Infanzia

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TREVISO NEL MIO CUORE

Il portone è sempre lo stesso. Imponente. Rassicurante.

Il cuore è stato strappato e buttato tra le macerie. Polvere e mattoni hanno seppellito vite e ricordi e giornate di sole e pioggia. Gioie e dolori. Lavoro e sudore.
Dove un tempo, al posto di negozi eleganti e caffè brulicanti di bella gente, sorgeva il vecchio ospedale di Treviso, lì dove il suo cuore batteva e la vita iniziava, ho visto la luce, il giorno 22 di un lontano maggio.
Da quel portone uscii avvolta in una copertina rosa fatta a ferri dalla mamma. Era il mese delle rose. Sulla mia prima quattro ruote attraversai strade silenziose, poche le auto in quegli anni di modesto benessere. 
Inconsapevole, passai davanti a Piazza San Leonardo, con l'altare dedicato a Santa Rita. Molti anni dopo avrei varcato quella soglia per portare rose rosse a Lei nel giorno del mio compleanno. E ricorrenza della sua Festa.
Questo è solo uno dei tanti ricordi che mi lega alla mia città.
Treviso.
Treviso nel mio cuore.
Treviso, con le sue antiche mura che la circondano  e palazzi medievali incastonati tra scatole di cemento. Devastante conseguenza di un giorno disperato.
Quel giorno i miei genitori scamparono per miracolo al bombardamento del 7 Aprile 1944. Treviso martoriata. Treviso devastata, insanguinata.
Milleduecentotrentaquattro bambini morti sotto le macerie. Al Tempio della Madonnetta quante volte sono stata per onorare la loro memoria, ogni 7 di aprile. Piccole anime volate in cielo troppo presto. Volti che mai avrei incontrato per le vie della mia città. Di quella città che loro non hanno potuto vedere. Amare.
Treviso che silenziosamente ha seguito ogni mio passo.
Bambina. Ragazza. Donna.
Come posso non ricordare quella piccolina che arrivava al Nido di Via Montello tra le braccia del fratello. Dodici anni di differenza e tu fratello mio che sei volato in cielo troppo presto.
Come un film in bianco e nero, ti vedo scolara delle elementari; con il fiocco rosa sul grembiule immacolato ti senti una principessa. A piedi percorri la stessa strada, passi davanti all'austero palazzo che ti aveva accolta a soli sei mesi, un fagottino tra le braccia robuste di severe suore. Gli anni scorrono come i tuoi passi di bimbetta, raggiungi Via Manzoni e quel palazzo storico occupato dalle Suore Canossiane da due secoli. La cartella in cuoio ti curva le spalle magre ma ti affretti poiché, fin da piccola, la puntualità è per te un segno di rispetto verso il prossimo tuo. Attraversi diligentemente la strada sulle strisce pedonali, uno sguardo alle antiche mura che in autunno ti fanno credere che quelle che cadono dagli ippocastani sono castagne buone da arrostire.
Come sempre ti fermi  dalla signora Anna, immancabile appuntamento per la liquirizia con il limone, in quel minuscolo negozio ti sovviene la favola di Hansel e Gretel, l'odore di caramelle e i piccoli debiti segnati a matita sono un un peccato da confessare a Don Gianni la domenica mattina, prima della messa.
Mancano pochi metri che percorri sotto antichi portici proteggendoti quando piove, dai, fai presto piccola, lo sai che la suora della portineria è severa e alle otto in punto non si entra più. 

