Capitolo 36 - Confronto col karma

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Il banco che si trovava davanti a Buster aveva una superficie in legno rovinata e sfregiata, coperta dai segni sbavati di alcuni disegni lasciati per noia

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Il banco che si trovava davanti a Buster aveva una superficie in legno rovinata e sfregiata, coperta dai segni sbavati di alcuni disegni lasciati per noia.
La punta della sua penna stava torturando da tempo una gomma grigia, sporca e piena di buchi. Il ragazzo sapeva che, se l'avesse usata, probabilmente avrebbe solo sporcato maggiormente il foglio. Eppure si considerava troppo pigro per cercarsi una gomma nuova.
Con un sospiro, il proprietario di quegli oggetti si decise a lasciarli in pace, stringendosi nei larghi vestiti.
Il quattordicenne portava sulla nuca dei ricci castani ormai lunghi e indomabili, da tagliare per non recare fastidio alla sua visuale.
Sulle sue guance paffutelle si stavano sfogando con impetuosa rabbia i primi segni dell'acne, che senza pietà lo aveva attaccato con l'inizio dell'adolescenza.
Il suo volto non era poi così brutto, ma in mezzo a molti altri in pochi lo avrebbero guardato per primo pensando "Wow, questo ragazzo è davvero carino".
Ma a Buster non importava molto piacere agli altri. Queste preoccupazioni potevano solo passare in secondo piano, poiché lui era il primo a non saper guardare il proprio riflesso per più di una manciata di secondi senza provare sentimenti contrastanti.
La poca importanza che dava ad eventuali giudizi esterni non era il frutto di una buona autostima, un carattere forte che sapeva distinguere le priorità della vita.
No, ciò era semplicemente dovuto allo scarso interesse che aveva nei confronti degli estranei.
"Estranei" era la parola giusta per tutti coloro che non facevano parte della propria famiglia. Ad eccezione di questi, Buster non riusciva a concedere troppa fiducia e affetto nemmeno sforzandosi.
L'adolescente alzò lo sguardo in direzione dell'uomo che sedeva oltre alla cattedra.
L'insegnante di letteratura era un uomo sulla cinquantina, con i capelli castani dipinti dai primi riflessi grigi. Egli stava leggendo in quel momento una poesia dal libro che teneva di fronte al volto, fermandosi per esporre la parafrasi ad ogni strofa.
La sua voce risuonava come una cantilena ripetuta, una ninna nanna pensata apposta per annoiare e far provare sonnolenza ai suoi alunni.
Buster ricordava ancora quella parafrasi dalle medie, pertanto non pensò di dover prestare troppa attenzione.
"Non è nemmeno nel programma." si lamentò in silenzio. "A nessuno interessava veramente quale fosse la tua poesia preferita."
Il rimpianto che Buster stava provando in quel momento era di non essere riuscito a guadagnarsi il posto accanto alla finestra di quella sporca e fredda aula.
Durante quella stagione i termosifoni erano ormai ben caldi anche alla prima ora di lezione, quel calore gratificante sarebbe stato accompagnato con il bel paesaggio al quale si poteva assistere durante quella giornata d'inverno.
I rami del giardino erano accompagnati da decorazioni ghiacciate, come piccoli cristalli che addobbavano un albero natalizio. Essi coprivano gran parte della visuale da quelle finestre, creando una cornice elegante ed intrecciata.
Oltre questi, un fiume argentato scivolava nella valle, in mezzo a rocce e vegetazione, cedendo infine lo sfondo a lontani montagne.
Il tempo passò veloce, come l'acqua piovana che scivolava per le strade durante un forte temporale.
La bocca di Buster era rimasta chiusa per tutta la durata delle prime ore di lezione, porgendo parola solamente qualora l'insegnante domandasse il suo intervento. Era un evento raro ma scocciante, al quale il ragazzo non poteva sottrarsi senza avere ripercussioni sul suo andamento scolastico.
Erano i primi mesi di liceo, ma il quattordicenne era già deciso nel suo intento di terminare quei cinque anni in modo impeccabile. Nessun insegnante avrebbe mai potuto lamentarsi di lui con l'aggettivo "chiacchierone".
Egli non era il protagonista di una qualche storia triste, discriminato e allontanato dai suoi stessi compagni di scuola senza una ragione precisa. Era un cliché dentro al quale Buster non rientrava.
Nessuno lì aveva avuto l'intenzione di ignorarlo per primo. Per quanto ci avessero provato, Buster rimaneva nella sua piccola sfera, al sicuro, senza interagire con loro più del dovuto.
E così, giorno dopo giorno, avevano smesso di tentarci, lasciando che il ragazzo assistesse agli avvenimenti da lontano.
E così a lui andava bene.
