ᴄᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 1

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Aveva camminato per giorni e notti, privato del sonno, del cibo e dell'acqua. La corda che legava i suoi polsi stringeva così tanto che alle volte gli sembrava una ghigliottina che premeva, letale, sulla sua pelle. I capelli erano cresciuti a dismisura, e senza del sapone per pulirli erano diventati sporchi e luridi, colmi di polvere e schifezze. Addosso portava uno straccio simile ad un fazzoletto, datogli solo ed esclusivamente per coprire le sue grazie e dargli un minimo di parvenza umana onde evitare che spaventasse qualcuno; ora che ci pensava, però, non sarebbe servito in ogni caso. Le persone lo ignoravano, forse non lo vedevano nemmeno. Apparteneva allo sfondo, era una comparsa, un dettaglio superfluo, qualcosa di futile finché non gli si dava un'occupazione.
Ecco perché era lì.

Il mercato degli schiavi, ne aveva sentito parlare moltissimo da sua madre. Gli aveva raccontato dei brutti volti che bazzicavano tra le fila delle vendite, della puzza che permeava la zona, la folla, il caos, ogni cosa. Aveva avuto modo di vederlo, Carla, durante il lavoro: lei era stata un'umile fruttivendola, e caso volesse che il suo mercato ospitasse anche una zona dedita alla vendita degli schiavi - non per sua scelta chiaramente - ma resa legale dal nuovo sovrano che si dicesse essere un diavolo dai capelli rossi. Ad ogni modo, i racconti di sua madre non lo avevano mai spaventato, anzi, lo avevano spinto a riflettere, a confabulare su una possibile situazione all'infuori di quella. Si era ritrovato a pensare ad un ipotetico mondo alternativo, dove schiavi e persone erano alla pari e l'ago della bilancia riconosceva la loro posizione, non come oggetti, animali o anche meno, ma come esseri umani, tali e quali a loro.

L'acqua gelida che gli colpì il viso fu come un pugno in faccia. Per poco non gridò dallo stupore, ma strinse i denti con la consapevolezza che se avesse aperto bocca gli sarebbero toccate conseguenze ben più gravi di un semplice bagno rozzo come quello. Tremò, preda del freddo, sentendo il leggero ma intenso vento provocargli la pelle d'oca, e le gocce d'acqua scendere con irritante lentezza lungo il suo corpo.

«Numero 93! Potete portarlo vicino al palco».

Inciampò sul piede nudo e sciagurato di una ragazza, cadendo di faccia sulla passerella di legno. Sentiva le risate che si alzavano attorno a lui, erano voci allegre, spensierate, non appartenenti di sicuro agli schiavi. Le mani della ragazza trovarono le sue spalle, tirandolo su con dolcezza inaspettata. Ricordò immediatamente le coccole di sua madre, di come ella gli rimboccava le coperte o gli raccontava storie fino a tarda sera, del calore che emanavano le sue braccia o le sue labbra quando gliele premeva sulla fronte prima di andare a dormire... ma lo schiocco della frusta fu brutale, dietro di lui.
Balzò in piedi, l'adrenalina a fare da carburante, e lo stupore giunse sul suo volto, una volta che - giratosi - vide la sagoma della giovane donna china per terra.

«Su, su, cammina», borbottò il gestore dietro di lui, punzecchiando la sua schiena per farlo muovere.

I nervi si tesero ad ogni colpo che sentì, ad ogni grido mal trattenuto, e si pentì di non aver aiutato quella povera anima caduta, l'unica che aveva avuto pietà di lui.
Alla fine il sangue di lei era stato lavato via con un secchio d'acqua, lo stesso utilizzato per sciacquare il suo volto, e il prezzo per il suo corpo magro, ma dal seno prosperoso, era stato ribassato. La aveva comprata il primo pervertito in zona, sogghignando sfacciatamente nel guardare con insistenza il suo petto. Il castano era certo che la fanciulla non aveva sentito il 'grazie' che le aveva rivolto quasi in un sussurro, il quale era stato sovrastato brutalmente dal chiacchiericcio generale.

«Avanti il prossimo. Numero 92!»

Eren rabbrividì in seguito ad una folata di vento. Ringraziò mentalmente i propri capelli che, lunghi com'erano, parevano quasi una tenda, una cortina perfetta per proteggerlo dal freddo che minacciava le sue guance tonde o il naso arrossato. Purtroppo per il petto non c'era molto che potesse fare, e lo stesso valeva per le gambe: cosparse di peli troppo corti per concedergli un minimo di calore.

Iʟ ᴘʀᴇᴢᴢᴏ ᴅᴇʟʟᴀ Lɪʙᴇʀᴛᴀ̀Where stories live. Discover now