La maestra, Suor Giuseppina, attendeva con sguardo severo, le piccole alunne nell'aula che profumava d'incenso. L'Istituto scolastico Maddalena di Canossa, ti appariva come un castello, con l'atrio enorme, quasi sempre buio, dove una suora, con lo scialle nero,  lavorava all'uncinetto. La grande scalinata in pietra chiara, che portava alle aule delle superiori, era per te fonte di immaginazione; ti vedevi vestita con un romantico abito dell'ottocento senza pronosticare che quei gradini li avresti fatti davvero, una ventina di anni dopo, per raggiungere il posto di lavoro. Le suore Canossiane, abbandonarono lo storico edificio, negli anni ottanta permettendo un restauro non invasivo all'amministrazione dello Stato che trasformò quelle stanze in uffici dove, alcuni anni dopo, ti saresti ritrovata a chiederti perché le persone cambiano, invecchiano mentre i luoghi rimangono senza mostrare cedimenti. Il grande salone, dove a fine anno venivano esposti i lavori di ricamo di tutte le classi, a partire dalle elementari, era stato sezionato, smembrato, per dare spazio a scrivanie, scaffalature ed enormi schedari in metallo. Uno scempio.

Piccola, in quel palazzo con le camere delle suore impenetrabili e misteriose, con il refettorio e la chiesetta per farsi il segno della croce, prima di iniziare le lezioni, avresti incontrato il padre dei tuoi figli. Quante cose possono cambiare nel corso degli anni!
La vita ti ha riportato nei luoghi dell' infanzia. Visti con occhi di bimba ti sembravano così immense, quelle stanze.

Gli anni che scorrevano e tu con il primo fidanzatino che, nelle fredde domeniche invernali, ti portava alla pasticceria da "Casellato", al Portico Oscuro, per riscaldarti con la mitica cioccolata calda della signora Adele, la quale, per oltre mezzo secolo ha servito generazioni di trevigiani. Forse eri simpatica a nonna Adele, o forse era lei che, vestita sempre di nero, con i capelli candidi e raccolti sulla nuca, ti faceva tenerezza, sta di fatto che la tua cioccolata in tazza era sempre abbondantemente ricoperta da una montagna di panna montata. Grazie cara Adele, ti vedo lassù a servire dietro a una nuvola con le fattezze di quel bancone che ti ha veduta fin da bambina.

Ed ecco che il tempo ti riporta ancora una volta nei luoghi della giovinezza scegliendo la riva del Cagnan ai "Buranelli", per la foto ricordo del tuo matrimonio. Il secondo.
Le "vasche" lungo il Calmaggiore per farti ammirare nel tuo sfolgorante, giovane splendore.
Il gelato seduta ai tavolini sotto il sole cocente in Piazza dei Signori durante le vacanze estive.
La mitica pizza dalla "Fausta" di fronte "Casellato". Dolce e salato, si alternavano nelle sere in cui la nebbia, come un velo da sposa, avvolgeva ogni cosa, offuscando le luci dei negozi, ovattando passi e forme umane mentre scivolavano, silenziose, in quell'atmosfera fiabesca.
La neve inattesa nel giorno dell'Immacolata che imbiancò le mura e gli ippocastani. Quelli che non fanno le castagne buone.
E sempre tu, che quando arrivava Natale guardavi incantata quel piccolo negozio con le statuine del presepe e mille addobbi natalizi, in quella che consideravi la "vera" casa di Babbo Natale.
La Prima Comunione, nella chiesa di Santa Maria Maddalena con l'abito candido in pizzo e la coroncina sui capelli scuri, da farti sentire una piccola, bellissima sposa.

 Il primo bacio a Villa Margherita, come si può dimenticare.
Piazza Duomo, testimone della tua più grande avventura in quel 29 giugno 1996.
E il negozio di dischi "Ricordi" dove si entrava per ascoltare i  LP dei Pink Floyd e Battisti e La PFM e non puoi dimenticare il cinema Edera con i sedili scomodi, duri e legnosi dove hai dato il tuo primo schiaffo a quel povero ragazzo che ti voleva solo mettere un braccio sulle spalle. Il film non lo ricordi ma Sergio sì, chissà se starà ancora pensando a te.
E io lo so che un giorno tornerò proprio lì, dove tutto ha avuto inizio, prima che il braccio feroce della ruspa spazzasse via l'ultima pietra dell'antico edificio che ospitava il vecchio ospedale di Treviso; il "San Leonardo".

Che stava dentro al cuore di Treviso
Che sta dentro il mio di cuore.

Tessere di mosaicoWhere stories live. Discover now