Il suono eccessivamente forte che segnava l'inizio dell'intervallo era ogni giorno il rumore più gratificante che potesse sentire dentro quelle mura. Un momento di svago, dove gli oppressi e stanchi alunni potevano riempire il corridoio schiamazzando come animali.
Buster odiava essere al terzo piano di quell'edificio, dove venivano lasciate le classi più vandaliche ed irrecuperabili dell'istituto. Assieme alla campanella, era solito udire grida molto simili a quelle dei gorilla nella stagione dell'accoppiamento.
Durante quelle giornate tanto fredde, egli aveva scoperto l'utilità delle macchinette che vendevano bevande calde. Pertanto valeva la pena abbandonare l'aula ed uscire per quei brevi istanti.
Trasportare la cioccolata bollente all'interno del suo bicchiere di plastica non era un'impresa facile, quando lungo la strada vi erano ragazzi e ragazze che camminavano o correvano senza dare troppa importanza a dove andavano.
Buster aveva appena varcato la porta della sua aula, ma fu comunque troppo presto per tirare un sospiro di sollievo.
Una figura più alta e grande di lui gli urtò il braccio mentre percorreva in fretta la strada per uscire dall'aula. Il corvino non poté che vedere come metà della sua cara cioccolata calda venisse spinta da quell'urto fuori dal l'orlo del bicchiere, scivolando sulla sua mano e, infine, sulle scarpe.
Il bruciore che quel liquido caldo gli procurò lo spinse ad imprecare sottovoce per il dolore.
Dall'altra parte della stanza si innalzarono alcune chiacchiere.
-Non sa nemmeno muoversi senza fare casino.-
-E ci credo! Pensavi davvero che una così potesse passare da quella porta assieme a qualcun altro?!-
La ragazza che aveva urtato il braccio di Buster aveva in volto un’espressione terribilmente dispiaciuta. -Scusa! Non l'ho fatto apposta, giuro! Tieni, ti aiuto a pulirti.-
Con movimenti goffi e veloci, aveva estratto dallo zaino un pacchetto di fazzoletti di carta. Dispiaciuto per la propria cioccolata, Buster posò il bicchiere sopra il banco più vicino e si chinò per aiutare la ragazza ad asciugare ciò che era finito sul pavimento.
Mentre i due ragazzi erano chini a pulire per terra con i fazzoletti, gli ultimi adolescenti che avevano assistito a quella scena se ne andarono bisbigliando e ridacchiando.
In quel momento, Buster alzò lo sguardo per osservare la ragazza inginocchiata accanto a lui. La sua compagna di classe aveva un anno in più di lui, ripetente nella stessa scuola.
Guardandola, il giovane non poté non pensare a quanto fossero eccessivi i commenti che su di lei giravano attorno al peso e all'aspetto fisico.
La giovane dai capelli ramati non sembrava essere in sovrappeso, o almeno così era agli occhi del corvino. Ella aveva solo un po' più di curve rispetto alla "norma" dalla società imposta.
Non avendo nemmeno lui un corpo perfetto, Buster non si sentiva in dovere di poter far parola su quello degli altri.
Vide la ragazza passarsi una mano davanti al volto, gli occhi lucidi sul punto di scoppiare in un pianto.
Il ragazzo le porse il fazzoletto pulito che avrebbe dovuto usare per pulire la propria scarpa. Ella lo prese, sorridendo dolcemente. -Grazie. Scusa ma... Tutti questi commenti ingiusti fanno male. Eppure non ci posso fare niente.-
"Lo so che molta gente qui ragiona col culo." pensò Buster. "Siamo in Italia, cosa ti aspettavi?"
Il ragazzo rispose con un muto cenno del capo, raggruppando i fazzoletti sporchi che avevano utilizzato. La ragazza continuò, asciugandosi gli occhi con il fazzoletto. -Ti ringrazio per non esserti arrabbiato.-
-Non è nulla.-
Ella sembrò felice di averlo finalmente fatto parlare. Si sistemò alcuni ciuffi che erano sfuggiti all'elastico che teneva legata la sua lunga coda sulla nuca. -Vedo che anche tu non parli molto con gli altri in questa classe... Ti va di diventare amici?-
Buster si sentì come costretto a partecipare ad una festa alla quale farebbe volentieri a meno di andare. -Non so...-
Ma la ragazza aveva già allungato una mano. -In ogni caso avrai già sentito il mio nome durante l'appello. Mi chiamo Agata.-
"...Agata?"
Come se qualcuno gli avesse gettato dell'acqua fredda in volto, il ragazzo sbattè velocemente le palpebre. Ebbe la sensazione di essere bloccato all'interno di un sogno terribilmente realistico.
O meglio, un incubo.
Egli aveva già vissuto questo momento, sapeva cosa sarebbe successo.
