Infanzia. 2

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ERA PICCOLA E ROSSA

2 Il primo numero estratto. Il primo giro di tombola. La mia prima casa. Credo nei segni del destino e di sicuro quel civico numero 2, dove tutto ebbe inizio, un segno me lo aveva dato.

2 sono stati i miei matrimoni.

2 i divorzi.

2 figli nati.

2 figli mai nati.

2 i miei grandi amori.

22 il mio giorno di nascita.

Era una piccola casa rossa come tante sparse nella campagna trevigiana. Una costruzione semplice, senza nessun ornamento. Una casa di contadini in mezzo ai campi divorati, anno dopo anno, dallo scempio dell'edilizia. Quella stessa zona, un tempo vasta area agricola, dove i vigneti si alternavano ai campi di granturco, ora è considerata primissima periferia, un quartiere molto ambito e costoso.

Due grandi pini, sicuramente abeti natalizi piantati nell'antistante cortile, e divenuti nel corso dei decenni due enormi alberi, ombreggiavano la corte nelle calde giornate estive. I muri, scrostati e sbiaditi dal tempo avevano conservato l'originale colore rosso scuro sui quattro angoli e sul muro a nord, quello che guardava le montagne, in lontananza. Quel muro aveva conservato l'antico colore rosso come i tramonti che si sono rincorsi durante la sua lunga esistenza. Rosso come l'uva. Rosso come l'amore che si respirava in quelle vecchie case, che parlavano di vite vissute nei campi. Una casa costruita agli inizi del novecento di cui ricordo l'unica stanza che fungeva da cucina, con la stufa a legna vicino al lavello di pietra. Serviva per riscaldare l'ambiente ma anche per cuocere; si potevano asciugare i panni e avere sempre acqua calda. Insomma la vera protagonista della casa era lei: la mitica "Zoppas", la cucina economica che negli anni cinquanta era il sogno di ogni donna. Al centro di quell'unica stanza, immensa ai miei occhi di bimba, c'era un tavolo in noce consunto dai tarli, quattro sedie impagliate lo circondavano. Probabilmente una madia e una credenza completavano il semplice arredo ma di questa mobilia ho solo un ricordo sfocato.

Primi anni di vita vissuti nella tranquillità di una casa solida, costruita con l'intento di farla durare per molto tempo. E' vissuta cento anni. Nel percorso della mia vita il fato non ha lasciato che io mi scordassi di lei. Molti cambiamenti  imposti dal destino, o chi per esso,  non hanno avuto la forza di allontanarmi da quella costruzione modesta che ogni tanto passavo a salutare. Rivedere il cortile con i due pini, i muri scrostati ma ancora in piedi, mi rassicurava. Fantasticavo su un possibile acquisto; l'avrei rimessa a posto, sarei tornata a vivere lì dove avevo mosso i primi passi. Non sarebbe stata più sola. Ma la vita non scende a patti con i sentimenti. Lei va per la sua strada, senza voltarsi indietro, senza dare ascolto ai ricordi.

Ero diventata adulta, mi ero sposata, avevo avuto dei figli, abitato in altre case ma la mia casina rossa era sempre lì per ricordarmi di quando ero bambina, e sotto  a quei pini, mi sedevo sulla seggiolina di vimini con la mia bambola preferita in braccio.

Era rimasta per ricordarmi le mie origini. Umili. Dignitose. Come mia madre quando la vedevo lavare le lenzuola inginocchiata sul "lampòr", la tavola di legno che veniva appoggiata sull'argine erboso con la parte inclinata dentro al fosso. L'acqua allora era limpida e d'estate potevo entrarci con i piedi per rinfrescarmi. Da qualche decennio quel piccolo corso d'acqua, come molti altri, è stato chiuso, cementato, ricoperto di catrame. La stradina sterrata che portava nei campi ora è una strada che conduce nel centro storico di Treviso. All'epoca, solo qualche bicicletta transitava, raramente si vedevano automobili. Adesso è furiosamente calpestata da un flusso continuo di auto, moto, autobus. Quante cose possono cambiare in cinquant'anni!

Un brutto giorno capii che stava succedendo una cosa importante. Il primo di una lunga serie di traslochi. Lo avevo intuito dal trambusto e dal via vai di mia madre e mio padre che, con un carretto, aiutati dai vicini di casa, trasportavano piccole cose: scatoloni, vestiario, coperte. Niente mobili. Niente di pesante o ingombrante. La nuova casa era a pochi metri dalla casa in cui entrai quando di giorni ne avevo appena cinque.
Una palazzina bianca appena costruita, una delle prime costruzioni moderne, piantate nella terra ferita. In quella palazzina di tre piani abitavano tante famiglie, assieme, una sopra l'altra! Che cosa strana per me. Non capivo, avevo sei anni, ma ci sembrava un lusso poterci lavare dentro una grande vasca che si trovava dentro una stanza che si trovava dentro la casa. Il mastello per fare il bagno era rimasto, con molte altre cose oramai inutili, in quella che era diventata la "casa vecchia". La casa nuova aveva tutto nuovo, anche i mobili!

Niente di vecchio era entrato a far parte della nostra nuova casa e della nostra vita. Mia madre, assetata di novità, ma soprattutto di comodità, stanca di lavare sotto il sole cocente o con le ginocchia sulla tavola gelata, non volle portare niente che le ricordasse le fatiche patite.

La casa nuova sapeva di pittura fresca; c'era un ampio cucinino, la sala da pranzo, il salotto, due camere da letto e il bagno!

In seguito, sono sorte palazzine e villette a schiera fitte come spighe di grano ma di dorato nulla era rimasto. Il grigiore del cemento e del catrame ha stretto in una morsa mortale la mia casina che ha resistito impavida come un soldato, a difesa di uno spazio sempre più inconsistente, fino al giorno in cui, senza che nessuno mi avvisasse, senza che io potessi immaginare o poter fare, ho trovato solo macerie.

Una collinetta di mattoni rossi senza più vita. Un mucchietto di ricordi. Un dolore, come fosse morta una persona. Una parte di me. Non deve averci messo molto la mia piccola casa rossa a soccombere all'arroganza umana. La sua agonia non deve essere stata lunga. Un grappolo rosso di macerie lì, in mezzo al cortile. Il cancelletto divelto. Sono scesa dall'auto. Sono entrata, ho guardato i due pini imbiancati dalla polvere delle macerie, pallidi, ho appoggiato le mani sopra a quelle pietre che custodivano le mie prime parole. E, come si fa di fronte a una lapide, ho pianto.

Tessere di mosaicoWhere stories live. Discover now