." dico.

"Lo so."

Dopo cinque minuti ci siamo calmati e le crisi di pianto sono finite.

"Dobbiamo darci da fare allora." mi sovrasta con il suo corpo e ghigna, poi iniziamo.

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Io adoro questo capitolo, spero vi piaccia pure a voi.

-Imon Sureso 

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