Afferrò la mano della ragazza con tanta energia da spaventarla. Parlò di fretta, come se la stanza potesse esplodere da un momento all'altro. -Ascolta, non importa quello che dicono gli altri. Qualsiasi cosa, qualsiasi parola o insulto, non vale niente.-
Agata arrossì di colpo, non capendo il perché di quella energia improvvisa. Cercò di portare avanti la conversazione. -Lo so, ma è difficile...-
-È difficile farlo, lo so.- lui la interruppe. -Ma hai la forza necessaria per non farti schiacciare dalle parole degli altri.-
-Non credo di averla...-
-Allora costruiscitela da sola! Tu sei la proprietaria del tuo corpo, nessun altro. Ci devi vivere tu lì dentro, non quei coglioni. Tu sola puoi decidere cosa e cosa non sei. Cosa preferisci? Farti schiacciare e mostrarti come la nullità che tutti credono?-
La rossa spostò lo sguardo altrove. -Se fosse così facile cambiare le cose in questo modo lo avrei già fatto.-
-Nessuno ha detto che sia facile. Ecco perché non tutti hanno il coraggio di provarci veramente. Ma questo non significa che tu abbia già perso in partenza.-
Dopo un breve momento di silenzio, i due si scambiarono un gentile sorriso. Buster continuò con più calma. -Non sei curiosa di scoprire cosa si prova a star bene?-
Agata aprì la bocca per parlare, il sorriso e gli occhi lucidi che aveva mostravano gratitudine. Eppure si fermò come se qualcuno avesse messo in pausa un filmato.
-Che succede?- tuonò forte una voce arrabbiata. -Non è così che dovrebbero andare le cose. Che significa tutto ciò?!-
Una voce più fine si udì con meno forza. -Perché hai fermato tutto?-
Come risvegliato da quel sogno, la visuale di Buster si fece di colpo più scura.
Si trovava al centro di una tonda stanza dalle pareti bluastre, in piedi davanti ad un'alta scrivania a semicerchio. Non vi erano altri mobili, finestre o addirittura porte. Egli non aveva memoria di come fosse giunto in quel posto, ma vedendo le nove persone che sedevano dal lato opposto della scrivania poteva fare qualche ipotesi a riguardo.
Gli Dei del Consiglio stavano discutendo a bassa voce fra di loro, dando di tanto in tanto qualche occhiata al ragazzo più in basso.
Colui che non sembrava curarsi di tenere nascosti i loro discorsi era Thaiko.
Era arrabbiato come al solito. -Quindi? Che si fa ora?-
Lesla sospirò. -Thaiko, avremmo potuto dare un giudizio come agli altri se non avessi interrotto tutto. Quando pensi di fare qualcosa per gestire la tua rabbia?-
-Non parlarmi come se avessi dei problemi, piccola ninfomane.-
La rossa rise. -Geloso perché non trovi nessuno disposto a farlo con te?-
Zeno cercò di calmare le acque, la voce leggermente incrinata da una nota di timidezza. -Ragazzi, non era questo il punto del nostro discorso...-
Buster non sapeva se fosse a causa di una qualche sfortuna, ma pensò che non fosse tanto divertente vederli litigare ogni qualvolta incontrava più di una Divinità nello stesso posto.
Harriet ebbe la decenza di portare luce sulla sua confusione. Ella si poggiò con le braccia contro la scrivania in legno bianco, mostrando un sorriso in grado di alleviare ansie e preoccupazioni. -Buster Oak, chiediamo scusa per l'interruzione ma c'è stato un piccolo imprevisto durante il corso della tua prova.-
"Prova? Questa è la terza prova?"
Il corvino cercò di ricordare quando avesse iniziato a giocare, ma il suo ultimo ricordo equivaleva alle chiacchiere svolte prima di uscire dalla mensa.
Alzò il capo verso la Dea. -Che imprevisto? Ho fatto qualcosa di sbagliato?-
Lo sguardo acido di Thaiko lo fece rabbrividire. -Se hai fatto qualcosa di sbagliato? Pff. Perché non rispondi tu a questa domanda?-
Non era difficile capire ch'egli lo avesse preso in cattivo modo, probabilmente da quando lo aveva trovato mentre origliava il suo discorso con Yin.
Così come quella volta, egli fu salvato proprio da quest'ultimo. Yin alzò una mano accanto all'uomo che sedeva alla sua sinistra. -Thaiko, l'aggressività ora non ci sarà che nemica. Abbiamo del tempo a disposizione per parlare con questo giovane uomo e comprendere cosa è andato storto. Buster Oak, puoi dirci cosa stavi facendo fino a qualche istante fa?-
Buster rimase quasi sorpreso nel sentirlo parlare in quel modo, molto più formale rispetto a quando era in sola compagnia del Dio.
Non perse tempo per rispondere. -Uhm... Fino a qualche tempo fa credevo di essere a scuola. Era appena suonato l'intervallo e...-
Thaiko ruggì. -Vai dritto al punto.-
-...e ho incontrato questa ragazza. Era appena stata insultata ed era visibilmente scossa. Così le ho parlato per un po' prima di sentire le vostre voci.-
-Le hai parlato? Come le hai parlato?-
Da come Yin cercava di manovrare il discorso, Buster comprese che gli Dei stessero assistendo a quelle scene sapendo già come sarebbe andata a finire. Essi non volevano un resoconto, ma capire se Buster avesse già compreso cosa fosse andato storto.
A malincuore il ragazzo sapeva già la risposta.
Una voce non molto distante rispose prima di lui. -Lui ricorda.-
Ryuu era uno degli Dei più giovani, seduto ad un lato più esterno della scrivania. Le sue parole avevano un tono basso, leggero ma ipnotico. Il tipo di voce che ti avrebbe intrappolato volentieri ad ascoltare ciò che aveva da dire per ore ed ore.
Il ragazzo dalla permanente espressione stanca e malinconica non era parso interessato fino a quel momento, come se di colpo avesse visto qualcosa di interessante.
Ora più vicino, Buster notò che egli portava sulla guancia sinistra una cicatrice strana. Il numero dodici, probabilmente tagliato nella pelle da una lama, dato il suo aspetto imperfetto.
Il Dio della magia lo stava fissando con curiosità. A Buster saltò un battito, i suoi occhi erano dello stesso viola intenso di quelli del piccolo Gilbert.
All'improvviso, Nova saltò sulla sedia con entusiasmo. -Oh! Quindi anche lui ricorda? Wow! Sono rari i mortali che ci riescono ed è pure giovane.-
Ryuu non gli aveva ancora staccato gli occhi di dosso. -Sembra avere una buona energia, anche la sua aura non è male. Potresti avere del potenziale, con il giusto studio e allenamento. Gradirei averti come allievo.-
-Ryuu, questo non è il momento di farti pubblicità.-
-Scusate.-
Nova, la Dea del coraggio, guardò Buster con un largo sorriso. -Quindi è vero? Ti ricordi?-
Il ragazzo era confuso. - Ricordo cosa?-
-Tsk.- Thaiko sbuffò. -Sei sordo o stupido? Le tue vite passate.-
Buster non pensava fosse saggio mentire di fronte a loro, non avrebbe guadagnato alcun privilegio. Perciò, annuì in risposta. -Sì, posseggo ancora chiari i ricordi della mia scorsa vita. L'ultima prima di questa, intendo, non di altre. Posso chiedere ora in cosa consisteva questa prova?-
-Suppongo che giunti a questa interruzione tu possa venirne a conoscenza senza problemi.- spiegò gentilmente Harriet. Vedendo che nessun altro Dio la stava fermando, continuò. -La terza prova di questo Torneo consiste in un colloquio con noi Divinità del Consiglio. Uno ad uno, stiamo valutando la crescita delle vostre anime in base ai vostri ricordi e al karma.-
Buster domandò. -Karma?-
Seduti uno accanto all'altro, era più facile notare i lineamenti e le somiglianze che lei e il fratello Zeno condividevano. Il ragazzo parlò. -Un'anima che ha voltato volontariamente lo sguardo di fronte alla sofferenza altrui ha più possibilità di rinascere in un corpo sofferente. Chi non ha saputo apprezzare l'amore al di fuori della famiglia non pianga se, una volta rinato, questa lo abbandoni.-
Quest'ultima frase era chiaramente rivolta a Buster. Ma in quel momento la sua mente era troppo occupata per comprendere che, a quanto pare, se in quel mondo era rimasto orfano da piccolo era solo grazie al suo karma.
Mettendo assieme i puzzle, comprese per quale ragione la prova fosse stata interrotta.
-Un'anima vecchia che ha trascorso molte vite come la tua è più facile da valutare in fatto di crescita. Ci stai dando del filo da torcere, Buster Oak.- concluse Yin. -Torniamo ora a noi. Poiché sei ancora in possesso di alcuni ricordi che stavi rivivendo, perché non li esaminiamo assieme? Puoi raccontare a tutti noi come sono andate realmente le cose?-
Come una pugnalata al petto, Buster ne ebbe la conferma. La sua prova era stata interrotta perché egli aveva in quel momento agito in maniera diversa dal passato.
Sospirò, come per riempirsi non di aria ma di coraggio. -Quel giorno ho aiutato una ragazza vittima di bullismo a pulire da terra la cioccolata che mi aveva fatto rovesciare. Ne ha approfittato per parlarmi e chiedermi di diventare suo amico, non avendone altri in quella scuola.-
Le parole di Yin non sembravano cariche d'odio o accusa, ma miravano ad una vecchia ferita. -E cosa le hai risposto, veramente?-

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