Parte 3

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Il mattino seguente chiamammo il signor Dazai per fare rapporto, ma lui ci disse che dovevamo continuare a seguirla ininterrottamente. Eravamo già stanchi di quella collaborazione, ma lui aveva dormito bene, quindi era quasi di buon umore e sembrava non ricordare che l'avevo colpito per farlo addormentare.
La donna si allontanò di nuovo dall'hotel e si mise in una caffetteria, troppo affollata per rimanere fuori. Ci guardammo e decidemmo di entrare. Ci sedemmo ad un tavolo abbastanza lontano e prendemmo due caffè lunghi e forti. Akutagawa non mi guardava mai, non mi chiamava mai per nome, era come se io non esistessi. La donna incontrò una sua amica e prevedevamo un pomeriggio molto lungo. Avrei voluto così tanto iniziare una conversazione, avere l'occasione di parlargli e di chiedergli perché si comportava in quel modo, ma feci una domanda pericolosa senza pensarci.
- perché tieni così tanto all'approvazione del signor Dazai.
Akutagawa si infuriò ma non potendo scatenare una rissa all'interno di quel luogo, mi ignoro e basta.
- va bene, non dirmelo, però quello che ti dissi tempo fa è vero, stai cercando qualcosa che tu già possiedi, lui è fiero di te.
Akutagawa cambiò espressione e si alzò dirigendosi verso il bagno, sapevo di aver sbagliato, l'avevo scosso. Tornò poco dopo senza aprire bocca a non incrociò il mio sguardo.
- Akutagawa?
- che vuoi?
- mi spieghi meglio come funziona Rashōmon?
- che?
- per favore! Anche se mi fa paura, mi affascina il tuo potere.
Ripensandoci adesso, quasi mi sembrò di leggere l'ombra di una lusinga sul suo viso, infatti, stranamente coinvolto, mi spiegò meglio come funzionava la sua abilità. - ah! Quindi puoi avvolgere chiunque con l'armatura? Non solo te stesso?
- esattamente.
- Dev'essere divertente.
- lo è.
- devo ammettere che quando abbiamo combattuto contro i galoppìni di Fëdor mi sono divertito con il tuo cappotto! - dissi sorridendo.
- se solo tu fossi stato più bravo non ce ne sarebbe stato bisogno!
- scommetto che hai già dovuto ricorrere a quella tecnica con i membri della tua organizzazione.
- mai, sei stato l'unico ad indossare il mio cappotto.
- ah si? - dissi scioccato.
- si.
- perché allora me l'hai fatto fare?
- era una situazione disperata.
- solo per questo?
- per questo e perché anche se ti odio, ho fiducia in te.
Prima che potessi elaborare la portata di quelle parole, ci dovemmo alzare per correre dietro alla donna. Tornammo in auto e la seguimmo fino ad un hotel, uno diverso, con le finestre oscurate, così fummo costretti a prendere una stanza. Akutagawa si piazzò sul divano e non mi parlò per il resto della sera. La stanza confinava con quella della donna e passai la notte ad ascoltare le sue chiacchiere da salotto con il mio udito più che sviluppato. Vidi che il mio partner aveva di nuovo sonno e il mio desiderio di indagare sulla risposta tutt'altro che prevedibile che avevo ricevuto, non si esaudì. Si addormentò dandomi le spalle, di nuovo. Anche la donna si addormentò presto, così aprii il frigo bar e mi mangiai qualche caramella. Notai presto che akutagawa aveva il vizio di muoversi troppo la notte, scoprendosi di nuovo. Mi avvicinai e gli rimboccai le coperte, mentre dormiva mi era quasi simpatico. Non poteva parlare e non poteva contestare ogni mia parola, era divertente guardarlo così. Mi sedetti senza accorgermi che mi aveva sentito di nuovo e ragionai sulle parole che mi aveva rivolto. Il signor Dazai mi aveva detto poco sul suo periodo nella mafia, ma so che fu io mentore di Akutagawa e che gli insegnò tante delle cose che sa. Probabilmente fu proprio lui a trovarlo e portarlo nella mafia, anche se può sembrare un gesto meschino, sono certo Akutagawa l'abbia interpretato diversamente. Forse, come me, vede la mafia come una casa, una famiglia. Senza rendermene conto, pensai a quella testa affollata e indecifrabile tutta la notte, ma ricavai solo frustrazione. Decisi di scendere di corsa alla reception per chiede un asciugacapelli, avevo un disperato bisogno di una doccia. Scesi di sotto, ma mi trovai come al solito nel posto sbagliato al momento sbagliato. Un uomo gigante e poco affabile, si sferrò contro di me e mi diede un pugno, probabilmente scambiandomi per un altro, dato che era completamente ubriaco. Anche se si reggeva in piedi per miracolo, era forte, troppo forte, sembrava essere anche lui un dotato. La reception lo temeva, nessuno fece nulla , ma non potevo farlo circolare in pace. Provai a calmarlo e a dirgli di sedersi, ma si infuriò e decise di picchiarmi seriamente. Mi afferrò il collo tirandomi su, ma poi qualcuno, senza che me ne accorgessi a pieno, lo distrasse dandomi il tempo di scappare. Mentre salivo le scale mi voltai e non ci potevo credere, era stato Akutagawa, che però ora ci stava prendendo le botte. Alla fine ebbe la meglio e si trascinò per le scale, insieme a me, senza parlarmi.
