Cherik III

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Quando Charles battè sulla spalla dell'amico esso sussultò quasi spaventato. Da quando il professore gli aveva lanciato quella sfida Erik non aveva fatto altro che tentare di spostare quella parabola. Con i proiettili era molto più semplice.
"Che ne dici se ti consigliassi di fare una pausa?" Magneto non lo guardò nemmeno. La mano tesa davanti a se, la fronte corruciata e imperlata di sudore, la bocca contorta in una smorfia, tutto in lui supplicava di smettere.
"No Charles, ci sono quasi riuscito! So che ce la posso fare." Il professore lo guardò preoccupato. Da tempo si era reso conto che Erik non rappresentava solo un amico ma qualcosa di piu, e vederlo così gli faceva male. Avrebbe voluto prendergli quelle mani, stringerle tra le sue e promettergli che sarebbe andato tutto bene, che non avrebbero più avuto bisogno di nascondersi per la loro vera natura, che non avrebbero più dovuto combattere contro nessuno, che avrebbero potuto abbandonare tutta la violenza perché sarebbe stata inutile. Ma non disse nulla e lasciò la sua mano sulla spalla di Erik. 
"E io non ne dubito vecchio amico mio. So che puoi farcela o non ti avrei mai proposto questa sfida. Ma non andrai da nessuna parte se non fai una pausa. Vado a prendere la scacchiera e giochiamo fuori che c'è un sole bellissimo." Gli diede un'altra pacca prima di andare dentro l'edificio a prendere il loro gioco preferito.

Charles adorava il modo in cui quella piccola ruga increspava la fronte dell'altro quando era concentrato. A volte, forse senza rendersene conto, Erik faceva anche uscire la lingua fino a toccare il labbro superiore; o chiudeva gli occhi e si massaggiava le tempie con le dita. Erano gesti semplici e spontanei per Magneto, ma per Charles erano diventati importantissimi. Probabilmente il professore non lo disse mai a nessuno, ma Erik inconsapevolmente l'aveva aiutato più di tutti, più di Hank e Raven. Quando dovette mandar via Moria soffrì, non potè negarlo, ma quello che all'epoca era solo il suo più caro amico era riuscito a fargliela dimenticare proprio come lei aveva dimenticato lui. Era riuscito a togliere quel dolore dalla sua testa proprio usando quei piccoli gesti. Avrebbe potuto rimanere anche tutta la vita seduto su quei gradini a guardarlo.
"Charles? Tocca a te." Il professore fece un verso di sorpresa e tornò a fissare la scacchiera. Erik invece abbozzò un sorriso, si era accorto che il professore, il quale era arrossito, si era bloccato ad osservarlo. A volte si chiedeva cosa gli passasse per la testa. Lui aveva l'accesso ai pensieri di tutti, ma chi conosceva i suoi? A Magneto sarebbe piaciuto essere quella persona speciale, gli piaceva sognare di poter essere più di un amico. Ma poi tornava sempre alla realtà. Quella volta fu la voce di Charles.
"Ho capito dov'è il problema. Tu sei alimentato dalla rabbia, ma non credo che in questo caso sia l'emozione giusta. Ci sono cose più potenti dell'odio." Nessuno dei due la nominò, ma entrambi compresero che il professore si stava riferendo alla parabola ancora fissa nello stesso punto. Charles avrebbe voluto dire che, per esempio, l'amore era molto più potente. Ma ancora una volta non disse niente. Dio, su quanti non detti è stata fondata quella conversazione.
"E tu cosa proponi?" Il professore ci pensò, ma finì con l'agitare le mani davanti al viso di Erik. 
"Posso?" L'altro fece di si con il viso. Charles si alzò, oltrepassò la scacchiera e si sedette più vicino all'amico. Portò le sue dita alle tempie dell'altro e si lasciò andare.

Si concentra sul passato di Magneto perché sa che, per qualche strana ragione, spesso la rabbia deriva da un torto subito molti anni addietro. Si pente subito di quella scelta, ma non si tira indietro, vuole aiutare Erik. Vede il campo di concentramento, sa che è ebreo, e un bambino, probabilmente il proprietario della mente solo più piccolo, urlare qualcosa. Non conosce la lingua, ma grazie a Erik riesce a tradurre. Vuole sua madre. Le guardie glielo impediscono e in un impeto di rabbia che Charles sente crescere dentro di se, nota un cancello che si piega. Poi il ricordo si fa sfocato. Quando l'immagine torna nitida si trova in una stanza. Un uomo è seduto davanti al bambino e dietro di lui due guardie che tengono per le braccia una donna. Dai sentimenti che nascono nel ragazzino, Charles capisce che quella è la mamma tanto desiderata. L'uomo gli chiede di spostare una moneta proprio come ha fatto con il cancello. Lo minaccia. Il piccolo Erik ci prova, ma non sa ancora come controllare quei nuovi poteri. L'uomo si stufa, odina alle guardie qualcosa che la mente del bambino non coglie e poi il suono più spaventoso che abbia mai sentito. Il colpo di una pistola e il tonfo di un corpo morto. Erik non si volta neanche a guardare la madre, si limita ad urlare. E come nel cortile la sua mutazione si accende. Non solo fa muovere quella maledetta moneta, ma distrugge anche il laboratorio davanti a se e ruba la vita a quelle guardie, proprio come loro hanno rubato quella della mamma.

Il professore non si vergognò di far vedere le lacrime. Erik invece si. Con un gesto veloce si asciugò il pianto e con uno più dolce accarezzò il viso di Charles, in un gesto che gli fece battere il cuore, per scacciare la tristezza.
"Mi dispiace, non lo sapevo..."
"No, non potevi."
"Ma ho capito il problema qual è! Le prime volte che hai sperimentare la tua mutazione eri pieno di rabbia e di collera. Da allora pensi che siano gli unici sentimenti in grado di scatenare il tuo potere. Ma ti sbagli. Se pensi ad un ricordo felice sarà tutto più semplice, fidati di me." Erik si fidava ciecamente di Charles, ma non avrebbe saputo dire se aveva ricordi abbastanza allegri. Dopo una rapida occhiata alla sua testa, l'unica in cui aveva il potere di entrare, constatò che no, non aveva nulla a cui aggrapparsi.
"Non ho nulla di felice qui dentro." Si indicò la fronte e gli venne quasi da ridere. Per la strana situazione in cui si era cacciato, per la vicinanza con l'amico, per l'aver quasi vinto quella partita a scacchi.
"Erik, non è troppo tardi per iniziare. Non si è mai troppo tardi per iniziare a vivere. Se non hai ricordi felici devi iniziare a crearteli." Ed effettivamente c'era qualcosa che l'avrebbe fatto contento, ma era rischioso. Baciara e dire la verità a l'uomo davanti a lui...poteva andare tutto storto, poteva rovinare l'unica cosa buona che gli era capitata in quella vita rovinata, la loro amicizia. Eppure, quando notò che la testa di Charles si faceva sempre più vicina alla sua, si abbandonò a quel momento. Chiuse gli occhi e lasciò che le loro labbra si unirono in una danza speciale. Inspirò il buon profumo dell'altro, si immaginò più tardi sofferente nel letto a rivivere quel momento, ma sorrise. Si staccò leggermente da quel paradiso.
"Grazie vecchio amico mio, ora ce l'ho un ricordo felice."

Ed effettivamente la teoria del professore funzionò, e anche bene. Quando Erik provò di nuovo a spostare quella parabola, con l'immagine del loro bacio e non più di sua madre morta, ci riuscì con abbastanza facilità. Sorrise di nuovo mentre Charles, oltre che la solita pacca incoraggiante sulla spalla, gli diede un bacio dolce sulle labbra.

*Insomma, se in una Cherik non metto Charles che guarda nella mente di Erik non sono contenta 🤣*

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