1468. Capitolo 1

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Anche quella notte aveva sognato Firenze, una città che non aveva mai visto ma di cui tanto aveva sentito raccontare. Quasi sempre, nel sogno, camminava per le vie buie da sola, scalza, sfiorando le pietre dei palazzi senza sentire freddo, fino a che delle mani calde stringevano improvvise le sue e nell'ombra della notte illuminata dalla luna che squarciava il cielo, emergeva il volto di un ragazzo dagli occhi neri che piangeva sussurrando il suo nome, fino a che si svegliava quasi senza riuscire più a respirare, tanto forte le batteva il cuore.
Questa notte poi, era stata particolarmente agitata. Le poche parole che le aveva rivolto quel ragazzo forestiero giunto a Piombino con il padre, le si erano conficcate dentro alla mente. Poco più di una bambina. Erano le sole parole che le aveva rivolto e forse non volevano dire quasi niente se non fosse stato per il tono con cui erano state pronunciate: si era sentita giudicata, quasi disprezzata e si era sentita una sciocca per avere dato così tanta importanza ad una sensazione. In fondo non si erano mai visti prima di quella sera. Le si era avvicinato mentre tutti gli altri erano impegnati nelle danze, subito dopo che i servi avevano servito i dolci. Senza farsi vedere da nessuno l'aveva afferrata per un polso e trascinata rapido dietro un angolo buio della sala, quasi a volerla a studiare più da vicino e mentre gli occhi le si erano riempiti di lacrime di terrore che le avevano tolto il fiato per gridare, lo sguardo di lui, carico di parole che sembrava non potessero essere dette, era scivolato lento su di lei. Poi, all'improvviso l'aveva allontanata con un gesto altrettanto brusco, quasi che non potesse più sopportare la vicinanza, lasciandole solo quelle poche parole.

Era stata una giornata strana, cominciata fin dal mattino con domande che non avevano trovato risposta. Era stata svegliata all'alba dalla sua balia che era entrata rumorosa nella sua stanza mentre ancora dormiva. Se l'era ritrovata davanti col suo miglior sorriso sdentato insieme a Brigida, la figlia più piccola che non lasciava mai sola. Lei e Brigida erano cresciute insieme, sorelle di latte unite da un affetto che spesso le sembrava più forte di quello per la sua famiglia. Erano entrambe le ultime nate, le figlie più piccole, ma tanto era l'affetto che Mea provava per la Brigida, tanto freddo era il sentimento che la madre provava per Simonetta.

"Svegliati bambina" erano state le prima parole pronunciate dalla balia quella mattina, "devi prepararti, tua madre ti attende". Le giornate solitamente alla corte dell'Appiani scorrevano una simile all'altra, o almeno lo erano quelle di Simonetta che sapeva che ogni giorno si sarebbe svegliata per recarsi a messa prima della colazione per poi passare il resto della giornata a ricamare o a leggere qualche pagina della Bibbia, con l'unico svago di qualche lezione di danza e di canto ogni tanto, così era stato naturale per Simonetta pensare che fosse successo qualcosa. Ma ancora sotto il tepore delle pesanti coperte, con gli occhi feriti dalla luce fredda del mattino che filtrava attraverso i vetri spessi delle finestre, Simonetta non avrebbe voluto alzarsi mai, non aprire mai gli occhi per restare sospesa in un mondo fatto di sogni, come quel re inglese di cui una volta aveva sentito parlare da un cortigiano giunto da una città al di là del mare, che aveva scelto di dormire per non dover vivere una vita che non sapeva o che non voleva affrontare. Lo avrebbe voluto fare anche lei, ma la balia non le aveva dato nemmeno il tempo di terminare il pensiero prima di toglierle le coperte di dosso lasciandola al freddo pungente di quella mattina di fine novembre. Doveva alzarsi e affrontare la madre, qualunque cosa fosse successa o dovesse ancora succedere.

"Dobbiamo farti bella, più bella di quello che sei già bambina". Gli occhi sfuggenti di Brigida le stavano dicevano che c'era qualcosa che lei non sapeva, qualcosa di cui preoccuparsi. "Ditemi, vi prego, perché mia madre vuole vedermi" aveva detto Simonetta che sentiva le parole morirle in gola mentre l'ansia si faceva sempre più spazio perché temeva che sarebbe stata rimproverata, o peggio, allontanata da casa, chiusa in un convento dopo quello che era successo all'inizio dell'autunno anche se lei non ne aveva fatto parola con nessuno, nemmeno con Brigida che l'aveva trovata in lacrime nascosta nelle cucine del palazzo. Forse doveva indossare i suoi abiti più belli per essere presentata alla badessa del convento scelto da sua madre prima di essere dimenticata da tutti chiusa fra quelle fredde mura.

La venere di FirenzeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora