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LUCAS

Oggi Maëlie si è presa il pomeriggio libero. Aveva delle commissioni da fare: andare dal medico e poi qualcos'altro che non mi ricordo. Mi capita spesso di non ascoltarla, come anche deviare la traiettoria dei suoi dalle mie labbra.
Sono a fine turno, è appena passata l'ora di cena e sto per chiudere. Aspetto che l'ultimo gruppo di ragazzi lasci il locale per sistemare le ultime cose e chiudere tutto.
Sento tintinnare il sonaglino della porta: i ragazzi sono usciti. Caffetteria vuota.
Dopo pochi minuti il sonaglio suona di nuovo.
"Sto chiudendo", informo qualsiasi individuo abbia fatto ingresso.
"Lo so", quella voce: elettricità pura. Mi giro di scatto ed eccola lì. Ha i suoi soliti capelli rossi e gli occhi verdi. Quest'ultimi sono tristi. Tristi come non li avevo mai visti. Ha un grosso borsone in spalla e ha il viso pallido.
"Line – mi avvicino a lei a grandi falcate, preoccupato – Line, cosa è successo? Cosa hai, qui, sulla guancia?", prendo il suo piccolo viso tra le mie mani e noto un alone violaceo, proprio sotto l'occhio. Abbassa la testa, facendo scivolare ciocche di capelli sulla parte incriminata, come a nasconderla.
"Non è niente", rialza lentamente lo sguardo e mi fissa con gli occhi colmi di lacrime. Sta mentendo.
"Chi ti ha fatto quello?", le chiedo, allontanandomi dal suo viso e guardandola con sguardo truce. È evidente che qualcuno le ha dato uno schiaffo decisamente troppo forte. Riesco quasi a vedere la mano che l'ha compita disegnata sulla sua guancia.
"Nessuno Lucas", mi dice innervosita, il tacco della tua scarpe inizia a battere sul pavimento lucido e appena pulito.
"Che ci fai qua?", proviamo a prenderla alla larga.
"Sono andata via da casa", ottimo. Iniziamo bene.
"E perché?", resta in silenzio. Penso al peggio.
"È stato quell'idiota di Fletcher? Se è stato lui, devi dirmelo. Vado a spaccargli la faccia", mi altero. Lo faccio davvero.
"No, no, no. Lui non c'entra niente. Davvero, credimi", scuote i palmi davanti a me, come a scacciare via quel pensiero.
"Allora, chi è stato? Perché sei qua?", la incalzo. Provo con la tecnica della pressione.
"Non sapevo dove andare, scusa – scoppia in lacrime, un pianto liberatorio – mia madre e il suo nuovo fidanzato... le ho risposto male e lui mi ha tirato uno schiaffo così forte che ho pensato mi avesse staccato la testa. Lei non ha fatto niente per difendermi. È rimasta lì, a godersi la scena. Sei l'unico di cui mi fido in questo momento, avevo bisogno di vedere qualcuno di cui mi fido. Scusa...", è una raffica di parole quelle che sputa. È delusa e impaurita. Non posso lasciarla da sola.
La tiro a me, stringendola tra le mie braccia. Il suo profumo speziato mi inebria le narici. Mi è mancata così tanto. La stringo forte mentre le avvolge le braccia intorno alla mia vita, stringendo il tessuto sulla mia schiena in due pugni. Ha il viso poggiato sul mio petto e io il mento posato sulla sua testa.
Dopo un paio di minuti, che sembrano un'eternità, smette di tremare, scossa dai singhiozzi. Dopo poco si separa, lasciandomi al freddo senza lei fra le mie braccia.
"Sai già dove andrai?", indico il borsone, che ha lasciato cadere sul pavimento durante il pianto, sperando abbia un posto dove stare. In realtà, la risposta a questa domanda io la so già. Verrà da me. Non la lascio andare via, da sola.
"No, non ne ho idea. Mi puoi consigliare un posto economico, molto economico, dove posso stare per un paio di giorni?"
"Sì, si chiama casa Roberts. È molto carina e accogliente. È anche economica, molto economica, praticamente gratuita", mi guarda confusa all'inizio e poi capisce.
"No, Lucas. Non posso stare da te. Cosa penserà la tua ragazza?", sull'ultima parola leggo negli occhi suoi del fastidio, ma per ora decido di ignorarlo. È così carina quando è gelosa. In questo momento, il mio ultimo pensiero è Maëlie. È brutto da dire, ma è sempre stata il mio ultimo pensiero. Il primo sempre stato Jacqueline.
"Non ti lascio da sola, non adesso, che hai bisogno di me. Per quanto riguarda Maëlie, ci penseremo dopo".

Parcheggio l'auto nel vialetto. La faccio accomodare e lei inizia a guardarsi intorno.
"È cambiato un po' l'ultima volta che che sono stata qui", si guarda intorno, cogliendo nuovi particolari.
"Sì, Effettivamente sono cambiate un po' di cose", Maëlie aveva aggiunto delle piantine sul davanzale della finestra della cucina. Uno specchio all'entrata e anche cianfrusaglie non necessarie.
La guido verso la camera da letto dove lei può sistemarsi.
"Hai bisogno di qualcosa da mettere per dormire?", le chiedo aprendo a metà un'anta dell'armadio.
"No tranquillo ho tutto quello che mi serve", mi risponde semplicemente. Posa il borsone ai piedi del letto e vi ci si siede sopra. Rimaniamo nel silenzio, io in piedi come uno stupido, lei seduta sul mio letto come l'essere più bello di sempre.
"Vuoi restare?"
"Vuoi che resto?", interrompiamo il silenzio nello stesso momento con la stessa domanda.
"Sì", rispondiamo entrambi, di nuovo, all'unisono. Ci sfugge una risata divertita.
"Vuoi mangiare qualcosa, prima? Posso ordinare del cibo, mentre ti sistemi", ci pensa un po' e poi annuisce con energia.
"Lucas?", mi richiama mentre sto per uscire dalla camera per recuperare il cellulare dalla giacca lasciata sul divano, all'entrata. Mi fermo e la guardo. E penso che è stupenda, anche adesso che ha il trucco sbavato e capelli leggermelo increspati e gli occhi rossi, come il suo naso, per il pianto. E penso che è ancora più bella adesso che mi sta guardando con quegli occhioni verdi.
"Puoi prendere degli involtini primavera?", mi dice seria, guardandomi speranzosa di un sì.
"Prendo tutto quello che vuoi", le spunta un sorrisetto strano.

"Line, puoi aiutarmi per favore?", non riesco ad aprire la porta, lasciata socchiusa prima di scendere a recuperare il cibo ordinato, a causa dei quintali di cibo che ho in mano. Agli involtini primavera si erano aggiunti: del pollo alle mandorle, un sacco di sushi, tonno alla griglia, salmone alla piastra, gamberetti con non so cosa, gamberetti pepe e sale. E altro cibo vario.
Non mi risponde, spingo la porta con la spalle e poi la chiudo con un calcio.
"Line - la chiamo di nuovo, non ricevo nessuna risposta - Line? - inizio a preoccuparmi - Jacqueline, dove diavolo...", la trovo seduta per terra nel piccolo salottino. La scena mi lascia sconvolto, ma in modo piacevole.
Ha steso una grande coperta sul pavimento, al centro della stanza. Ha acceso delle candeline e le ha sparse un po' sul pavimento e altre sulle varie mensole della libreria. Ai due angoli opposti della coperta, ci sono due grandi piatti color avorio dal bordino dorato. Delle bacchette nere fanno contrasto posate al centro dei piatti. È così concentrata a scegliere una musica di sottofondo dal suo telefono che non si accorge di me fino a quando non la richiamo per l'ennesima volta.
"Jacqueline?", sobbalza per lo spavento.
"O mio dio, Lucas. Non potevi chiamarmi? Ti avrei aiutato a portarlo", dice alzandosi da terra velocemente, raggiungendomi e prendo uno dei quattro sacchetti che ho in mano.
"a dire il diro, l'ho fatto. Ma forse eri concentrata su altro", le rispondo in tono leggero guardando ancora una volta la stanza.
"Oh, oops - si copre la bocca con la mano libera mentre ride sommessamente - volevo fare qualcosa di carino. Spero di esserci riuscita".
"No - rispondo serio. La vedo rabbuiarsi - non sei riuscita a fare qualcosa di carino. Hai reso tutto meravigliosamente perfetto", le spunta un grosso sorriso.
Tutto sembra perfetto quando lei è con me.

Tra i banchi di scuola - Althea PataniaOpowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz