Capitolo 40

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Aveva letto la lettera, in silenzio. Poi, senza dire una parola l'aveva stracciata mentre grosse lacrime rigavano il bel viso. Piangeva, ma i suoi occhi sorridevano.

"Giuliano tornerà a Firenze e questa volta lo farà per me" aveva detto Simonetta senza smettere di piangere.

"Perché piangete? Non desiderate rivederlo?". Botticelli aveva esitato, ma non era riuscito a non domandarglielo. Simonetta, davanti a lui, sorrideva piano, gli occhi puntati verso il pavimento come a contare le lacrime che raggiungeva il suolo. 

"Come sapete bene, io sono una donna sposata. Aggiungere infelice è superfluo perché conoscete forse meglio di me la famiglia Vespucci. Se solo ne avesse avuto la forza, forse Marco avrebbe potuto essere lo sposo che desideravo quando ero ancora a Piombino e dalla finestra della mia stanza immaginavo come sarebbe stata la mia vita una volta lasciata la casa dei miei genitori. Tutto è stato diverso e ora non so immaginare come potrà essere il futuro"

"Venite con me, Simonetta". Botticelli l'aveva presa per mano e aveva aperto la porta che dava sulla stanza sul retro della sua bottega, quella in cui nessuno poteva entrare. Dentro la luce che proveniva dalla grande finestra illuminava le pareti ricoperte da disegni. Ognuno di questi ritraeva Simonetta in pose e vestiti diversi. Sempre e soltanto lei.

"Guardatevi intorno, questa siete voi e questo è quello che vede il mio cuore e che ispira la mia arte".

Lei era rimasta in silenzio, stupefatta. C'era lei e soltanto lei in quella stanza. Sorridente, triste, assorta, con i capelli pettinati, raccolti in trecce o lasciati sciolti appena pettinati.

"Sapete, dal giorno in cui vi ho incontrata la mia arte si è nutrita di voi, della vostra bellezza ma anche della forza del vostro animo. Perché è stato questo ad ispirarmi, a far si che voi diventaste la mia musa".

Simonetta stava guardando ad uno ad uno i fogli appesi, stentando a volte a riconoscersi. Poi, in un piccolo bozzetto che la ritraeva con una corona di fiori in testa si era vista per la prima volta.

"Sono davvero io..." aveva mormorato piano mentre Botticelli annuiva. Poi lui si era avvicinato alla parete e aveva staccato il foglio.

"Questo è per voi, affinché possiate sempre ricordare chi siete. Non abbiate mai paura di essere voi stessa, smettete di seguire regole imposte e cercate la felicità, ovunque essa si nasconda".

Simonetta si era avvicinata al pittore e, inaspettatamente per entrambi, lo aveva baciato sulla guancia. Aveva capito che l'amava e si era data della sciocca per non averlo compreso prima. Ma sapeva anche che lui le sarebbe rimasto accanto, senza mai chiederle nulla di più.

"Giuliano sta per tornare a Firenze, non lasciatevi sfuggire la possibilità di vivere la vita che desiderate" le aveva detto Botticelli. In lui, Simonetta leggeva adesso un sentimento contrastante. Non era gelosia, forse somigliava di più ad una preoccupazione mista ad un sentimento che sarebbe rimasto latente per tutta la vita.

Simonetta aveva lasciato lo studio di Botticelli, doveva fare ritorno a casa prima che il sole tramontasse per sedere, ancora una volta, ad una tavola in cui si sentiva ormai estranea. Mentre camminava ripensava alle parole che Giuliano le aveva scritto e non poteva non domandarsi se davvero il ragazzo avrebbe avuto il coraggio di opporsi ai disegni del fratello che lo voleva sposato per creare nuove alleanze o cardinale per avere il favore di Roma. E lei, cosa era davvero disposta a fare?

Nell'aria il profumo dei gelsomini annunciava l'arrivo del mese di giugno e per la prima volta, dopo tanto tempo, Simonetta aveva smesso di avere freddo. Il suo cuore stava finalmente per fiorire. 

La venere di FirenzeOù les histoires vivent. Découvrez maintenant