- grazie - dissi timidamente.
- sei proprio uno stupido, come ti viene in mente di attirare l'attenzione così?
- non ho iniziato io!
- stupido!
- ti fa male li? - dissi indicandogli una ferita che si era fatto sul fianco.
- no! - mi rispose bruscamente. 
Mi ricordai di non aver preso il phon, così corsi velocemente a controllare che l'uomo non ci fosse, per fortuna non c'era e chiesi velocemente ciò che mi serviva. Dissi ad Akutagawa che avevo bisogno di una doccia, mi lanciò un asciugamano dritto in faccia e mi disse di darmi una mossa. Mi tolsi i vestiti e li lavai velocemente a mano, ero abituato a fare così grazie all'orfanotrofio. Mi infilai nella doccia, lavai quel corpo che tanto non mi piaceva con cura, mi mancava fare una buona doccia. Quando mi misi l'accappatoio e uscii scalzo, notai che Akutagawa stava cercando di medicare da solo la sua ferita, senza alcun successo.
- sono stato io a metterti in difficoltà, ho controllato la ragazza, dorme ancora, lascia fare a me.
- non mi faccio toccare una ferita da una tigre.
- so essere delicato!
- non mi interessa! Non ne ho bisogno. 
- ma Akutagawa, tutti abbiano bisogno di questo, di qualcuno che si prenda cura di noi e delle nostre ferite.
Si lasciò stranamente aiutare e non si lamentò nemmeno una volta del dolore che, per quanto fossi delicato, si sentiva sicuramente. Quando finii di pulirgli la ferita mi guardò quasi come se stesse per dire qualcosa di diverso, ma poi tacque e ammetto che ancora oggi ci rimasi male per la spontaneità che poteva dimostrare ma che tenne per sè. Poi akutagawa abbassò lo sguardo e assunse una posizione introspettiva e calma. Mi azzardai a fare una domanda.
- va meglio adesso?
- nessuno mi aveva mai curato una ferita.
- davvero? Eppure sono sicuro che ne hai avute tante.
- sei stato delicato - disse alzandosi dal divano.
Si avviò verso la parete confinante con la donna e ascoltava attentamente per capire se dormisse, dormiva ancora. Io però avevo ancora il corpo umido e decisi di vestirmi. I miei capelli tagliati male mi cadevano sul viso e mi davano fastidio, avrei voluto dire che era un oggettività, ma mi dava solo fastidio l'idea di come mi erano stata tagliati, con cattiveria. Akutagawa entrò in bagno e si appoggiò al muro.
- la donna dorme.
- beata lei - dissi sorridendo.
- odio i tuoi capelli.
- si, beh, anche io - risposi imbarazzato.
- perché?
Mi limitai ad accendere l'asciugacapelli ed ignorare la sua domanda, ma Akutagawa non sopportava l'essere ignorato, così si innervosì e andò via. Dopo poco, senza finire di asciugarli, andai in salotto e mi sedetti accanto a lui, senza motivo.
- Akutagawa...
- tigre mannara - mi rispose con distacco.
- perché il signor Dazai ci ha fatto fare questa missione?
- non lo so, smetti si chiedertelo.
- non ti viene voglia di saperlo?
- no.
- va bene, capisco, torno ad asciugarmi i capelli.
- lo faccio io - affermò alzandosi.
- vuoi asciugarmi i capelli?
- si. - perché?
- perché stasera hai fatto per me una cosa strana, che non avevano mai fatto. Sono sicuro che nessuno ti ha mai asciugato i capelli, quindi lo voglio fare io.
- non so se mi va - risposi quasi come se volessi scappare da quella richiesta.
- non te lo stavo domandando.
Fu così che finii per farmi toccare una delle cose di cui più mi vergono, da una delle persone di cui meno mi fidavo.
Rimasi stupito da come mi accarezzava la testa, akutagawa era delicato, gentile e non diceva niente.
- va bene, no?
- si, sono asciutti. Akutagawa...
- che c'è? Non ti va bene?
- perché hai detto che ti fidi di me?
- che ne so! Era una frase di circostanza.
- non è vero, per favore dimmelo.
- senti tigre mannara, mi fido e basta, non fare domande, fai troppe domande.
- da quando ti conosco, non mi hai mai chiamato per nome.
- e allora?
- è strano, mi fa strano pensare che non ho che suono faccia io mio nome pronunciato da te.
- che cosa fuori luogo da dire!
Mi resi conto della piega che avevo fatto erroneamente prendere alla conversazione, così divagai facendo il punto delle scoperte che avevamo fatto sulla donna e visto che non era nemmeno l'alba, proposi di giocare un po' a carte. Rashōmon prese posto accanto a noi e ci aiutò ad ottenere un terzo giocatore per rendere tutto il più interessante possibile. A dir la verità, adoravo osservare il potere di Akutagawa. Era in assoluto quello più forte e assurdo, ma non gliel'avevo mai detto.
- lo sai, rashomon mi piace tantissimo. Se lo usassi senza fare del male saresti ancora più interessante.
- sei noioso tigre.
- però ho vinto! - dissi incassando la mia vincita che era quella di consegnare il rapporto al signor Dazai.
Akutagawa si infuriò un po', ma poi si calmò presto. Si mise la mano in tasca e osservò il panorama dalla finestrella accogliente della nostra camera.
- perché mi curi le ferite, mi tratti bene, mi lasci toccare i tuoi capelli e mi rimbocchi le coperte? - mi chiese senza poter poi resistere.
- rimbocco le coperte? Eri sveglio?
- si, perché l'hai fatto?
- perché anche se la maggior parte dei tuoi comportamenti sono sbagliati, nessuno merita di essere trattato male e tutti abbiamo bisogno di qualcuno che si prende la briga di farci sentire speciali, o più semplicemente, come gli altri.
- tu sei strano tigre mannara.
- no, penso solo che tu sia tanto triste, ma non lo meriti.
- sei troppo buono, farai una brutta fine.
- già forse, o forse la fari insieme a me - dissi ridendo.
- scomparirò presto, faccio un lavoro pericoloso.
- lo dici come se ne fossi contento.
- non sono triste.
- Akutagawa, devi rammentare una cosa, nessuno merita di scomparire, tantomeno tu - gli dissi prendendo la sua fredda mano pallida.
Non rividi mai quell'espressione. Mi guardò come se avessi detto qualcosa di grande, qualcosa di così prezioso che pensavo avesse cambiato per sempre qualcosa, e così fu.
Perdendoci tra le nostre parole, che continuammo ad usare per passare il tempo, non ci accorgemmo che la donna si svegliò e le raccontarono l'accaduto della reception. La donna si spaventò, fece cercare l'uomo e anche noi dovemmo scappare via. Mentre scappavamo con le nostre abilità dalla finestra, concentrati nella discesa, non ci rendemmo conto che una delle guardie del corpo si affacciò ed iniziò a spararci addosso. Ancora oggi mi chiedo come mi venne in mente, ma istintivamente mi misi sulla traiettoria del proiettile che avrebbe colpito Akutagawa.
Fu troppo difficile per me ricorda con esattezza gli eventi che seguirono. So per certo che Rashōmon attutì la mia caduta e Akutagawa mi portò in macchina, correndo via.
Mi svegliai di colpo in una stanza che riconobbi subito, troppe volte mi ero svegliato lì. La sala con quelle maledette vetrate, la luce che si faceva strada cercando di illuminarmi, cercando di convincermi a non nascondermi più. Quell'uomo, quel dannato uomo che non mi lascia mai, continuava ad insultarmi, a ricordarmi che non ero buono a nulla. Di nuovo in quella sala, mi chiedetti perché Akutagawa mi avesse portato li. Già, Akutagawa... pensai intensamente a lui, a come l'avevo "salvato" senza nemmeno rifletterci. Ero una persona buona? L'avevo fatto per il signor Dazai? Per Akutagawa? O solo per me stesso? Chi ero? Quelle domande mi tormentavano, la mia testa stava per scoppiare, non ne potevo più. Le offese contro di me continuavano, volevo scappare ma le mia gambe non si muovevano, volevo gridare, ma la voce non voleva aiutarmi. Un ombra mi diede modo di osservare la sorgente della luce oscurandola. Guardai le vetrate, udii una voce, poi le mie gambe si mossero verso quella splendida ombra.
- ben svegliato! - mi disse la dottoressa Yosano.

La luce è un'ombraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora